Con una mano dietro la schiena. I limiti “democratici” del contact tracing

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*le opinioni espresse in questo contributo rappresentano la personale posizione dell’autrice e non impegnano in alcun modo l’Autorità di appartenenza.

  1. Il diritto e l’emergenza

La pandemia ha rappresentato uno “stress test” importante per lo Stato di diritto, il momento elettivo per quelle tragic choices (tra diritti, tra principi, tra obiettivi) dalla cui definizione si riconosce la democrazia, che lotta sempre – scrisse Ahron Barak[1] – con una mano dietro la schiena. Per il nostro ordinamento – che rifiuta l’idea secondo cui necessitas non habet, sed ipsa sibi facit legem– la prova è stata difficile forse quanto quella dell’eversione interna. Nonostante il carattere sanitario dell’emergenza (a fronte di quello politico-di ordine pubblico degli anni di piombo, più strettamente connesso a profili ordinamentali) le sue implicazioni di ordine costituzionale e, in senso lato, giuridico e politico sono sin da subito apparse rilevantissime.

Sono riemerse, quasi carsicamente ma con accenti nuovi, le vecchie tensioni tra i vari livelli di governo (e, di riflesso, all’interno del sistema delle fonti), tra centro e territorio, si è posto con urgenza il tema del contributo della scienza alla decisione pubblica e, quindi, dell’autonomia della politica, si è declinato in forme nuove il rapporto tra regola ed eccezione, tra libertà e limite, tra personalismo ed istanze solidaristiche.

La drammaticità del contesto ha imposto soluzioni a volte disorganiche, contingenti, avulse da una strategia unitaria, almeno in prima istanza. Avvertitasi l’esigenza di un maggiore coordinamento, il raccordo normativo tra le varie misure adottate è stato affidato alla sinergia tra decretazione d’urgenza e poteri di ordinanza (di protezione civile e non). In questo schema (già ricorrente negli ultimi anni, in contesti analoghi) il decreto-legge ha, generalmente, confermato (elevandone la fonte) le misure previste con ordinanza. Benché dotata di ampi poteri derogatori, infatti, anche l’ordinanza di protezione civile non può, come noto, normare materie coperte da riserva di legge assoluta e, per quelle a riserva relativa, non può contrastare con la disciplina di settore (oltre che con i principi generali dell’ordinamento interno e unionale).

Le significative limitazioni di alcuni diritti fondamentali (libertà di circolazione, religiosa, di iniziativa economica, diritto allo studio, al lavoro e per certi versi persino libertà personale) imposte, per garantire il distanziamento sociale, con mere ordinanze hanno così visto confermata la loro efficacia attraverso lo strumento elettivo assegnato in Costituzione all’esecutivo, per il governo dell’emergenza: il decreto-legge.  Sarebbe stato, certamente, più opportuno ricorrere sin da subito (almeno) alla decretazione d’urgenza per l’introduzione di misure così fortemente limitative di diritti fondamentali (non solo di libertà), ma nel merito le misure adottate sono apparse per lo più coerenti con l’esigenza di contenimento del contagio.

L’intensità stessa delle limitazioni assunte sembra, nel complesso, aver ragionevolmente modulato la garanzia dei diritti individuali incìsi e la componente solidaristica del diritto alla salute, quale interesse generale da tutelare in termini di sanità pubblica. Queste misure imposte a tutela, soprattutto, delle fasce più vulnerabili della popolazione- maggiormente esposte al rischio di una malattia dal decorso infausto- possono, insomma, ritenersi il prezzo da pagare per consentire ad Enea di portare sulle sue spalle Anchise, come ci ha ricordato Laura Marchetti sulle pagine del Manifesto.

Le stesse norme speciali in materia di protezione dati (contenute nell’ordinanza di protezione civile del 3 febbraio e, quindi, nel d.l. 14/2020, rifluito poi nell’art. 17-bis d.l. 18/20, convertito con modificazioni dalla l. 27/2020) si sono dapprima limitate all’ambito di comunicazione (certamente ampio) dei dati sanitari, per ovvie esigenze di contenimento epidemiologico e all’informativa semplificata, senza tuttavia legittimare raccolte di dati particolarmente “innovative”.

La legittimità di tali deroghe si è fondata essenzialmente- come si evince anche dal richiamo contenuto nelle stesse norme- sulle limitazioni dei diritti degli interessati rese possibili dall’art. 23 Gdpr, per esigenze, tra l’altro, di sanità pubblica.  Esigenze che, (al pari del “soccorso di necessità” ) rappresentano peraltro autonomi presupposti di liceità del trattamento di dati, tanto comuni quanto particolari.

Ben diverso impatto ha avuto la previsione del contact tracing (art. 6 d.l. 28/20), preceduta e seguita da un dibattito – non solo politico – di ampiezza pari forse soltanto a quello che ha riguardato il processo (in particolare penale) da remoto.

