Il 24 novembre 2011 la Corte di Giustizia ha reso un’interessante pronuncia in materia di pubblicità televisiva e tempo di trasmissione (C-281/09, Commissione europea c. Regno di Spagna).
Data la valenza generale delle affermazioni della Corte nella sentenza in esame, nonostante questa si riferisca alla normativa in materia di limiti di affollamento pubblicitario anteriore alla Direttiva sui servizi di media audiovisivi (“Direttiva AVMS” – Direttiva 2010/13/UE), può ritenersi che esse siano applicabili anche al nuovo quadro normativo.
Le norme esaminate dalla Corte di Giustizia
Attraverso la sentenza in commento, la Corte di Giustizia ha interpretato alcune disposizioni della Direttiva Televisione Senza Frontiere (“Direttiva TVSF” – Direttiva 89/552/CEE, modificata dalla Direttiva 97/36/CE).
La Direttiva TVSF conteneva alcune norme minime in materia di tempo di trasmissione della pubblicità televisiva:
(i) i tempi di trasmissione degli “spot pubblicitari” e degli “spot di televendita” non devono superare i dodici minuti per ora di orologio;
(ii) l’affollamento di spot pubblicitari non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano;
(iii) i tempi di trasmissione delle “altre forme di pubblicità”, sommati a quelli degli “spot pubblicitari”, non devono superare il 20% del tempo di trasmissione quotidiano. Pertanto, alle “altre forme di pubblicità” si applica solo un limite di trasmissione quotidiano.
Il ricorso per inadempimento della Commissione europea
La Commissione europea ha presentato alla Corte di Giustizia un ricorso per inadempimento nei confronti del Regno di Spagna, per aver quest’ultimo applicato erroneamente le disposizioni in materia di tempo di trasmissione della pubblicità televisiva sopra citate. In particolare, la Commissione europea ha contestato al Regno di Spagna di avere consentito che taluni tipi di pubblicità televisiva (nella specie, “filmati pubblicitari”, “telepromozioni”, “annunci pubblicitari di sponsorizzazione” e “microspazi pubblicitari”), sulla base della loro asserita qualificazione come “altre forme di pubblicità”, venissero trasmessi per un tempo superiore al limite di dodici minuti per ora di orologio di cui al punto (i) che precede, pur costituendo, secondo la Commissione europea, “spot pubblicitari” ai sensi della Direttiva TVSF.
La Commissione europea ha proposto una distinzione tra “spot pubblicitari” e “altre forme di pubblicità” fondata sui principi affermati dalla Corte di Giustizia nel caso Reti Televisive Italiane S.p.A. (RTI) c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, secondo i quali:
• gli spot pubblicitari costituiscono “forme di promozione dalla durata solitamente assai breve, di forte impatto suggestivo, che sono presentati generalmente a gruppi secondo intervalli variabili all’interno di un programma o tra un programma e l’altro e vengono realizzati dalle stesse imprese fornitrici dei prodotti o dei servizi o da loro agenti pubblicitari, piuttosto che dalle stesse emittenti”;
• un tipo di pubblicità può essere qualificato come “altra forma di pubblicità”, soggetto al solo limite di trasmissione quotidiano, solo se le sue modalità di presentazione richiedono una durata più lunga per ineludibili esigenze tecniche. In tali casi, l’applicazione dei limiti di tempo di trasmissione previsti per gli spot pubblicitari porterebbe a svantaggiare tali altre forme di pubblicità rispetto agli spot.
Nel caso di specie, secondo la Commissione europea, le modalità di presentazione delle quattro forme di pubblicità trasmesse su canali spagnoli non richiedevano una durata superiore a quella degli spot pubblicitari e, pertanto, non si differenziavano da questi ultimi.
