Con sentenza depositata il 14 aprile 2015, il Tribunale di Napoli – Sezione Specializzata in Materia d’Impresa- ha fornito alcuni rilevanti chiarimenti in ordine al tema, ancora oggi controverso – della estensibilità della tutela autorale alle c.d. “condizioni d’uso e d’accesso” ai siti internet.
Quesito nodale, intorno al quale si sviluppa il reasoning del Giudice, è quello della qualificabilità o meno delle suddette condizioni come opere dell’ingegno, ossia come creazioni intellettuali suscettibili di fondare diritti di esclusiva in capo a chi le ha realizzate.
Come è agevole intuire, difatti, la peculiare natura delle condizioni d’accesso – sia sul piano contenutistico che su quello espressivo – ne complica fortemente l’inquadramento e ripropone, in termini quanto mai complessi, l’antico tema della dicotomia tra idea espressione.
I FATTI
La vicenda da cui trae origine la decisione risale al maggio 2013, quando l’avvocato E.F. conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli gli avvocati F.V. e F.L. , al fine di sentirne accertare la responsabilità per la violazione dei propri diritti di esclusiva sulle condizioni d’accesso e di utilizzo di un sito internet di sua titolarità, dallo stesso redatte e pubblicate sul portale web del proprio studio.
Più precisamente, in virtù di quanto lamentato dall’attore, tali condizioni erano state indebitamente utilizzate dai convenuti, i quali le avevano testualmente riprodotte nell’area “note legali” della propria pagina web, senza richiedere la preventiva autorizzazione dell’autore.
Oltre alla lesione della privativa autoriale sull’opera – o presunta tale – E.F. chiedeva che fosse accertata la violazione dell’art. 2598 c.c., ritenendo che l’indebita appropriazione, da parte dei convenuti, dei contenuti creativi pubblicati sul sito, configurasse altresì una condotta di concorrenza sleale.
Nel replicare alle domande attoree, F.V. e F.L. rilevavano anzitutto la carenza di legittimazione passiva, evidenziando come il sito web sul quale erano state pubblicate le condizioni d’accesso controverse, fosse di titolarità dell’Associazione Professionale X , e che pertanto questa soltanto fosse legittimata a resistere in giudizio.
Nel merito, i convenuti imperniavano le proprie difese sulla non qualificabilità delle condizioni come opere dell’ingegno, e dunque sulla insuscettibilità della stesse a formare oggetto di diritti di esclusiva.
Più segnatamente, si evidenziava come la collocazione fisica delle suddette informazioni all’interno della pagina web non ne implicasse la equiparazione ai contenuti del sito, per tali intendendosi tutti quegli elementi connotati da un percepibile apporto creativo da parte dell’autore, in quanto frutto di una personale elaborazione ed organizzazione.
In relazione all’addebito di concorrenza sleale, i convenuti contestavano le pretese dell’attore, rilevando come l’invocabilità della norma di cui all’art. 2598 fosse esclusa in radice dalla inesistenza di un rapporto di concorrenza tra le parti, e dunque dalla sostanziale assenza di qualsivoglia rischio di interferenza e di sottrazione di clientela.
LA DECISIONE
In ordine all’eccezione di carenza di legittimazione passiva, il Tribunale, accogliendo i rilievi mossi dai convenuti, precisa come la condotta asseritamente plagiaria lamentata dall’attore possa essere imputata unicamente al titolare del dominio – l’Associazione professionale – e non alle persone fisiche che la compongono.
Più precisamente, in forza di quanto argomentato in sentenza, è necessario considerare la suddetta associazione quale soggetto giuridicamente e patrimonialmente autonomo rispetto ai singoli professionisti; ne discende, dunque, che solo ad essa possono essere ascritte le violazioni eventualmente accertate, in quanto titolare esclusivo del dominio registrato.
