Con sentenza del 18 luglio 2013 , la Corte di giustizia si è pronunciata sulla domanda di rinvio pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (“TAR”) nell’ambito del procedimento tra Sky Italia s.r.l. contro l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (“AGCOM”) con cui il TAR chiedeva se la normativa italiana nel prevedere limiti di affollamento pubblicitario orario più bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli prescritti per le emittenti in chiaro fosse conforme al diritto dell’Unione. La Corte, conformandosi all’opinione dell’Avvocato Generale Kokott, ritiene – in linea di massima – la normativa italiana conforme al diritto UE, rimettendo però al TAR la valutazione circa il rispetto del principio di proporzionalità.
La normativa europea ed italiana
Il contesto normativo rilevante nel caso di specie è costituito da un lato dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi (“Direttiva AVMS”) e dall’altro dal d.lgs. 177/2005 recante il Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (“TUSMAR”).
La Direttiva AVMS prevede che “La percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d’orologio non deve superare il 20 %”.
L’art. 4 paragrafo 1, precisa che “Gli Stati membri conservano la facoltà di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nei settori coordinati dalla presente direttiva, purché tali norme siano conformi al diritto dell’Unione”.
Il TUSMAR all’art. 38, co.2 prevede che “La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti in chiaro, anche analogiche, in ambito nazionale, diverse dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, non può eccedere il 15 per cento dell’orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di una determinata e distinta ora d’orologio; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva. Un identico limite e’ fissato per i soggetti autorizzati, ai sensi dell’articolo 29, a trasmettere in contemporanea su almeno dodici bacini di utenza, con riferimento al tempo di programmazione in contemporanea”.
L’art. 38, co.5 stabilisce che “La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non può eccedere per l’anno 2010 il 16 per cento, per l’anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall’anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d’orologio; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva”.
Dunque, la Direttiva AVMS prescrive un unico limite di affollamento orario pari al 20%, la normativa italiana invece stabilisce per le emittenti in chiaro (diverse da RAI) un unico limite pari al 18% (più un’eccedenza oraria del 2% soggetta a compensazione nell’ora antecedente o successiva) e per le emittenti a pagamento un limite di affollamento orario decrescente nel tempo pari al 16% nel 2010, 14% nel 2011 e 12% nel 2012 e seguenti (più un’eccedenza oraria del 2% soggetta a compensazione nell’ora antecedente o successiva).
I fatti
Con delibera n. 233/11/CSP del 13 settembre 2011 (la “Delibera”), l’Agcom ha inflitto a Sky Italia s.r.l. una sanzione pari a 10.329 euro per il superamento del limite di affollamento orario pari al 14% più un’eccedenza oraria del 2% soggetta a compensazione nell’ora antecedente o successiva “oltre ogni ragionevole tolleranza”.
Secondo quanto rilevato dall’Agcom nell’esercizio del proprio potere di vigilanza, il giorno 5 marzo 2011 sul canale a pagamento Sky Sport 1 sono stati trasmessi 24 spot pubblicitari tra le ore 21 e le ore 22, pari ad una percentuale di affollamento del 16,78% che, tenendo conto dei frames neri inseriti nei break pubblicitari, scende al 16,44%.
A seguito della notifica della sanzione, l’emittente satellitare propone ricorso innanzi al TAR chiedendo l’annullamento della Delibera in quanto sarebbe stata adottata sulla base di una norma – l’art. 38, co.5 del TUSMAR – contraria al diritto dell’Unione.
Il giudice amministrativo, nutrendo forti dubbi sulla compatibilità della normativa nazionale rispetto al diritto dell’Unione, chiede che la Corte UE si esprima sulla compatibilità di tale normativa nazionale rispetto al diritto dell’Unione sia dal punto di vista della parità di trattamento delle emittenti televisive, sia dal punto di vista della libertà e pluralità dei media.
Più in particolare, il giudice a quo chiede se l’art. 38 co.5 del TUSMAR nel prescrivere limiti di affollamento pubblicitari più bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro sia in contrasto con:
- l’art. 4 paragrafo 1 della Direttiva AVMS, con il principio di parità di trattamento nonché con le libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (prima questione);
- la libertà di espressione e di informazione garantita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ed in particolare con il principio di pluralismo dell’informazione. Il TAR ritiene infatti che l’art. 38 introducendo una distorsione concorrenziale sia in grado di favorire la creazione o il potenziamento di posizioni dominanti (seconda questione).