Il Regno di Spagna ha contestato tale tesi, sostenendo che, poiché la Direttiva TVSF non definisce né la nozione di “spot pubblicitari” né quella di “altre forme di pubblicità”, si tratterebbe di nozioni aperte suscettibili di interpretazione. In particolare, secondo il Regno di Spagna, le quattro forme di pubblicità trasmesse sui canali spagnoli non rientrerebbero nella nozione di “spot pubblicitari”, bensì in quella di “altre forme di pubblicità”, che potrebbero essere trasmesse prescindendo dal limite orario di dodici minuti, in considerazione della loro maggiore durata, della loro minore aggressività commerciale, alla luce del loro grado di suggestione nei confronti del consumatore e del grado di perturbazione da essi arrecato al godimento dei programmi.
L’inquadramento delle forme di pubblicità oggetto del ricorso della Commissione europea nella categoria degli “spot pubblicitari” o in quella delle “altre forme di pubblicità” ha un’innegabile rilevanza pratica, in quanto da esso dipende la questione se la loro trasmissione sia soggetta al limite orario di dodici minuti per ora di orologio o solamente al limite giornaliero.
L’interpretazione della Corte di Giustizia
La Corte di Giustizia osserva, preliminarmente, che il diritto dell’Unione europea non fornisce una definizione di “spot pubblicitari” e di “altre forme di pubblicità”, e non rinvia al diritto degli Stati membri per tali definizioni. In tale circostanza, come già chiarito in precedenza dalla stessa Corte, il senso e la portata delle nozioni di “spot pubblicitari” e di “altre forme di pubblicità” devono essere determinati alla luce (i) del contesto delle disposizioni in cui dette nozioni sono previste e (ii) degli scopi perseguiti attraverso tali disposizioni, affinché le nozioni medesime siano oggetto di un’interpretazione uniforme nell’Unione europea.
A tale riguardo, la Corte ricorda che uno degli obiettivi fondamentali della Direttiva TVSF è conciliare la libertà di fare pubblicità televisiva, che costituisce una fonte di entrate essenziale per le emittenti televisive commerciali, e un’adeguata protezione della categoria dei consumatori rappresentata dai telespettatori contro la pubblicità eccessiva. In considerazione di tale obiettivo, il legislatore dell’Unione ha introdotto dei limiti, giornalieri e orari, alla trasmissione di pubblicità televisiva. La distinzione tra limiti giornalieri e orari tiene conto del fatto che questi ultimi, a differenza dei limiti giornalieri, incidono direttamente sulle ore di maggiore ascolto, ossia le ore in cui il telespettatore necessita di una protezione rafforzata.
In merito alla distinzione tra “spot pubblicitari” e “altre forme di pubblicità”, la Corte ha accolto gli argomenti presentati dalla Commissione europea. Pertanto, la Corte ha concluso che qualsiasi tipo di pubblicità televisiva trasmessa tra un programma e l’altro, o durante le interruzioni, costituisce uno “spot pubblicitario” ai sensi della Direttiva TVSF, a meno che il tipo di pubblicità di cui trattasi rientri in un’altra forma di pubblicità espressamente disciplinata dalla Direttiva, come nel caso della “televendita”, ovvero richieda, per via delle sue modalità di presentazione, una durata superiore a quella degli spot pubblicitari, a condizione che un’applicazione dei limiti previsti per gli spot finisca per svantaggiare la forma di pubblicità in questione rispetto agli spot pubblicitari senza una valida giustificazione.
Ne consegue che il fatto che un determinato tipo di pubblicità abbia, per via delle sue modalità di presentazione, una durata leggermente superiore rispetto alla normale durata degli spot pubblicitari di per sé non è sufficiente per qualificarlo come “altra forma di pubblicità” e assoggettarlo, quindi, al ben più favorevole limite di trasmissione quotidiano.
Nel caso oggetto del ricorso della Commissione europea, ognuno dei quattro tipi di pubblicità trasmessi su canali spagnoli aveva una durata non superiore a due minuti. Pertanto, secondo l’interpretazione della Corte, tali tipi di pubblicità rientrano nella nozione di “spot pubblicitari” e non possono essere trasmessi per più di dodici minuti per ora d’orologio.
La Corte ha quindi ritenuto fondato il ricorso della Commissione europea e condannato il Regno di Spagna alle spese.
