L’era della profilazione dell’utenza web è in procinto di raggiungere l’apice con la “nuova” idea espansiva ed invadente Facebook per un completo posizionamento concorrenziale nei confronti della rivale storica che inizia per “G” e finisce per “oogle”.
Parliamo della cosiddetta “colonizzazione del web“, fenomeno osservato da tempo dagli utenti attenti della rete, vissuto con inconsapevole entusiasmo dai meno avveduti (la stragrande maggioranza, fidatevi) ed ora in drastico e dilagante sviluppo.
Mi spiegherò meglio, la colonizzazione del web è l’ultima fase del progetto “web piglia tutto” di Mark Zuckerberg, non che si tratti del vero nome del progetto ma rende sicuramente l’idea, e che idea!
Mediante Open Graph Protocol (http://developers.facebook.com/docs/opengraph) Facebook si espande a macchia d’olio dalla fine del 2009 e sono sicurissimo che ne averete già avvertito l’ingombro, anche se continuate a non capire bene di che si tratti.
Bene, Open Graph Protocol è la materia prima delle API di Facebook, per intenderci, le icone “Facebook Connect” presenti sul web sui cosiddetti “siti satellite“, siti in tutto o in parte integrati con Il social network grazie al “login remoto”, la possibilità di poter usufruire delle fantastiche applicazioni remote facenti capo a Facebook, per intenderci ancor meglio il “consiglia” a piè di pagina di ogni articolo di questo blog o la chat presente su questo sito http://www.radiobocconi.it/onair come in tanti altri.
Confidando nella chiarezza della precedente spiegazione “for dummies” cercherò di farvi focalizzare una serie di problemi che potrebbero scaturire da questa deriva espansionistica in un territorio, quello del web, che vede contrapposte una F(acebook) e una G(oogle) circondate da realtà di dimensioni microscopiche, due evidenti “mostri” in uno scenario ultra-frammentato, un terreno fertile di “dati” da raccogliere, conquistare e cedere, verso congruo compenso, alle migliaia di clienti accaparrati in questi anni di lotta fratricida, un processo che è già drammaticamente iniziato a discapito degli utenti (http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2010-10-18/facebook-farmville-violazione-privacy-133219.shtml?uuid=AY44wPbC).
A questo punto sarebbe lecito farsi più di una domanda:
1 – “qual è il vero scopo che Facebook si prefigge attraverso la “colonizzazione”?
2 – “che fine fanno i nostri dati personali, da quale disciplina ne è regolato il trattamento?”
3 – “è lecito pensare ad un web di proprietà o quantomeno monopolizzato?”
(1) Il vero scopo è la diffusione o il semplice utilizzo dei dati raccolti in funzione di miratissime campagne commerciali, già iniziate sulla piattaforma e presto presenti anche sui “siti satellite”, la vera arma di distruzione di Google in grado di ridurre AdWords e AdSense a “passato remoto”.
Vi ho appena fornito il vero motivo per cui nell’autunno 2007 Google era del tutto intenzionata ad entrare in Facebook acquistandone l’ 1,6% a 240 milioni di dollari, semplicemente per il timore che si potesse realizzare quello che sta avvenendo.
Una profilazione dettagliatissima, basata su dati forniti e preferenze raccolte attraverso la normale vita sociale dell’utente, un livello di personalizzazione delle campagne pubblicitaria che un freddo algoritmo basato su chiavi di ricerca non potrà mai eguagliare.
(2) Premesso che il grande potere del Social Networking e quindi di Facebook è la raccolta di dati personali e sensibili con il minimo dello sforzo, dati che nel cammino verso il web semantico (Web 3.0) risultano essere paragonabili a danaro, a montagne di danaro, lo scopo è quello di raccoglierne quanti più possibili !
Ora, per farvi intendere al meglio, presumendo la “Buona Fede” di Facebook, mi immedesimerò nel un nuovo ed inconsapevole utente, guardando l’insieme con “l’occhio del giurista”:
– noto subito un’anomalia (presente in una pluralità di social network e non solo) che balza subito all’occhio del giurista: la mancanza di un minimo di “informativa al trattamento dei dati personali” tanto decantata dalla nostra 196/2003 ma non vincolante per le realtà con sede all’estero e che , sempre all’estero operano la totalità del il trattamento di tali dati;
– consapevole dell’esenzione, vado avanti, la procedura mi propone l’inserimento del “nome” e del “cognome” e del “sesso” come requisito minimo per l’accesso al servizio, a questo punto penso subito al 196/2003 e all’articolo 11.1(d) [. I dati personali oggetto di trattamento sono: d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti e successivamente trattati] poi ricordo dell’esenzione anzidetta e vado avanti e ora viene il bello;
– una volta iscritto, in basso a destra in piccolissimo, c’è un bel collegamento “privacy” e un’affermazione non proprio confortante ” CONTROLLA IL MODO CON CUI CONDIVIDI”, in eccesso di buona fede scorro una normativa “autoctona” a tratti simpatica, legata al concetto di “buona fede”, di “amicizia”, di “condivisione”, a tratti interrotta da affermazioni cubitali nello stile dell’intestazione.
La Privacy di cui si “preoccupa” Facebook è il modo con cui i dati e gli elementi da Noi condivisi, vengono resi pubblici o meno ai in nostri contatti ma quello che effettivamente insoluto a tutti gli effetti è il modo in cui sono trattati da chi ha indiscriminato accesso a tutte le informazioni acquisite: Facebook stesso.
Approfondendo la ricerca e, inforcando un paio di occhiali in cerca di qualche collegamento ipertestuale bizzarro e scritto in caratteri illeggibili, trovo come ultimo link della pagina, nella sezione “Risorse aggiuntive sulla privacy” la
“Notifica Generale Safe Harbor“.
Tiro un sospiro di sollievo, finalmente una risposta ai dubbi sorti precedentemente, una risposta concludente, un testo giuridico…ci si mette davvero poco a trovare l'”inghippo”!
Il motivo per cui Facebook e altri Social Network (ad esempio Linkedin) possono bellamente ignorare qualsiasi normativa stringente è : in primis questa delibera rimasta intatta dal 2001 (http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=30939) la quale, in brevissimo, autorizza il trasferimento dati dal territorio italiano a quello Usa (in ragione del trattato “Safe Harbor“) e delega la raccolta e il trattamento dei dati personali e sensibili alla normativa statunitense, una normativa di per sè inconsistente, insufficiente a limitare ciò che sta accadendo, ad arginare un uso spropositato e dubbiamente legale di una mole colossale di dati.
A proposito dei poteri di azione, in ossequio della normativa anzi-citata “Il Garante si riserva di svolgere, in conformità alla normativa comunitaria, alla legge n. 675/1996, all’art. 3 della Decisione della Commissione e all’allegata FAQ. n. 5, i necessari controlli sulla liceità e correttezza dei trasferimenti e delle operazioni di trattamento anteriori ai trasferimenti medesimi, nonché sul rispetto dei predetti Principi, e di adottare eventuali provvedimenti di blocco o di divieto di trasferimento”
Il garante è spogliato da un potere di controllo e azione che, a mio personalissimo avviso, dovrebbe quantomeno essergli concesso, seppur in via straordinaria.
(3) Per la risposta alla terza domanda lascio il parere al lettore attraverso la funzione commenti, ma rispondete sinceramente anche quest’altra domanda: dopo aver letto questo post, clickereste ancora sul pulsante “mi piace” ?