1. Considerazioni sparse
Dopo tanta attesa, conferenze, audizioni, opinioni di esperti e tweet l’AGCOM ha pubblicato nel pomeriggio di oggi sul proprio sito istituzionale un nuovo schema di regolamento “in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70” (All. A delibera n. 452/13/CONS del 25 luglio 2013) avviando, al contempo, una consultazione pubblica sullo stesso che si concluderà il 23 settembre prossimo.
Già il titolo del provvedimento tradisce la volontà autolegittimante dell’Autorità. Il riferimento espresso alle previsioni del decreto legislativo 70/2003 – che mancava nei precedenti testi sottoposti a consultazione – appare terreno sicuro sul quale fondare una competenza di AGCOM su questa materia.
Questione della competenza che, in assenza di un’espressa previsione legislativa e a quadro legislativo invariato rispetto al 2010, rimane aperta, attuale e sarà prevedibilmente al centro della consultazione pubblica avviata (seppur su questo aspetto piuttosto dirimente, l’Autorità non ha ritenuto di raccogliere le opinioni dei diversi stakeholders interessanti non avendo proposto domande specifiche sul tema nel documento sottoposto a consultazione).
Da un’analisi complessiva dello schema emerge l’impressione che l’attesa discontinuità con le precedenti iniziative AGCOM ed il bilanciamento tra misure di promozione dell’offerta legale ed enforcement dei diritti di privativa in rete, siano obiettivi ancora lontani, che forse potranno essere raggiunti attraverso una seria e puntuale rimeditazione del testo pubblicato all’esito della consultazione pubblica.
Infatti, su 19 articoli suddivisi in 5 capi [I -Principi generali (artt. 1-2); II – Misure per favorire lo sviluppo e la tutela delle opere digitali (artt. 3-4); III – Procedure a tutela del diritto d’autore online ai sensi del decreto 9 aprile 2003, n.70 (artt. 5-10); IV – Disposizioni relative alla tutela del diritto d’autore sui servizi di media (artt. 11-15); V-Disposizioni finali (artt. 16-19)] solo 2 sono dedicati alle misure per la promozione dell’offerta legale, tutto il resto è enforcement.
E non si tratta solo di una questione quantitativa, che pure rileva, ma anche qualitativa rispetto agli interventi proposti.
Siamo proprio certi che petizioni di principio (come quando si legge che “L’Autorità promuove la massima diffusione dell’offerta legale di opere digitali, incoraggiando lo sviluppo e la diffusione di offerte commerciali innovative e competitive e favorendo la conoscibilità dei servizi che consentono la fruizione legale di opere digitali tutelate dal diritto d’autore, nonché l’accesso ai servizi medesimi”- cfr. art. 3 comma 2) e la costituzione di comitati elefantiaci (cfr. art. 4) siano gli unici e/o i migliori strumenti di cui AGCOM possa avvalersi per promuovere l’offerta legale contrastando per tal via la pirateria digitale?
Forse l’attività del comitato riuscirà a smentire questa prima impressione, ma il dubbio è lecito e rimane in un Paese in cui tradizionalmente per cambiare tutto perché nulla cambi ci si affida a comitati e gruppi di saggi variamente articolati.
L’impressione iniziale non viene smentita da un’analisi un po’ più approfondita del provvedimento che ricalca solchi già tracciati e superati attraverso le consultazioni pubbliche condotte negli anni scorsi.
L’unica novità incoraggiante è rappresentata dall’espressa esclusione dall’ambito di applicazione del regolamento dell’attività degli utenti (che comunque rimangono in qualche modo implicati nelle procedure amministrative previste dall’autorità) e su un piano oggettivo dell’attività veicolata da reti P2P, seppur nella non proprio felice definizione delle stesse intese quali “applicazioni e ai programmi per elaboratore attraverso i quali si realizzi la condivisione diretta tra utenti finali di opere digitali attraverso reti di comunicazione elettronica” (cfr. art. 3 comma 2).
Scorrendo il regolamento talune incongruenze balzano agli occhi e su queste che mi soffermerò brevemente nell’intento di avviare una discussione che troverà la sua sede naturale nell’ambito della consultazione pubblica.