E’ interessante notare che, nonostante la Corte abbia seguito l’opinione dell’Avvocato Generale Yves Bot circa la fondatezza del ricorso della Commissione europea, l’impossibilità di qualificare le creazioni pubblicitarie oggetto di tale ricorso come “altre forme di pubblicità” è stata fondata su basi diverse dall’Avvocato Generale.
Per l’Avvocato Generale Yves Bot, infatti, il criterio utilizzato dalla Commissione europea, e affermato dalla Corte nel caso Reti Televisive Italiane S.p.A. (RTI) c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, per individuare le “altre forme di pubblicità” che potrebbero beneficiare della deroga al limite orario (criterio consistente nella durata degli annunci pubblicitari) equivarrebbe ad incoraggiare gli operatori economici ad inventare nuove forme di pubblicità che richiedano tecnicamente tempi di trasmissione più lunghi e a ridurre, in tal modo, l’effetto utile del limite orario, consistente come si è visto nella protezione dei consumatori contro una diffusione eccessiva della pubblicità nelle ore di massimo ascolto.
Secondo l’Avvocato Generale, le “altre forme di pubblicità” che possono essere tenute distinte dagli spot pubblicitari e che vengono menzionate nella Direttiva TVSF sono gli “annunci di sponsorizzazione”, più che forme di pubblicità che, in ragione di ineludibili esigenze tecniche, richiedono tempi di trasmissione più lunghi, come sostenuto invece dalla Commissione europea. Ciò sarebbe confermato anche dalla Direttiva 2007/65/CE (le cui disposizioni sono state consolidate nella Direttiva AVMS), che esclude dal limite orario, oltre agli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, gli “annunci di sponsorizzazione” e gli inserimenti di prodotti.
Pertanto, l’Avvocato Generale ha proposto alla Corte un superamento del criterio di individuazione delle “altre forme di pubblicità” fondato sul requisito dell’essere queste ultime “more time consuming”, al fine di evitare che l’interpretazione data alla nozione di “altre forme di pubblicità” privi di effetto utile il limite orario previsto dalla Direttiva TVSF.
Conclusioni
Secondo la Corte, un’interpretazione arbitraria, “caso per caso”, della nozione di “altre forme di pubblicità” consentirebbe alle emittenti di eludere i limiti orari di affollamento pubblicitario, il cui scopo è proprio tutelare i consumatori rispetto alla pubblicità eccessiva.
L’importanza dei limiti orari per il conseguimento di tale scopo risulta anche dalla scelta della Direttiva 2007/65/CE di abolire i limiti giornalieri di pubblicità televisiva e mantenere soltanto quelli orari, in quanto questi ultimi si applicano anche nelle ore di maggiore ascolto.
In Italia, il D. Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi – “Testo Unico”) prevede limiti orari e giornalieri di affollamento pubblicitario (segnatamente, un limite del 15% dell’orario giornaliero di programmazione, e un limite del 18% di una determinata e distinta ora d’orologio, mentre la proporzione di spot pubblicitari e di spot di televendita in una determinata e distinta ora d’orologio non deve superare il 20%).
Il limite di affollamento giornaliero può essere portato al 20% se comprende “altre forme di pubblicità” diverse dagli spot pubblicitari, fermi restando gli altri limiti di affollamento giornaliero e orario per gli spot pubblicitari. Inoltre, il tempo di trasmissione dedicato a tali “altre forme di pubblicità” non deve comunque superare un’ora e dodici minuti al giorno. Il Testo Unico non chiarisce cosa si debba intendere per “altre forme di pubblicità”, mentre è certo che tale nozione include forme di pubblicità quali televendite e telepromozioni, che sono “more time consuming” in conformità all’interpretazione della Corte di Giustizia nel caso Reti Televisive Italiane S.p.A. (RTI) c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, sopra citato.
Dopo la sentenza della Corte di Giustizia in commento sarà ancora possibile considerare “more time consuming” forme di pubblicità della durata inferiore a 2 minuti?