Caratteristiche e attività del “peer-to-peer lending”

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  1. Attività delle piattaforme di peer to peer lending.

I modelli operativi del “peer-to-peer lending” possono essere i più vari così come le operazioni contrattuali, i diritti e gli obblighi delle parti. Volendo provare a inquadrare la figura, è possibile individuare nella sua struttura la presenza di tre contratti. Un contratto di mutuo tra finanziato e finanziatore; un contratto tra mutuante e piattaforma; un contratto tra mutuatario e piattaforma[1].

Ai fini della presente indagine, attesa la particolare carica innovativa di tale operazione, è necessario chiarire che l’attività di lending effettuata mediante piattaforme peet – to – peer è, nella sostanza, una relazione trilaterale tra mutuante, mutuatario e piattaforma che offre il servizio di pagamento e sulla quale, mediante la gestione di appositi conti di pagamento, vengono fatte transitare le somme oggetto del contratto di mutuo, considerato che il credito è erogato solo e soltanto dai prestatori.

La raccolta del risparmio presso il pubblico con obbligo di rimborso unita all’erogazione di finanziamenti ovvero collegata all’emissione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata da parte del cliente, qualificano invece l’attività bancaria, rientrando nella riserva legale prevista dagli artt. 10 e 11 T.U.B.[2]

In tal senso la Banca d’Italia, nel 2016, ha pubblicato le nuove Disposizioni in materia di raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche, chiarendo che per quanto riguarda i gestori, non integra raccolta di risparmio tra il pubblico: i) la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento dai gestori medesimi, se autorizzati ad operare come istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari di cui all’art. 206 T.U.B. autorizzati a prestare servizi di pagamento ai sensi dell’art. 114-novies, comma 4, del T.U.B.; ii) con riferimento ai prestatori, l’acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate con i singoli finanziatori. Sul punto la Banca d’Italia ha precisato che sono da considerare trattative personalizzate, se la volontà di prenditori e finanziatori incide realmente sulla determinazione delle clausole del contratto, limitandosi, il gestore del portale, a svolgere un’attività di supporto delle trattative.

Resta ferma la possibilità di raccolta senza limiti da parte di banche che esercitano anche attività di social lending attraverso portali on-line[3].

Seppur indirettamente, è poi intervenuta sulla questione la legge di bilancio 2018 (l. n. 27 dicembre 2017 n. 205), che ha introdotto uno speciale regime fiscale sui proventi derivanti da attività di peer to peer lending, ricomprendendo tra i redditi di capitale i «proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (piattaforme di peer to peer lending)», sempre che tali piattaforme siano gestite da società autorizzate da Banca d’Italia in quanto finanziarie ex art. 106 T.U.B.[4]

A tale proposito si notano, seppur in maniera embrionale, provvedimenti che ambiscono a tipizzare la fattispecie, chiarendo la presenza di un soggetto finanziatore non professionale.

Questa conclusione porterebbe ad escludere la disciplina della trasparenza bancaria al rapporto di mutuo sussistente tra finanziatore e finanziato concluso tramite piattaforma. Tuttavia, è interessante evidenziare che tali contrattazioni avvengono in ambienti gestiti da piattaforme esercenti attività professionale e imprenditoriale che si relazionano con i consumatori, così che non sembra si possa prescindere da principi come la buona fede, la correttezza, la diligenza professionale i quali, anzi, assumono un ruolo ancora più rilevante, in considerazione delle particolari condizioni in cui si svolge l’attività contrattuale[5].

  1. Le caratteristiche della piattaforma di peer to peer lending.

Una delle caratteristiche emblematiche delle piattaforme di peer to peer lending è rappresentata dall’assegnazione di un tasso di remunerazione che si può giustificare sulla base dell’elevato rischio accettato dagli investitori che contribuiscono al finanziamento del prestito. Il prestito, infatti, non è assistito da nessuna garanzia, né personale né reale.

Pertanto i rischi sono molteplici. Per i prestatori: a) un rischio di credito derivante da decisioni di investimento in funzione di remunerazioni non del tutto realistiche; a perdita del capitale investito a causa dell’insolvenza del debitore o della piattaforma; a perdita dei flussi di rimborso per inefficienze nella riscossione da parte della piattaforma; a inefficienze nella valutazione del merito creditizio dei richiedenti; b) un rischio di frode determinato da condotte fraudolente del debitore, bassi standard di sicurezza della piattaforma o furti e abusi di identità digitale; c) asimmetrie informative, difficoltà a riconoscere eventuali conflitti di interesse specie delle piattaforme e rischi legali; d) rischi operativi quali il malfunzionamento delle piattaforme.

Invece, per quanto concerne i richiedenti, si possono porre i rischi di poca chiarezza delle condizioni, i rischi di reputazione, i rischi legali, il rischio di liquidità quando i prestatori non provvedano a trasferire i fondi concordati[6].

È proprio la presenza di un tasso di rischio così elevato che rende particolarmente rilevante la tematica della regolamentazione e dell’applicabilità ai nuovi soggetti delle disposizioni del T.U.B.  e della vigilanza.

  1. Autorizzazione e vigilanza delle piattaforme di peer to peer lending.

Gli imprenditori che operano nel settore del peer – to – peer lending sono, in primo luogo, soggetti al fenomeno autorizzativo. Il rilascio dell’autorizzazione avviene al termine di una procedura di verifica, in cui la Banca d’Italia esamina la solidità, finanziaria che gestionale, della società richiedente.

