Il 13 maggio scorso la Corte di Giustizia europea, Grande Sezione, ha emesso una rivoluzionaria sentenza nella controversia Google Inc, Google Spain c. Gonzalez e AEDP.[1]
La decisione ha avuto – per la sua evidente rilevanza – vasta eco in Italia ed all’estero ed è stata pubblicizzata da tutti i principali media.
In breve, la Corte europea ha deciso su diverse questioni sottoposte dalle parti in contrasto. Innanzitutto, ha risolto due eccezioni pregiudiziali di non poco peso. La prima che l’attività di Google Search, quale fornitore di contenuti, “consistente nel localizzare le informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, nell’indicizzarle in maniera automatica, nel memorizzarle temporaneamente ed infine nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza” costituisce <trattamento> ai sensi dell’art. 2, lett. b) della Direttiva 95/46. [2]Ciò in quanto il Gestore del motore di ricerca “esplorando Internet in modo automatizzato, costante e sistematico alla ricerca di informazioni ivi pubblicate..<raccoglie> dati siffatti, che egli <estrae>, <registra> e <organizza> successivamente nell’ambito de suoi programmi di indicizzazione, <conserva> nei suoi server e, eventualmente, <comunica> e <mette a disposizione> dei propri utenti sotto forma di elenchi dei risultati delle loro ricerche e tali operazioni sono contemplate nell’art. 2, lett. b) della Direttiva sulla privacy tra quelle che costituiscono <trattamento>” .
In secondo logo, ha ritenuto che il Gestore del motore di ricerca debba essere qualificato responsabile del Trattamento ai sensi dell’art. 2, lett. d) della menzionata Direttiva, in quanto “determina le finalità e gli strumenti” delle attività indicate e, dunque, del trattamento dei dati personali. Tale interpretazione è stata dalla Corte ritenuta corretta secondo i criteri letterario e teleologico. Aggiunge la Corte che l’attività del motore di ricerca “incide in modo significativo ed in aggiunta all’attività degli editori di siti web sui diritti fondamentali alla vita privata ed alla protezione dei dati personali”.
Ne deriva che il gestore del motore di ricerca è obbligato “ad assicurare, nell’ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che detta attività soddisfi le prescrizioni della direttiva 95/46, affinché .. possa essere effettivamente realizzata una tutela efficace e completa delle persone interessate, in particolare de loro diritto a rispetto della loro vita privata” (punto 38).
Rispetto alla questione dell’applicabilità territoriale, la Corte ha affermato che Google Spain (dotata di personalità giuridica) – filiale di Google Inc., per promuovere la vendita di prodotti e servizi pubblicitari, e designata come responsabile del trattamento in Spagna da Google inc. di due file registrati da quest’ultima – per quanto non realizzi in Spagna un’attività diretta all’indicizzazione e memorizzazione di dati, si occupa tuttavia della promozione e vendita di spazi pubblicitari (parte essenziale dell’attività commerciale del gruppo Google) e può essere considerata <strettamente connessa> a Google Search che indicizza i siti web del mondo intero. Sicché, secondo la Corte, Google pain si dedica all’esercizio effettivo e reale di un’attività, mediante un’organizzazione stabile in Spagna, dotata di personalità giuridica propria, costituisce una filiale di Google inc, e di conseguenza <stabilimento> ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, lett. a) della Direttiva. Deriva da ciò l’assunto della Corte secondo il cui: “qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e l’attività della quale si dirige agli abitanti dello stato membro” viene effettuato un trattamento do dati personali in loco (punto 60).
La Corte affronta, quindi, il punto nevralgico della vertenza: se Google sia obbligata alla rettifica od alla rimozione di dati irrilevanti od inadeguati. Per ammetterlo, premette che l’art. 7 della Carta garantisce il rispetto alla vita privata e l’art. 8 la protezione dei dati personali, da trattare secondo i principi di lealtà, per finalità determinate ed in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge; che l’art. 12, lett. b) della direttiva dispone che qualsiasi persona interessata abbia il diritto di ottenere la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non sia conforme alle disposizioni della direttiva ed, in particolare, per l’incompletezza od inesattezza dei dati. Secondo la Corte, tale indicazione ha carattere esemplificativo e non tassativo. A norma dell’art. 6, infatti, spetta al responsabile del trattamento garantire la lealtà e liceità della diffusione e la rilevazione per finalità determinate, esplicite e legittime, nonché che i dati siano esatti e, se necessario, aggiornati e conservati per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono stati rilevati e successivamente trattati. La sentenza prevede, dunque, che la conformità del trattamento alla direttiva può essere verificata nell’ambito di una domanda – rivolta al titolare del trattamento dalla parte interessata – o del diritto di opposizione.