2. Aspetti problematici 1: le definizioni
Un primo elemento di possibile frizione tra il regolamento e la vigente legislazione è rappresentato dalle ben 28 definizioni previste dall’articolo 1 del regolamento ed , in particolare, da talune di esse.
Il riferimento è alle definizioni di “prestatore di servizi intermediari”, di “gestore della pagina internet” e “opera digitale”.
L’AGCOM definisce il “prestatore di servizi intermediari” come “il prestatore di servizi della società dell’informazione di cui alla lettera f), che effettuano attività di prestazione di servizi di mere conduit, di caching o di hosting, come definito agli articoli 14, 15 e 16 del Decreto”. Ebbene vengono raggruppati nella medesima definizione soggetti distinti, che svolgono attività diverse e rispetto ai quali tanto la Direttiva quanto il Decreto, prevedono livelli di responsabilità differenziati a seconda del grado di gestione ed intervento esercitato sui contenuti caricati o scambiati dagli utenti. Tale artificiale unificazione, come vedremo, produce ambiguità e difficoltà interpretative a valle, vale a dire quando ci si confronta con le procedure elaborate dall’Autorità.
Stessi e forse più gravi problemi in termini di conformità con la legislazione vigente derivano dalla definizione di “gestore della pagina internet” inteso come “il prestatore di servizi della società dell’informazione che, sulla rete internet, cura la gestione e l’organizzazione di uno spazio su cui sono presenti opere digitali o parti di esse ovvero collegamenti ipertestuali (links o tracker) alle stesse, anche caricati da terzi”.
Ma, quindi, chi è quindi il gestore?
Anzitutto la scelta di richiamare i “prestatori di servizi della società dell’informazione”, come definiti nella Direttiva e nel Decreto, rende superfluo il riferimento contenuto nell’inciso “sulla rete internet” e delimita la possibile scelta nell’individuazione del gestore tra tre soggetti: i prestatori di servizi di mere conduit, i caching provider e gli hosting provider.
La definizione sembra tuttavia riferirsi ad una figura ibrida nel mezzo tra hosting provider, quando i contenuti sono caricati dagli utenti, e content provider, quando gli stessi sono dallo stesso autonomamente organizzati e gestiti. Forse ci si riferisce all’hosting provider attivo di cui parla una parla della giurisprudenza da un po’ di tempo? Non è dato saperlo. E’, tuttavia, lecito domandarsi se un’autorità amministrativa indipendente possa introdurre nuove figure legislative in maniera apparentemente dissonante rispetto a quanto previsto dalla normativa primaria di riferimento.
In più la definizione non convince allorquando introduce surrettiziamente, attraverso il riferimento a “collegamenti ipertestuali (links o tracker)” una responsabilità a carico del “gestore” per i link caricati sulla pagina, responsabilità per nulla pacifica a livello nazionale e rispetto alla quale pendono diverse questioni di rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia.
Medesimi rilievi vanno svolti con riferimento alla nozione di “opera digitale” che l’AGCOM definisce come “una o più opere, o parti di esse, di carattere sonoro, audiovisivo, videoludico ed editoriale, tutelate dalla Legge sul diritto d’autore e diffuse su reti di comunicazione elettronica”. Definizione che non trova alcun riferimento nei testi legislativi vigenti e che pecca per eccesso, ricomprendendo apparentemente tutto ciò che possa essere veicolato attraverso reti di comunicazione elettronica, e per difetto, non ricomprendendo le immagini, i testi che non abbiano contenuto editoriale, particolari creazioni intellettuali come le banche dati, etc..
3. Aspetti problematici 2: le procedure ai sensi del D.lgs. 70/2003
Ma veniamo alla parte centrale del provvedimento, vale a dire le “procedure a tutela del diritto d’autore online ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70)”.
L’AGCOM prevede, infatti, una procedura ordinaria ed una semplificata gestite in tandem tra la Direzione servizi media dell’Autorità (competente per la fase istruttoria) e la Commissione per i servizi ed i prodotti (deputata ad assumere le decisioni).
