Il Tribunale di Bologna (di seguito il “Tribunale”), con una sentenza dello scorso maggio, si è pronunciato in merito ai diritti di sfruttamento economico del software nel caso in cui lo sviluppo del software sia stato commissionato da una società a un libero professionista.
Nel caso in esame una società (di seguito la “Società”) aveva stipulato un contratto di collaborazione professionale con un ingegnere (di seguito “Ingegnere”), libero professionista e quindi lavoratore autonomo, incaricandolo di occuparsi dello sviluppo del programma per elaboratore denominato “Navcrm” (di seguito “Software”).
Il Tribunale ha dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto di collaborazione professionale con l’Ingegnere, con condanna dello stesso a restituire alla Società il codice sorgente del Software e con inibitoria per l’Ingegnere a continuare lo sftruttamento indebito del Software.
Il Tribunale di Bologna in primo luogo ha analizzato la disciplina prevista in materia di proprietà intellettuale, con particolare riferimento all’attività di creazione e sviluppo di software.
Se la tutelabilità dei software nell’ambito della legge sul diritto d’autore ( L.n. 633/1941, di seguito “l.d.a.”) trova ormai esplicito riconoscimento negli articoli 1 e 2 l.d.a., più complessa è la questione se la tutela possa essere applicata anche nel caso in cui lo sviluppo del software sia stato commissionato, come nel caso di specie, da una società ad un libero professionista. Questo caso non è infatti esplicitamente disciplinato dalla legge.
Per riuscire a risolvere la questione il Tribunale ha richiamato un orientamento delineato dalla giurisprudenza di merito maggioritaria (da ultimo la sentenza n.6964/2014 del Tribunale di Milano).
La giurisprudenza suddetta ha affermato che nell’ipotesi in cui il software sia stato commissionato da una società ad un libero professionista dovranno essere applicate in via analogica le disposizioni previste per i lavoratori subordinati, ovvero gli art. 12 bis l.d.a. e art. 64 del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. n. 30//2005, di seguito “c.p.i.”).
Tali disposizioni prevedono rispettivamente:
(i) L’art. 12 bis l.d.a. disciplina in modo esplicito l’ipotesi in cui il programma per elaboratore sia stato sviluppato e realizzato da un dipendente del datore di lavoro statuendo così che “salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o delle banche dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro”;
(ii) L’art. 64 c.p.i. disciplina invece l’ipotesi dell’invenzione realizzata dal lavoratore subordinato prevedendo che in caso di invenzione realizzata nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro, i diritti derivanti dall’invenzione spettano al datore di lavoro, salvo il diritto dell’inventore di esserne riconosciuto autore.
Secondo il Tribunale dunque il committente, fermo restando il diritto dello sviluppatore materiale ad essere riconosciuto autore morale del software, acquista l’opera commissionata a titolo originario e di conseguenza è il committente a diventare titolare del diritto esclusivo di sfruttamento economico patrimoniale del software, salvo non vi siano patti contrari tra le parti.
Nel caso di specie la Società e l’Ingegnere avevano stipulato un contratto in forza del quale le parti prevedevano una ripartizione del fatturato derivante dalle licenze del Software; il 60% a favore della Società e il 40% a favore dell’Ingegnere. La differenza percentuale trovava giustificazione in una “paternità” del Software riconosciuta alla Società, in quanto era stato il legale rappresentante della Società, non solo ad avere l’idea per la creazione del Software, ma anche a sostenere i costi per il suo sviluppo. Difatti il rappresentante legale della Società, prima di dar vita alla Società stessa, aveva commissionato all’Ingegnere la realizzazione del Software. Una volta costituita la Società, quest’ultima, era subentrata, per facta concludentia, in tale rapporto professionale (era infatti la Società che pagava le fatture emesse dall’Ingegnere e l’intestataria dei contratti di licenza).
Evidenzia inoltre il Tribunale che nel 2011 il contratto intercorso tra la Società e l’Ingegnere era stato oggetto di una modifica con la quale veniva indicato come unico fornitore del Software l’Ingegnere, il quale si impegnava a “girare” il 60% dei ricavi ottenuti alla Società. A parere del Tribunale l’Ingegnere ha però disatteso il contratto e ha trattenuto per sé l’intero fatturato ottenuto dallo sfruttamento economico del Software omettendo di trasferire alla Società la sua parte di ricavi.
Per il Tribunale dunque, il comportamento dell’Ingegnere rappresenta un grave inadempimento degli obblighi contrattuali, idoneo a fondare, ai sensi dell’art. 1453 c.c., una pronuncia di risoluzione del contratto di collaborazione. Secondo il Tribunale, il venir meno del contratto ha fatto si che potesse trovare nuovamente applicazione la regola generale in base alla quale il diritto esclusivo di sfruttamento economico del software risulta essere in capo alla società committente. Ulteriore conseguenza della reviviscenza del regime legale relativo alla commissione del software, è la palese illegittimità della detenzione da parte dell’Ingegnere convenuto dei codici sorgenti del software.
Il Tribunale inoltre, ha inibito all’Ingegnere lo svolgimento e la prosecuzione di qualsiasi attività in violazione dei diritti patrimoniali d’autore sul Software spettanti, in via esclusiva, alla Società, ordinando altresì all’Ingegnere la restituzione in favore della Società dei codici sorgenti del Software.