La Corte non sfugge alla problematica sensibile derivanti da tali premesse e segnala che “vista la gravità di tale ingerenza è giocoforza constatare che quest’ultima non può essere giustificata da un semplice interesse economico del gestore del motore di ricerca nel trattamento dei dati. Tuttavia, poiché la soppressione di link dall’elenco di risultati potrebbe, a seconda dell’informazione in questione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet potenzialmente interessati ad avere accesso a quest’ultima, occorre ricercare … un giusto equilibrio segnatamente tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona di cui trattasi” (punto 81). La Corte, ebbene, precisa che non può configurarsi la prevalenza dei diritti dell’interessato qualora questi risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico ad accedere alle informazioni che lo riguardano (punto 97),
Da ultimo, circa la tutela spettante al c.d. diritto all’oblio, la sentenza conferma che l’art. 6) paragrafo 1, lett. c) e d) della direttiva statuisce che i dati debbano essere adeguati, pertinenti aggiornati e non eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento e siano conservati per un arco di tempo non superiore al necessario; sicché, un “trattamento inizialmente lecito può divenire, con il tempo, incompatibile con al direttiva suddetta” .. anche quando i dati risultino inadeguati, non siano più pertinenti, ovvero eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento.
La sentenza è stata accolta con grande clamore e sono seguite migliaia di domande di cancellazione dei dati rivolte a Google in tutta Europa ( come risulta dai media che ne hanno dato continua informazione).
La decisione appare equilibrata e conforme all’orientamento europeo in materia di privacy.
E’ stata commentata in maniera contrastante: taluni la hanno ritenuta fondata e rispondente ai diritti degli interessati (anche considerato che diversifica la posizione dei personaggi pubblici), talari hanno ritenuto di criticarla per alcuni aspetti.
Una delle più rilevanti censure[3], ritiene che la sentenza abbia adottato una soluzione troppo invadente nei confronti di Google, imponendole obblighi esorbitanti. L’autore, tuttavia, per esporre la propria tesi, si affida ad un paragone – che non mi pare appropriato – e considera Google quale un Supermercato che venda altrui prodotti e sia indebitamente costretto a controllare gli ingredienti di questi, in luogo del fabbricante. Ciò perché, secondo il commentatore, la principale responsabilità avrebbe dovuto attingere l’editore web che per primo ha creato i contenuti poi indicizzati e diffusi da Google. La metafora non è pertinente: da un lato, esistono, infatti, profonde differenze tra la situazione in cui versa Google e quella di un comune Supermercato. In ogni caso per Google si tratta di obblighi di rimozione e non di responsabilità civili o penali, come per avviene per i commercianti, del resto. D’altro canto, questi non sono esenti da provvedimenti di sequestro dei beni da loro conservati, se si rinviene che un prodotto da loro commercializzato sia adulterato. Il paragone, perciò, non resiste alla prova dei fatti, essendo esposte anche le ordinarie catene di distribuzione commerciale a possibili interventi dell’Autorità.
Altra critica attinge la qualificazione di “stabilimento” attribuita a Google Spain con il conseguente riconoscimento della giurisdizione della Corte europea. Tuttavia, l’interpretazione applicata dalla Corte pare conforme al dato letterale della Direttiva e non criticabile altrimenti.
Altri[4] hanno, invece, approvato ed esaltato la decisione che pone fine, almeno per l’Europa e per le pagine qui diffuse, ad un lungo conflitto sul diritto all’oblio e sull’eccessiva esposizione dei cittadini e dei loro dati personali ad un pubblico indeterminato.
Sarà il tempo a confermare se la sentenza ha colto nel segno ed otterrà l’equilibrio desiderato fra gli interessi in conflitto: quello degli interessati e quelli degli utenti alla liberta di informazione.
Intanto, secondo fonti giornalistiche, Mountain View si è attrezzata per il rispetto della sentenza europea e ha diffuso sul web un modulo da compilare per richiedere la cancellazione dell’indicizzazione di una notizia ritenuta irrilevante, superata od inadeguata. Pare abbia persino composto un team di esperti incaricato di valutare le domande che – sempre secondo i media – sono pervenute a migliaia, pur in stretta prossimità del deposit della decisione europea.
[1] La decisione è stata commentata da tutti i quotidiani e dalle principali riviste. In questa si leggano i commenti Court of Justice of the European Union, Judgment in Case C-131/12 Google Spain SL, Google Inc. v Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González, by REDAZIONE MEDIALAWS, 13 maggio 2014; BLENGINO, La Corte di Giustizia e i motori di ricerca: una sentenza sbagliata, 19 maggio 2014; ZALLONE, Google and the Spanish Effect, 3 giugno 2014.
[2]Del resto, la Corte aveva già stabilito che l’operazione di pubblicare sullla pagina di Internet dati personali costituisce trattamento ai fini della citata direttiva con la sentenza Linqvist, C-1001/01, EU:C 2003: 596, punto 25 e che anche la diffusione di informazioni già pubblicate da terzi dovesse essere ritenuta <trattamento> con la sentenza Satakunnan Markinaporssi e Satamedia C-73/07, EU:C:2008:727, punti 48 e 49.
[3] BLENGINO, op. cit.
[4] ZALLONE, cit.