Anche qui iniziamo con una nota positiva: le procedure sono attivabili solo ad istanza di parte e non d’ufficio dall’Autorità (cfr. art. 5 comma 1). Considerazioni di buon senso, come la riconosciuta impossibilità tecnica e finanziaria di monitorare tutto il web conosciuto, hanno forse indotto l’Autorità ad adottare questa soluzione.
Ma le note positive finiscono qui.
Infatti, anche questo capo appare caratterizzato da lacune imponenti mentre le incongruenze definitorie, cui abbiamo accennato sopra, contribuiscono a rendere sempre meno certo il quadro entro il quale ci muoviamo.
Ma andiamo con ordine.
L’art. 6 intitolato “Procedura di notifica e rimozione” al comma 2 prevede che “Qualora previamente notificate all’Autorità e da questa rese pubbliche attraverso il proprio sito istituzionale, si osservano le procedure di autoregolamentazione adottate dal gestore della pagina internet”. Appare d’incanto il riferimento a procedure di autoregolamentazione adottate dal gestore, riferimento che purtroppo, non troviamo in nessun altra parte del regolamento. Seppure l’adozione o meno di tali procedure abbia un rilievo nella misura in cui incide sui tempi di proponibilità dell’istanza all’AGCOM da parte dell’avente diritto (7 gg dalla richiesta se adottate, 2 gg in caso contrario – cfr. art. 7 comma 2).
Ebbene non è dato sapere: 1) se queste procedure devono rispondere a determinati standard o possono essere totalmente arbitrarie; 2) come e quando e con quali modalità notificare queste procedure all’AGCOM; 3) se e come l’AGCOM possa esercitare una valutazione sul merito delle procedure notificate. Tutte domande che rimangono prive di risposta.
Ed allora il dubbio è lecito, ma AGCOM le sostiene davvero queste procedure di autoregolamentazione o preferisce la scure dell’intervento sanzionatorio?
Ancora sempre sulla proponibilità dell’istanza, l’art. 7 comma 3 prevede che l’avente diritto – quando non risulti possibile contattare il gestore della pagina internet – possa rivolgersi direttamente all’Autorità. Ma cosa si intende per impossibilità di rivolgersi al gestore? Impossibilità tecnica (non si dispone di una connessione ad internet per inviare una mail?), impossibilità giuridica (il gestore non è soggetto alla giurisdizione italiana? E allora come potrebbe intervenire l’Autorità?) ? Non è dato saperlo.
Arriviamo alla comunicazione di avvio del procedimento di cui parla l’articolo 8 al comma primo. E’ previsto che tale comunicazione viene inviata da AGCOM all’avente diritto, all’utente (definito uploader), al gestore della pagina internet nonché ai prestatori di servizi all’uopo individuati. Sembra tutto lineare, ma calandosi nella realtà di ogni giorno cosa potrebbe succedere? Nell’ipotesi di un video postato su una qualsiasi piattaforma di condivisione, chi dovrebbero essere i destinatari della comunicazione?
Sicuramente l’uploader: ma come lo individua l’Autorità nel caso in cui non sia immediatamente individuabile? Chiede ai provider? Non sembra sia così perché il comma 2 dello stesso articolo prevede la possibilità di chiedere informazioni solo qualora il gestore del sito non sia individuabile. E a chi altri inviare la comunicazione? Sicuramente al gestore del sito ma, dal tenore della previsione, sembra anche al provider passivo se non addirittura all’access provider che ha fornito la connessione.
Ammesso che l’AGCOM riesca ad individuare i soggetti che avrebbero diritto di partecipare al procedimento, questi ultimi hanno appena 3 giorni (qui si inizia ad apprezzare l’utilizzo delle ore per alcuni termini e dei giorni per altri) per inviare deduzioni (cfr. art. 8 comma 5). Ma siamo sicuri che ci si può permettere di sacrificare così il diritto di difesa in ipotesi che possono rivelare complessità anche tecniche oltre che giuridiche?
Ma è con riferimento ai provvedimenti adottabili che si incontrano le più imponenti criticità della proposta di regolamento presentata.