In un contesto di generale marginalizzazione delle Camere (coinvolte prevalentemente in sede di conversione o d’indirizzo e controllo) e della stessa normazione primaria in favore di fonti più duttili anche sotto il profilo procedimentale, sul terreno del contact tracing è stata pressoché unanime – come ha osservato il presidente Soro – la rivendicazione del vaglio parlamentare (almeno, appunto, in sede di conversione) e della necessaria previsione legislativa. L’invocazione, da più parti e da forze politiche di orientamento diverso, di una definizione normativa che circoscriva le possibilità di limitazione della privacy individuale nella misura strettamente indispensabile al contenimento del contagio, selezionando le soluzioni tecnologiche meno invasive, rappresenta indubbiamente un dato importante. Esprime una presa di coscienza profonda delle implicazioni che, sulla tenuta della democrazia, hanno le misure incidenti sulla protezione dati, toccando un nervo scoperto del rapporto tra libertà e solidarietà, diritto e tecnica, garanzie e potere.

 

  1. Il contact tracing

Il dibattito italiano sul contact tracing si è potuto, del resto, avvalere di alcune indicazioni importanti rese sul punto sia in ambito interno che sovranazionale[2]. Sotto il primo profilo, infatti, il Presidente del Garante, sin dall’inizio del mese di marzo, ha chiarito come le limitazioni del diritto alla protezione dati, benché preordinate a esigenze di sanità pubblica, possano ammettersi solo in quanto conformi ai principi di necessità e proporzionalità, con carattere di temporaneità commisurata al protrarsi dell’emergenza, nel rispetto del contenuto essenziale del diritto che, secondo l’art. 52 della Carta di Nizza, deve restare intangibile. In ordine allo specifico profilo del contact tracing, poi, in sede di audizione dinanzi alla IX Commissione della Camera egli ha fornito alcune indicazioni essenziali che sono risultate poi determinanti per la relativa disciplina proposta dal Governo.

In audizione si è, infatti, sottolineato anzitutto come il fine sotteso alle limitazioni della privacy incida in misura rilevante sul complessivo bilanciamento tra gli interessi in gioco, orientando diversamente il “pendolo” del giudizio di proporzionalità. Si è rilevato, in questo senso, come l’utilizzo dei dati dei soggetti contagiati per ricostruire la catena epidemiologica abbia una rilevanza assai diversa da quella propria dell’utilizzo degli stessi dati a scopi di controllo dell’osservanza degli obblighi di permanenza domiciliare. Il fine non già repressivo ma solidaristico, individuabile cioè nell’esigenza di sottoporre ad accertamenti quanti siano entrati potenzialmente in contatto con l’interessato o comunque di adottare le misure utili a prevenire il contagio, appare infatti non solo maggiormente apprezzabile in termini di utilità sociale ma, soprattutto, difficilmente perseguibile altrimenti. Analogo giudizio di indispensabilità e non sostituibilità non potrebbe, invece, estendersi all’utilizzo dei dati di (prossimità o) mobilità a fini repressivi, dovendo ritenersi a tal fine sufficiente la sanzione (nei casi più gravi anche penali) prevista in caso di violazione degli obblighi di distanziamento sociale. L’utilizzo del telefono come fosse una sorta di braccialetto elettronico atipico da cui trarre indici della condotta individuale presuppone infatti – ha sottolineato il Presidente-la sostituzione, con l’occhio elettronico, dei controlli “umani”, ritenendoli per ciò solo inefficaci e dando per acquisito che chi decida di violare gli obblighi di permanenza domiciliare porti con sé il telefono, il che è evidentemente contro-intuitivo.

Si è sottolineata poi l’esigenza, una volta delineato il fine, di selezionare tipologie di dati e modalità di trattamento effettivamente proporzionali, idonee a minimizzarne l’incidenza sui singoli, preferendo appunto ai dati di geolocalizzazione i dati di prossimità dei dispositivi, più selettivi e come tali maggiormente idonei a ricostruire la catena dei contatti, sebbene con un’ingerenza minore nella privacy individuale. Si è chiarito, insomma, come debbano potersi davvero tracciare solo i contatti, non le persone.

Importante anche il rilievo inerente la necessaria complementarietà del contact tracing rispetto ad altre strategie di prevenzione epidemiologica (in particolare, gli accertamenti sanitari) senza le quali l’individuazione della catena dei contatti non avrebbe reale utilità, superando i limiti del mero soluzionismo (e riduzionismo) tecnologico.

Si è, infine, indicato nella volontaria adesione al sistema di contact tracing (insuscettibile di condizionamento neppure indiretto) il presupposto (conforme al principio di sussidiarietà orizzontale) di un trattamento fondato, però, in base a una previsione normativa adeguata, sul perseguimento di un fine di interesse pubblico, secondo quell’idea di libertà solidale che sarebbe stata poi auspicata dall’Edpb[3]. Le garanzie di protezione dati assumerebbero, in tal senso, un ineludibile presupposto di fiducia in un sistema fondato sulla volontà individuale, ma per la cui efficacia è necessaria un’ampia adesione, scoprendo come quella rappresentazione, in termini conflittuali, di salute pubblica e privacy, celi invece più profonde sinergie.

