Con il parere n. 872/2011, il Consiglio di Stato è intervenuto nell’acceso dibattito relativo al beauty contest per l’assegnazione delle frequenze digitali in concomitanza con il progressivo switch off della televisione analogica.
Formulato su quesito del Ministero dello Sviluppo Economico, il parere chiarisce quale rilievo possa essere riconosciuto, nel contesto dell’attribuzione dei diritti d’uso delle frequenze radio da destinare ad attività di diffusione televisiva, al “principio di reciprocità” dettato dall’art. 16 delle disp. prel. Cod. civ. e dall’art. 25 del d. lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (c.d. “Codice delle comunicazioni elettroniche”).
Il dubbio circa l’applicazione del principio di reciprocità nel suddetto ambito nasceva dal fatto che:
– l’art. 16 delle disp. prel. Cod. civ. prevede una condizione di reciprocità generale, per cui “lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino” purché gli ordinamenti esteri presentino analoghi istituti di carattere non discriminatorio;
– l’art. 25[1] del Codice delle comunicazioni elettroniche prevede un’ipotesi di specifica reciprocità, “legata al requisito formale della nazionalità dell’impresa e non alle condizioni di controllo delle imprese”. In proposito, la norma delinea una bipartizione tra gli operatori italiani o UE (da un lato), e quelli di Paesi terzi (dall’altro), disponendo l’applicabilità a questi ultimi del regime autorizzatorio solo ove l’ordinamento di appartenenza preveda per le imprese UE condizioni di piena reciprocità.
Nel parere in commento, il Consiglio di Stato ha chiarito che secondo il diritto dell’Unione europea:
– la verifica di piena reciprocità è ammissibile solo per soggetti (persone giuridiche) di nazionalità straniera (i.e. “extra-UE”). Di frequente negli ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’UE si riscontrano disposizioni che inibiscono o comunque limitano gli investimenti finalizzati all’acquisto di partecipazioni significative o di controllo, da parte di soggetti esteri o, in ogni caso, di società controllate da soggetti di nazionalità o cittadinanza extra-UE. Pertanto, in presenza di simili disposizioni, in applicazione del principio di reciprocità risulta ammissibile (oltre che necessario secondo il disposto di legge) verificare che gli ordinamenti dei Paesi extraeuropei, o comunque le loro competenti autorità amministrative, non applichino restrizioni agli investitori – di qualunque Paese dell’UE –interessati a società target attive nel settore della diffusione televisiva su frequenze terrestri in Paesi extra-UE;
– il principio di reciprocità non può, invece, trovare applicazione nei confronti di soggetti di diritto italiano controllati da società stabilite in uno Stato membro dell’UE. Secondo il Consiglio di Stato, l’incompatibilità del principio di reciprocità con il diritto europeo deriva dalla necessaria applicazione del principio di libertà di circolazione nel mercato interno. Detto principio vieta, infatti, “ogni discriminazione basata sulla nazionalità e si fonda sulle libertà di circolazione delle persone e dei capitali, sulla libertà di stabilimento e su quella di prestazione dei servizi”. Pertanto deve riconoscersi effettiva operatività alla libertà di stabilimento sancita dall’art. 49 TFUE che, essendo una “libertà fondamentale protetta dal Trattato”, è fonte di precise posizioni giuridiche soggettive che“non ammettono temperamenti in forza di previsioni di legge nazionale”.
Nel raggiungere tali conclusioni, il Consiglio di Stato ha dato rilievo a quanto disposto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) con riferimento alla libertà di stabilimento nell’ambito delle gare per l’assegnazione delle frequenze disponibili in digitale terrestre. Al riguardo, il Consiglio di Stato ha ricordato che l’AGCOM:
– ha adottato la delibera n. 181/09/CONS relativa alla gara per l’assegnazione del c.d. “dividendo digitale”, disponendo che la partecipazione, sulla base del quadro normativo vigente, “è consentita a qualsiasi impresa stabilita nello SEE in possesso dell’autorizzazione generale di operatore di rete televisivo ai sensi dell’art. 25 del codice delle comunicazioni elettroniche” (vd. Allegato A, punto 8);
– ha previsto, con successiva delibera n. 497/10/CONS, che la presentazione della domanda alla gara per l’assegnazione delle frequenze digitali è consentita a “qualsiasi impresa stabilita nello SEE in possesso dell’autorizzazione generale di operatore di rete televisivo ai sensi dell’articolo 25 del Codice delle comunicazioni elettroniche” (vd. Allegato A, art. 6).
Secondo il Consiglio di Stato, pertanto, il principio della libertà di stabilimento non può essere “temperato” attraverso l’introduzione di ulteriori requisiti più rigorosi, quali le condizioni di reciprocità, che si risolverebbero sia in un effettivo pregiudizio a danno delle imprese dell’UE in violazione delle libertà fondamentali salvaguardate, che in un’obiettiva deroga ai vincoli imposti dall’ordinamento dell’UE per lo svolgimento delle gare pubbliche.
Se ne può desumere che, alla luce della prevalenza della libertà di stabilimento riconosciuta alle imprese dell’UE, viene dato così – indirettamente – il “via libera” alla partecipazione alla gara da parte degli operatori extra-UE che utilizzano veicoli stabiliti nel territorio dell’Unione.
Le società italiane, dunque, benché facenti parte di un gruppo controllato da società extra-UE, potranno legittimamente partecipare al beauty contest sul presupposto che le medesime “non possono essere considerate persone giuridiche straniere ai sensi dell’art. 16 comma 2 delle preleggi al codice civile”.
Chi volesse leggere dietro alle righe concluderebbe che – con il parere in commento – Sky Italia passa anche il secondo esame per accedere al mercato della tv digitale.
Ma i giochi non sembrano ancora conclusi. Occorre ricordare in proposito che la Commissione europea, dopo aver constatato il mutamento delle circostanze di mercato verificate nel 2003 con riferimento alla concentrazione tra Telepiù e Stream (v. Caso COMP/M.2876 – Newscorp/Telepiù), con propria decisione del 20 luglio scorso ha di fatto “liberato” Sky Italia, controllata da News Corporation, dagli impegni che le impedivano di richiedere un’autorizzazione come operatore di rete o servizi nel campo del digitale terrestre fino al 31 dicembre 2011. Contro la decisione della scorsa estate, tuttavia, Reti Televisive Italiane e Elettronica Industriale hanno già proposto ricorso (Causa T-506/10).
[1] La citata norma recita: “Le disposizioni del presente Capo si applicano anche ai cittadini o imprese di Paesi non appartenenti all’Unione europea, nel caso in cui lo Stato di appartenenza applichi, nelle materie disciplinate dal presente Titolo, condizioni di piena reciprocità.”
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bellissimo e interessante!