Nel caso in cui sia riscontrata la violazione, entro 45 giorni dall’istanza dell’avente diritto, la Commissione per i servizi ed i prodotti può ordinare: 1) la rimozione selettiva – intesa come “eliminazione dalla pagina internet delle opere digitali diffuse in violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi ovvero del collegamento ipertestuale (link o tracker) alle stesse” (cfr. art. 1 comma 1 lett. cc)) o alternativamente 2) la disabilitazione dall’accesso vale a dire la “disabilitazione dell’accesso al sito internet univocamente identificato da uno o più nomi di dominio (DNS) o dagli indirizzi IP ad essi associati”.
Ma chi sono i destinatari di quest’ordine?
Qui il quadro si fa oscuro perché dalla lettura del primo comma dell’articolo 9 primo capoverso sembrerebbe che gli unici destinatari siano i prestatori di servizi (peraltro in questo caso l’AGCOM utilizza una nozione non rientrante nelle definizioni previste dall’articolo 1 che parla di “prestatori di servizi intermediari”) quindi, gli hosting i caching ed anche gli access provider.
Ma quindi che fine fa il “gestore della pagina internet” che dovrebbe essere responsabile in prima battuta per i contenuti ospitati?
Di non maggiore chiarezza brilla la previsione delle misure irrogabili: quando procedere alla rimozione selettiva e quando alla disabilitazione?
L’unico parametro sembrerebbe rappresentato da “i criteri di gradualità e di proporzionalità e tenendo conto, tra l’altro, della gravità della violazione e della localizzazione del server” (cfr. art. 9 comma 1 ultimo capoverso).
Qui sorgono una serie di interrogativi in un quadro in cui la certezza del diritto appare più che vacillante: chi stabilisce la gravità della violazione? Perché ed in quale misura la localizzazione dei server dovrebbe giocare un ruolo? Una violazione reiterata può avere un’incidenza sulla decisione dell’Autorità? Anche qui nessuna risposta e pochi ed incerti parametri rispetto a misure in grado di incidere in profondità sull’esercizio di diritti fondamentali degli utenti ma anche dei prestatori di servizi, come ricordato a più riprese dalla Corte di giustizia.
Ed andiamo alle sanzioni. Il comma 4 dell’articolo 9 prevede in caso di inottemperanza all’ordine dell’AGCOM entro 3 giorni dalla sua emanazione la stessa Autorità possa irrogare sanzioni pecuniarie da 10mila a 250mila Euro. Anche qui nessun parametro per commisurare la sanzione (ma a questo siamo abituati).
Ma vi è di più. L’AGCOM infatti segnalerà l’accaduto alla polizia giudiziaria ai fini dell’accertamento di eventuali notizie di reato (ed è prevedibile che il 650 c.p. più che le norme penali sulla protezione del diritto d’autore la farà da padrone).
Non minori perplessità suscita il procedimento abbreviato di cui parla l’articolo 10, caratterizzato dalla dimidiazione dei termini del procedimento ordinario, soprattutto con riferimento alla generalità, ai limiti della vaghezza, dei suoi presupposti applicativi.
Ed anche qui: quando si configura una “grave lesione dei diritti di sfruttamento” (Cfr. comma 1 art. 10)? Perché la segnalazione da parte di associazioni rappresentative degli interessi degli aventi diritto è considerata qualificata e tale da legittimare l’attivazione del procedimento abbreviato (cfr. comma 2 lett h) art.10)?
4. Qualche conclusione
La rapida carrellata offerta ha cercato di mettere in luce le principali criticità del nuovo regolamento proposto da AGCOM. La consultazione pubblica appena avviata sarà una nuova occasione per confrontarsi su tematiche così centrali nel mondo digitale e decisive per l’attrattività del nostro paese in termini di internet economy.
Mentre la Francia ritira Hadopi e il Regno Unito mette in stand-by le misure di enforcement amministrato previste dal Digital Economy Act il rischio di un ulteriore passo indietro da parte del nostro Paese su questo fronte appare concreto. Mentre il Parlamento italiano, pur ripetutamente evocato, rimane alla finestra.
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