iTunes, Spotify o il negozio tradizionale? Fa lo stesso!

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Spotify ed iTunes hanno la stessa dignità dei negozi fisici di musica. A dirlo non è l’ennesimo case study, nè l’ennesima istantanea comparativa fra le vendite digitali e non. A dirlo sono i giudici.

Recentemente, con la sentenza n. 15079/2014 del 17 dicembre 2014, il Tribunale di Milano ha ritenuto  che la sola distribuzione digitale sia idonea a fornire un’adeguata diffusione commerciale del materiale musicale, il quale, una volta acquistato, può essere destinato alle sincronizzazioni e ad altri usi. Il presupposto di questa affermazione risiede nella constatazione che da diversi anni, in particolare già dal 2005-2006, i supporti materiali, quali i compact disk, abbiano “perso ogni possibilità di commercializzazione” e siano stati sostituiti dalla diffusione dello streaming.

L’occasione per riconoscere l’emancipazione e la dignità della distribuzione digitale rispetto alla condizione di subalternità, cui questa viene spesso relegata, è stata data ai giudici meneghini da una causa proposta da una cantante nei confronti della società con cui aveva sottoscritto un contratto di produzione fonografica. Parte attrice contestava l’inadempimento contrattuale, adducendo, in particolare, la mancata produzione dei supporti fonografici incorporanti le produzioni artistiche, vale a dire i CD, e la conseguente mancata commercializzazione e promozione degli stessi. Parte convenuta, nel costituirsi in giudizio, respingeva ogni accusa.

La pronuncia in esame è interessante anche per un altro profilo: il giudicante ha ritenuto che la sola richiesta dell’artista di cambiare l’immagine a corredo del file musicale distribuito presso i negozi digitali sia una manifestazione di volontà idonea a superare un precedente accordo fra le parti di segno opposto. Infatti il contratto in essere fra le stesse recava un espresso diniego da parte dell’autrice alla cessione di diritti agli e-store. Tuttavia, il collegio ha valutato che il mero sindacato sulla “mattonella” con la foto dell’artista costituisca una inequivocabile, ancorché indiretta, espressione di consenso, che secondo il contratto in essere fra le parti non richiedeva forme particolari, alla commercializzazione attraverso canali diversi da quelli concordati, quali quelli digitali.

Il cambio delle strategie distributive ha avuto evidenti e concrete ripercussioni anche sul fronte della produzione materiale della musica, in particolare sulla scelta del supporto su cui riprodurla. Le logiche sottostanti la scelta di una riproduzione dematerializzata sono di pronta intuizione. Si noti come la prassi contrattuale inglobi generalmente una previsione di apertura nei confronti dell’evoluzione tecnologica e che offre, quindi, la possibilità al produttore fonografico di avvalersi dello stato della tecnica più recente ed evoluta ai fini dell’adempimento delle opporrei obbligazioni. Ne discende la legittimità dello sfruttamento degli strumenti digitali.

Tornando al caso in esame, parte attrice aveva dedotto l’inadempimento contrattuale della società di produzione per la mancata riproduzione dei brani musicali oggetto del contratto su supporti materiale, quale il compact disk.

E’ opportuno premettere brevemente cosa si intenda giuridicamente per “produttore fonografico”. L’art. 78 della legge sul diritto d’autore definisce tale figura in modo diverso rispetto a quanto si intenda generalmente nel gergo musicale con la parola “produttore”. Le legge specifica che per produttore musicale si intende “la persona fisica  o  giuridica che assume l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni provenienti da una interpretazione o esecuzione o di  altri suoni o di rappresentazioni di suoni”, ovvero colui che realizza materialmente la registrazione del c.d. master, il quale “incorpora” materialmente l’opera musicale.

A fronte di tale investimento umano ed economico, il legislatore ha riconosciuto esplicitamente alcuni diritti ai produttori di fonogrammi, fra cui, ex art. 72  della legge sul diritto d’autore, quello di autorizzare la riproduzione, distribuzione, il prestito, il noleggio e la messa a disposizione del pubblico. Al fine dello sfruttamento economico di detti diritti, il produttore di fonogrammi pattuisce con l’artista un insieme di strategie di distribuzione e di promozione, fra cui generalmente rientra quella della riproduzione di un certo numero do copie del disco.

A questo punto la domanda sorge spontanea: il contratto di produzione fonografica più ritenersi adempiuto registrando qualche campione di disco?

Nel valutare il possibile inadempimento contrattuale da parte della società produttrice, il Tribunale ha basato il proprio ragionamento su un fatto pacifico fra le parti, ossia la circostanza che effettivamente alcuni CD fossero stati incisi, ancorché come campioni e non fossero stati destinati alla vendita. Il giudicante ha scisso il profilo della mera realizzazione di un bene da quello degli scopi cui esso è destinato, ritenuto, quindi, priva di pregio giuridico la circostanza che il fine di detta produzione materiale non fosse quello commerciale, bensì solo promozionale.

Da ultimo, relativamente al mancato adempimento dell’obbligazione di promozione e di pubblicizzazione assunto dalla società produttrice, il Tribunale, a mente dell’art. 1375 c.c.  che richiede la valutazione della buona fede delle parti nell’adempimento dei contratti, ha ritenuto che una serie di attività, quali la somministrazione dei brani musicali alle più importanti radio e testate nazionali, regionali ed interregionali, accompagnata da una scheda dell’artista e, sovente, da una telefonata ai destinatari per sincerarsi della ricezione e raccogliere eventuali commenti, fossero adeguante in ragione della scelta del canale distributivo digitale.

Per quanto la pronuncia in esame sia un passo importante nella direzione del riconoscimento di un mondo in evoluzione, la mente non può che proiettarsi oltre l’ultima conquista giuridica e rincorrere nuove sfide e porsi nuovi interrogativi. L’immagine di Greta, la protagonista del recente film “Tutto può cambiare” (Begin Again) che decide di abbandonare la classica dicotomia artista – casa produttrice per lanciarsi nell’autoproduzione digitale, sembra un buon punto di partenza.

 

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