Questo schema sarebbe, del resto, l’unico a poter tenere conto da un lato della valenza intrinsecamente pubblicistica del trattamento[4]e, dall’altro, della difficile coercibilità di un obbligo – ove tale venisse configurato – di tracciamento fondato necessariamente sulla cooperazione del soggetto, che dovrebbe appunto spostarsi, pena sanzione, sempre portando con sé un telefono di ultima generazione e sufficientemente carico.

E al di là di questo estremo, resta comunque significativo, se non altro sotto il profilo antropologico, che i contatti tra persone (e, quindi, i potenziali contagi) siano desunti dalla prossimità dei telefoni, quasi fossero una protesi del corpo. Sovviene, in proposito, un passaggio della Sentenza della Corte Suprema americana, Riley vs California, del 2014: “I moderni cellulari sono oggi così presenti e pervasivi nella vita quotidiana che il proverbiale visitatore da Marte potrebbe ritenerli una fondamentale caratteristica dell’anatomia umana”.

Alle indicazioni fornite dal Garante (anche con il parere del 29 aprile) sembra conformarsi la previsione dell’art. 6 d.l. 28/20,  che nell’istituire una piattaforma unica nazionale, presso il Ministero della salute, per la gestione del sistema di allerta da potenziale contagio, delinea un trattamento segmentato per fasi e strutture, valorizzando: il carattere volontario dell’adesione al sistema di tracciamento (escludendo ogni tipo di pregiudizio in caso contrario), la minimizzazione dell’impatto del trattamento in ragione della tipologia di dati raccolti (dati di prossimità dei dispositivi e non di geolocalizzazione), conservati, per il tempo strettamente necessario, in forma pseudonima (con misure per evitarne il rischio di reidentificazione) quando non addirittura anonima, l’esclusiva finalizzazione del sistema alla ricostruzione della catena epidemiologica(con possibilità di trattamento per fini diversi quali in particolare la ricerca scientifica, solo in forma aggregata o comunque anonima, nei termini previsti dal Regolamento), l’agevolazione dell’esercizio dei diritti degli interessati anche mediante modalità semplificate, la trasparenza del trattamento sia verso gli aderenti al sistema, sia verso la collettività tutta (prevedendo in particolare programma a titolarità pubblica e  licenza aperta), la reciprocità di anonimato tra gli utenti, la temporaneità del sistema, attivo esclusivamente in costanza dell’emergenza, con cancellazione o anonimizzazione dei dati entro il 31 dicembre prossimo, l’interlocuzione con il Garante non solo in sede di consultazione preventiva ma anche di adozione di provvedimenti ex art. 2-quinquiesdecies d.lgs. 196/2003.

La valutazione d’impatto (che peraltro l’Edpb aveva suggerito di rendere pubblica e che dovrà essere costantemente aggiornata) rappresenterà, certamente, un importante momento di verifica della conformità, ai criteri su indicati, del sistema nel suo concreto sviluppo (sul quale peraltro il Copasir ha avanzato talune perplessità).

Resta, però, la rilevanza di un percorso normativo che- all’esito di un proficuo dialogo tra Governo, Camere e Garante e tenendo conto delle indicazioni europee- ha contribuito almeno sin qui a definire[5], al punto forse più alto, un equilibrio democraticamente sostenibile tra salute (nella sua duplice componente di diritto fondamentale e interesse collettivo), tecnica e protezione dati.

 

 

 

[1]H.C. 5100/94, Pub. Comm. Against Torture in Isr.v. Gov’t of Israel, 53(4) P.D. 817, 845 (v. anche A. BARAK, Foreword: A Judge on Judging – The Role of a Supreme Court in a Democracy, in Harv. L. Rev., 116, 2002, p. 148).

[2]Si pensi, in particolare, al “toolkit” del Consiglio d’Europa del 7 aprile “Respecting democracy, rule of law and human rights in the framework of the COVID-19 sanitary crisis “, alla Raccomandazione della Commissione europea dell’8 aprile, alla Risoluzione del Parlamento europeo del 15 aprile, alle Linee guida del 21 aprile dell’EDPB, .

[3]G. PITRUZZELLA, O. POLLICINO, La via europea tra libertà e solidarietà, in Il Sole 24 ore, 28.4.20

[4]Che rende se non altro inappropriato individuare il consenso quale presupposto di liceità, anche in ragione dei limiti che incontra in ambito pubblico sotto il profilo della libera autodeterminazione.

[5]Al momento in cui si scrive la prima lettura parlamentare del disegno di legge di conversione del decreto-legge è agli inizi: il termine per la presentazione degli emendamenti in Commissione è stato fissato, infatti, al prossimo 27 maggio.

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