Le conclusioni dell’Avvocato Generale
Nelle conclusioni rassegnate il 16 maggio 2013, l’AG Juliane Kokott con riferimento alla prima questione afferma che:
– l’art. 4, paragrafo 1 della Direttiva AVMS “consente espressamente agli Stati membri non solo di adottare norme più rigorose, ma anche più particolareggiate per i fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione”;
– la valutazione della compatibilità della normativa italiana con il principio generale di parità di trattamento deve essere valutato alla luce degli scopi perseguiti dalla norma nazionale che il TAR individua nella tutela dei consumatori da un lato e nel miglior trattamento – forse intenzionale – delle emittenti in chiaro rispetto a quelle pay dall’altro. In particolare, l’AG afferma che “se il punto focale è la tutela dei consumatori dalla pubblicità televisiva eccessiva, i limiti di affollamento pubblicitario differenziati tra televisione a pagamento e televisione privata in chiaro sono compatibili con il principio di parità di trattamento. Se invece il punto focale è l’intenzione di garantire alle emittenti televisive private maggiori entrate pubblicitarie, e quindi un miglior finanziamento, il principio di parità di trattamento vieta di prevedere a tal fine limiti di affollamento pubblicitario differenziati tra televisione a pagamento e televisione privata in chiaro”. L’AG non chiarisce quale dei due obiettivi sia prevalente e ritiene che la Corte debba rimettere al giudice del rinvio il compito di “trarne le necessarie conclusioni rispetto al principio generale di parità di trattamento”;
– una disciplina nazionale come quella italiana può comportare una restrizione alla libera prestazione dei servizi “in quanto limita la possibilità, per le emittenti italiane in generale e per le emittenti a pagamento in particolare, di diffondere pubblicità a beneficio degli inserzionisti stabiliti in altri Stati membri”, tuttavia una restrizione delle libertà fondamentali può essere ammessa se persegue uno scopo legittimo compatibile con il Trattato ed è giustificata da ragioni imperative di interesse generale. L’AG precisa che ove tale scopo venga individuato nella garanzia di maggiori entrate pubblicitarie alle emittenti in chiaro, la restrizione sarà inammissibile diversamente invece, nel caso in cui lo scopo sia la tutela del consumatore contro l’eccessiva pubblicità. Tuttavia, l’AG non si esprime sul punto e suggerisce alla Corte di rimettere la questione al giudice nazionale il quale dovrà accertare qual è l’obiettivo perseguito dalla normativa italiana.
Con riguardo alla seconda questione pregiudiziale sollevata dal TAR e relativa alla compatibilità della normativa di cui all’art. 38 TUSMAR con la libertà e il pluralismo dei media, l’AG suggerisce alla Corte UE di dichiarare irricevibile la domanda in quanto non contiene una quantità di informazioni sui mercati interessati e sulle vicende che li caratterizzano tale da permettere alla Corte di giustizia di dare una risposta chiarificatrice.
La decisione della Corte di giustizia
La decisione della Corte di giustizia è in linea con quanto espresso dall’AG nelle proprie conclusioni.
La Corte infatti ritiene che l’articolo 4, paragrafo 1, della Direttiva AVMS, nonché il principio della parità di trattamento e l’articolo 56 TFUE relativo alla libera prestazione di servizi “devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di massima, ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti televisive a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti televisive in chiaro, sempre che sia rispettato il principio di proporzionalità, circostanza che dev’essere verificata dal giudice del rinvio” (enfasi aggiunte).
In particolare, la Corte chiarisce che:
– in linea generale non è in contrasto con l’art. 4, paragrafo 1 della Direttiva AVMS una normativa nazionale che impone limiti di affollamento pubblicitario televisivo differenti a seconda che si tratti di emittente pay o in chiaro, sempre che “le norme che impongono tali limiti siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, ai suoi principi generali, tra i quali figura segnatamente il principio della parità di trattamento, nonché alle libertà fondamentali garantite dal Trattato”;
– “nel ricercare una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive e degli interessi dei telespettatori nel settore della pubblicità televisiva, il legislatore nazionale ha potuto stabilire, senza violare il principio della parità di trattamento, limiti diversi all’affollamento pubblicitario orario a seconda che si tratti di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro”. A tal riguardo la Corte ha rilevato che, alla luce del principio di parità di trattamento dell’Unione che richiede che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale (salvo che ciò non sia obiettivamente giustificato), la situazione delle emittenti pay e quella delle emittenti in chiaro non sia paragonabile sotto due diversi profili: quello degli interessi finanziari e quello dei telespettatori. Con riguardo al primo profilo, la Corte – così come l’AG – sostiene che la situazione sia differente in quanto le emittenti pay ricevono introiti dagli abbonati, quelle in chiaro invece raccolgono finanziamenti tramite la pubblicità o altre fonti. Da ciò ne deriva il diverso impatto finanziario della normativa in materia di affollamento pubblicitario. Con riguardo al secondo profilo, secondo la Corte, il telespettatore di un’emittente pay si trova in una situazione oggettivamente diversa da quella di un telespettatore di un’emittente in chiaro in quanto i primi, in virtù dell’abbonamento che hanno sottoscritto e del versamento del corrispettivo per la fruizione dei programmi, godono di un rapporto diretto con l’emittente;
– per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi – l’unica rilevante nel caso di specie -nonostante l’art. 38 co.5 del TUSMAR sia tale da costituire una restrizione a tale libertà, “la tutela dei consumatori contro gli eccessi della pubblicità commerciale costituisce un motivo imperativo d’interesse generale che può giustificare restrizioni alla libera prestazione dei servizi”.
La Corte, conformandosi all’opinione dell’AG dichiara irricevibile la seconda questione, in quanto il TAR nella decisione di rinvio non ha definito l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, né tanto meno ha spiegato le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono basate. Dunque, la decisione di rinvio “alquanto lacunosa per quanto concerne le informazioni relative, in particolare, alla definizione del mercato rilevante, al calcolo delle quote di mercato detenute dalle diverse imprese operanti nel mercato stesso e all’abuso di posizione dominante richiamato dal giudice del rinvio nella sua seconda questione” non consente alla Corte di esprimersi sul punto.
La Corte ha quindi affermato che la normativa italiana in materia di affollamento orario è in linea di massima conforme al diritto UE.
E in particolare?
L’art. 38, co.5 del TUSMAR rispetta il principio di proporzionalità?
L’art. 38, co.5 del TUSMAR introduce una distorsione concorrenziale in grado di favorire la creazione o il potenziamento di posizioni dominanti?
A tutti questi interrogativi la Corte non ha fornito una risposta decisiva: non ci resta che aspettare la pronuncia del TAR Lazio.