Per quanto attiene ai profili di merito, l’aspetto nevralgico sul quale si focalizza l’analisi del giudice napoletano attiene alla corretta qualificazione delle condizioni d’uso e di accesso al sito, finalizzata alla verifica della tutelabilità delle stesse ai sensi della l. 633/41 quale opera dell’ingegno.
E’ evidente, difatti, come l’accertamento della identità tra l’opera asseritamente plagiata e quella plagiaria debba necessariamente essere preceduta dalla preventiva verifica della tutelabilità della creazione che si assume violata, non potendosi ravvisare alcuna condotta contraffattoria in relazione a contenuti liberamente accessibili.
Ebbene, nell’analizzare la natura delle suddette condizioni e nel valutarne la suscettibilità di protezione autorale, la decisione muove da una preliminare digressione sui requisiti minimi di tutelabilità dell’opera e – ancor prima – di qualificazione di una creazione come tale.
In particolare, il Giudice osserva come il presupposto indefettibile della originalità non debba essere interpretato in una accezione qualitativa, di maggiore o minore innovatività della creazione, dovendosi considerare meritevoli di protezione anche quelle opere costituite da nozioni semplici, purchè queste siano organizzate ed elaborate in modo autonomo dall’autore.
In altre parole, l’accessibilità della tutela autorale è subordinata alla sussistenza di un gradiente minimo di creatività, la quale è senz’altro esclusa qualora l’autore si avvalga di forme banali o standardizzate, ovvero si limiti all’asettica formulazione di dati informativi.
Se è vero, difatti, che la privativa autorale copre la forma espressiva, senza mai estendersi all’idea sottostante, è agevole intuire come la rappresentazione non originale di contenuti intellettuali semplici, in quanto appartenenti al patrimonio conoscitivo comune, non possa di certo qualificarsi come opera dell’ingegno.
Diverso è il caso in cui le nozioni, sebbene di dominio pubblico o comunque conosciute da determinate categorie di persone, siano originalmente strutturate e organizzate: in tale ipotesi, evidenzia la sentenza, la semplicità dei contenuti espressi non esclude la sussistenza della protezione autorale, proprio perché quest’ultima inerisce esclusivamente alla modalità espressiva, lasciando intatto il nucleo concettuale.
Nel caso di specie, il Giudice ritiene che le condizioni d’accesso e di uso del sito internet, così come elaborate e pubblicate dall’attore, siano del tutto sprovviste del requisito della originalità, sia sul piano contenutistico che su quello formale.
Più segnatamente, tali condizioni si esauriscono in una elencazione di principi e regole giuridiche enunciate attraverso formule espressive del tutto generiche e banali, nelle quali è impossibile rinvenire un seppur limitato contributo creativo da parte di E.F.
In alcuni capoversi – osserva il Giudice napoletano – l’attore si è , inoltre, avvalso di clausole standard, ossia di formulazioni generiche o strettamente “necessitate dalla funzione propria di avvertenze generali”, come peraltro confermato dalla circostanza che condizioni analoghe a quelle controverse erano state impiegate da una pluralità di studi legali, anche esteri, senza il preventivo ottenimento di autorizzazioni da parte dell’attore.
Ove si ragionasse diversamente, il risultato sarebbe quello di un’aberrante monopolizzazione dei contenuti intellettuali esposti nelle condizioni; in altre parole, la sostanziale coincidenza tra idea e rappresentazione dell’idea – stante l’assenza di formule espressive originali – determinerebbe una traslazione della tutela autorale, che dall’espressione finirebbe con il trasferirsi sui concetti stessi, proprio perché sprovvisti di una qualsivoglia veste espressiva.
Analogamente, sono state rigettate, in quanto infondate, le pretese risarcitorie relative al presunto compimento di atti di concorrenza sleale ai danni dell’attore.
Come puntualmente argomentato in sentenza, difatti, la sfera di applicabilità dell’art. 2598 c.c. deve intendersi rigidamente circoscritta ai soli rapporti tra imprenditori, e non anche a quelli tra professionisti, ai quali la norma non può essere estesa neanche in via analogica.