Il procedimento inizia con la stipula dell’atto costitutivo e sono gli amministratori a depositare la domanda di autorizzazione, che deve tassativamente contenere, oltre all’atto costitutivo, una serie di altri documenti. Nello specifico, la domanda deve riportare la prova che il soggetto: a) possieda la forma della società per azioni, b) abbia la sede legale all’interno del territorio della Repubblica Italiana e c) abbia capitale sociale versato non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia. L’ammontare minimo del capitale può variare in base all’attività che l’istituto di pagamento svolge in concreto.

Inoltre, la Banca d’Italia autorizza, in relazione alla predisposizione di un programma di attività che chiarisca i servizi di pagamento che l’istituto intende svolgere, le linee di sviluppo e gli obiettivi perseguiti, oltre agli investimenti previsti per esercitare l’attività.

Tale programma deve essere seguito da una documentazione che chiarisca l’organizzazione che si vuole creare, una stima dei risultati economici attesi per i primi tre anni e le misure adottate per tutelare i fondi ricevuti dalla clientela[7]. Previa verifica delle suddette condizioni, la Banca d’Italia rilascia l’autorizzazione non oltre novanta giorni dalla data di deposito della domanda. Al rilascio dell’autorizzazione, l’organo di amministrazione può iscrivere la società nel Registro delle Imprese, mentre la Banca d’Italia lo iscrive presso l’albo speciale degli Istituti di Pagamento cui all’art. 114-septies del T.U.B.

Gli Istituti di pagamento sono anche soggetti all’attività di vigilanza ispettiva e informativa, di monitoraggio e controllo della consistenza patrimoniale poste in essere dalla Banca d’Italia. Tali nuovi operatori sono soggetti a regole che, così come avviene per le banche, impongono di destinare determinate somme di denaro per far fronte ai rischi connessi ai servizi di pagamento.

Infine, la Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 (aggiornata al 2 luglio 2013) stabilisce il requisito patrimoniale da rispettare, precisando al Titolo I, Capitolo 2, Sezioni I e II, gli elementi positivi e negativi da utilizzare per la copertura dei rischi e delle perdite aziendali.

In particolare, il Patrimonio di Vigilanza viene costituito dal patrimonio di base e dal patrimonio supplementare al netto delle deduzioni[8]. In ogni caso, l’importo del patrimonio di vigilanza non può risultare inferiore al livello di capitale minimo iniziale richiesto per la costituzione dell’Istituto di Pagamento[9].

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[1] Sul punto si veda, E. Capobianco, Il “Peer – to Peer lending”, in FinTech, a cura di F. Fimmanó e G. Falcone, Napoli, 2019, pag. 230 ss., il quale ritiene necessario esemplificare al fine di chiarire la struttura operativa delle piattaforme, richiamando una delle piattaforme più diffuse in Italia: Smartika. Essa si propone dichiaratamente di presidiare la piattaforma e, in particolare, di prestare i servizi di pagamento ed incasso necessari al regolamento dei finanziamenti conclusi su di essa. Qualora l’utente, sia esso richiedente che prestatore, intenda effettivamente operare sulla piattaforma, deve sottoscrivere un apposito Contratto Quadro con Smartika. Ai fini di tali operazioni di pagamento, Smartika apre all’utente un conto di pagamento; tutti i pagamenti avvengono attraverso i rispettivi conti di pagamento.

[2] MACCHIAVELLO E., Una nuova frontiera del settore finanziario solidale: micro finanza e peer to peer lending, in Banca, Impresa, Società, II, 2013, pag. 302.

[3] Un esempio è dato da Prestobene di Banca Prossima che consente alle persone – fisiche e giuridiche – di prestare denaro ai progetti Non-profit in modo diretto, senza intermediazione e – a quello che assicura la pagine di presentazione del sito, con la “pignoleria” di una banca, E. Capobianco, Il “peer to peer lending”, cit, p. 236.

[4] Sempre E. Capobianco, op.cit.

[5] E. Capobianco, Profili generali della contrattazione bancaria, I contratti bancari, in Trattrato dei contratti, P. Rescigno e E. Gabrielli (a cura di), Milano, 2016, pag. 40 e ss.

[6] L. Gibilaro, Peer to peer lending: mito o realtà? Italia ed esperienze internazionali a confronto, Roma, 2016.

[7] Fanno parte della domanda di autorizzazione della domanda, assieme alla mappa del gruppo al quale appartiene l’istituto, le informazioni riguardanti i soggetti che partecipano direttamente o indirettamente, al capitale sociale ed il verbale della riunione nel corso della quale l’organo amministrativo ha verificato il possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità e di indipendenza dei soggetti chiamati a svolgere funzioni di amministrazione, direzione e controllo.

[8] La Banca d’Italia, in base ad una valutazione discrezionale basata sull’analisi dei dati trasmessi dall’Istituto di Pagamento, può imporre a quest’ultimo requisiti patrimoniali superiori rispetto a quelli previsti dalla Circolare n. 263.

[9] In tal senso, B. Campagna, Il peer to peer lending: una soluzione alternativa al diritto bancario tradizionale?, in Diritto Bancario, 24 giugno 2019.

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