La tutela del domicilio informatico, anche ai sensi dell’art. 51 c.p. :la sentenza della Cassazione n. 52075 del 2014

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Il concetto di domicilio informatico è una tema sempre più frequentemente affrontato dalla Suprema Corte.

Con la sentenza n. 52075 del 29 ottobre 2014, la Quinta sezione penale si è pronunciata relativamente ad una sentenza del Tribunale di Cremona che, all’esito di un giudizio abbreviato, aveva condannato un commercialista per aver acceduto abusivamente alla casella mail del suo collega di studio, prendendo cognizione di alcuni messaggi inviati dallo stesso – di professione avvocato – in cui si facevano pesanti apprezzamenti sui magistrati ed avvocati del proprio foro.

La linea difensiva dell’imputato era quella di sostenere, nel caso di specie, la sussistenza della scriminante dell’esercizio di un diritto relativamente all’accesso abusivo ad un sistema informatico protetto: il commercialista aveva infatti affermato che tutta l’attività realizzata sulla casella email del collega di studio era funzionale alla sua difesa in un procedimento penale che lo riguardava, al fine di far emergere una macchinazione nei suoi confronti: da tale supposta macchinazione, era scaturito un procedimento incardinato presso la Procura della Repubblica di Cremona, che lo vedeva appunto figurare tra gli indagati.

Tale strategia difensiva non ha però trovato accoglimento da parte dei Supremi Giudici.

Gli stessi hanno infatti chiarito che l’accesso ad un sistema informatico protetto, ancorché sia utile all’agente al fine di carpire dati utili alla sua difesa in giudizio, non può essere scriminato ai sensi dell’art. 51 c.p. : l’attività posta in essere deve infatti costituire una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto di difesa, non trasmodando in aggressioni alla sfera giuridica altrui. Nel caso di cui si tratta, la casella di posta elettronica configura sicuramente un domicilio informatico: per tale può essere definito lo spazio ideale – ma anche fisico in cui sono contenuti i dati informatici – di pertinenza della persona, a cui viene estesa la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto (in questo senso, Cass. Pen., N. 42021/2012). Il domicilio informatico è quindi inteso come il bene giuridico per la cui tutela l’ordinamento garantisce il diritto di esplicare liberamente qualsiasi attività lecita all’interno del luogo informatico (inteso come spazio ideale, i cui confini “virtuali” sono rappresentati da informazioni), con facoltà di escludere terzi non graditi.

Sulla base di queste argomentazioni, i Giudici della Quinta Sezione penale della Cassazione hanno rigettato il ricorso, in quanto l’attività posta in essere dal ricorrente avrebbe dovuto arrestarsi di fronte agli ambiti di esclusivo dominio privato, come dimostrato dalla previsione dell’art. 391 sexies c.p.p., tra cui deve quindi annoverarsi anche il domicilio informatico, costituito in questo caso dalla casella email della persona offesa.

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