Più volte abbiamo sostenuto, anche su queste colonne, l’importanza del pluralismo, della libertà di espressione ed opinione per l’assetto democratico di un Paese e per i suoi cittadini. Molto spesso il nostro è stato un “abbaiare alla luna”. Quanto accaduto negli ultimi mesi in contesti come quello ungherese, russo o turco desta preoccupazione per fenomeni censorei inaccettabili in una società moderna ed avanzata. Il pluralismo, come abbiamo più volte tristemente riscontrato, è un tema che ‘non fa audience’ e viene relegato in angoli marginali dell’agenda dei media o semplicemente non viene trattato.
Nel disinteresse generale e nell’assordante silenzio, qualcosa però ora si muove. Il 30 settembre a Firenze, presso l’Istituto Universitario Europeo, il CMPF – Centre for Media Pluralism and Media Freedom – diretto dal professor Pier Luigi Parcu, ha presentato i primi risultati dello studio pilota sul pluralismo che il centro ha condotto in questi ultimi mesi. Il MPM – Media Pluralism Monitor – è un progetto che affonda le proprie radici nell’ormai lontano 2007. In quell’anno, in risposta alle crescenti preoccupazioni manifestate dal Parlamento europeo per questioni legate all’alta concentrazione del settore media, l’allora Commissaria per i Media e la Società dell’Informazione Viviane Reding e la Ministra per gli Affari Europei nel Governo Reinfeldt, Cecilia Malmstrom, promossero il “3 step approach” per una maggiore tutela del pluralismo.
Dop un primo working paper, l’approccio prevedeva uno studio sugli indicatori per il pluralismo nei media nei paesi dell’Ue. Lo studio sugli indicatori del 2009, diretto dall’Università di Leuven, aveva identificato 166 indicatori, suddivisi in 3 categorie (legali, economici, socio politici), per 6 aree di rischio.
Il monitor del 2009 riscontrò numerose critiche, legate soprattutto alle difficoltà di applicazione dello stesso, restando di fatto lettera morta per anni.
Alla fine del 2013 la Commissione Europea ha incaricato il CMPF di Firenze di riprendere in mano l’iniziale monitor e, a seguito di un energico lavoro di semplificazione, condurre uno studio pilota su 9 Paesi (Italia, Francia, Regno Unito, Danimarca, Belgio, Estonia, Bulgaria, Ungheria, Grecia).
Lo studio si concluderà a fine ottobre con la trasmissione di un policy report alla Commissione. L’analisi nei singoli paesi è stata portati avanti da gruppi di esperti locali, mentre lo studio italiano è stato gestito internamente dal Centro di Firenze.
Il MPM 2014 è stato semplificato, per garantirne la corretta attuazione, riducendo gli indicatori dagli iniziali 166 a 34 (20 legali, 6 economici, 8 socio politici).
Il Monitor si pone come strumento di facile lettura: la sua struttura a “semaforo” – in cui i tre colori, verde, arancione e rosso indicano rispettivamente rischio basso medio o alto, cui si aggiunge il blu che va ad identificare i “missing data” – permette una immediata visualizzazione della situazione e costituisce uno strumento di diagnosi e non di cura.
Gli indicatori sono stati rielaborati rispetto all’iniziale “progettazione” affinché fossero applicabili, rilevanti, misurabili e avessero una validità “cross country”.
Il Centro Universitario Europeo di Firenze ha presentato i primi risultati del MPM – Media Pluralism Monitor, un progetto pilota voluto dalla Commissione europea in difesa del pluralismo dei media in Europa
Rispetto alla versione 2009 sono stati introdotti appositi indicatori per la valutazione del pluralismo in internet e uno per la net neutrality.
Gli indicatori legali mirano a comprendere attraverso risposte Si/No se in un dato paese esista una legge per la salvaguardia della libertà di espressione, per la professione giornalistica, per le minoranze, per i media locali, etc…. e successivamente se questa legge sia stata seriamente implementata. Gli indicatori economici cercano di misurare la concentrazione attraverso domande precise (quantitative), mentre gli indicatori socio politici risultano quelli più controversi e difficili da misurare. A tal fine è stata introdotta, solo per questi ultimi, una content analysis e un panel di esperti.
I dati presentati il 30, solo a livello aggregato e non per singoli Paesi, hanno mostrato un quadro complessivamente malato. Nel 2015 lo studio, una volta implementato ed affinato, verrà esteso ai restanti 19 Paesi dell’UE.
Anche se ancora non è chiaro il tipo di intervento che verrà messo in campo dalla Commissione, e quindi dalle singole autorità nazionali, per far fronte a situazioni particolarmente “rischiose” per il pluralismo, riteniamo comunque una simile iniziativa un progetto lodevole e un utile “watchdog” per la tutela del pluralismo e quindi della democrazia in Europa.