“State Aid for Newspapers”: viaggio nell’editoria che cambia

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Quali forme di sostegno pubblico sono necessarie o opportune per accompagnare la stampa quotidiana e periodica oltre la svolta digitale?

A questa domanda vuole rispondere “State Aid for Newspapers – Theories, Cases and Actions (a cura di P. Murschetz, edito da Springer), studio realizzato da una rete internazionale di esperti di economia e regolazione dei media, che prende in esame le basi teoriche ed i casi di concreto intervento della mano pubblica a sostegno dell’editoria in quindici Paesi a livello globale.

Lo studio affronta il quesito in una prospettiva che – nel complesso – risulta necessariamente non dogmatica: sin dalle premesse si dà atto, infatti, che non esiste un’unica risposta a livello né europeo né tanto meno globale, posto che ciascun Paese ha sviluppato (con esiti alterni) un proprio particolare approccio in materia, riflesso del contesto economico e politico-culturale nazionale.

Se spetta, dunque, a ciascun governo nazionale decidere se e come intervenire a sostegno di quotidiani e periodici, l’analisi rivela che esiste comunque un “minimo comune denominatore” tra le strategie e le politiche adottate a livello internazionale: si tratta della riconosciuta valenza sociale e della funzione di interesse generale che il “giornalismo di qualità” svolge nell’assicurare il pluralismo informativo a presidio della democrazia (R.G Picard, State Support for News: Why Subsidies? Why Now? What kinds?).

Tra i quindici Paesi oggetto d’esame, è possibile qui citare qualche esempio:

–       in Francia, i sussidi pubblici all’editoria hanno mantenuto il settore – in grave crisi – in uno stato di “sopravvivenza artificiale”, scoraggiando al contempo gli operatori di mercato dall’individuare nuovi ed efficienti modelli di business (M. Lardeau, P. Le Floch, France: Press Subsidies – Inefficient but Enduring);

–       già considerata a livello internazionale patria del “sistema modello” di sostegno pubblico all’editoria, la Svezia sta affrontando attualmente un profondo processo di revisione delle misure vigenti. Ad essere posta in discussione, alla luce della convergenza tra le piattaforme distributive, è la stessa preminenza accordata alla carta stampata, che da più parti si chiede lasci il posto a nuove forme di sostegno “neutrali”, che favoriscano il pluralismo informativo in modo trasversale su tutte le piattaforme  (M. Ots, Sweden: State Support to Newspapers in Transition);

–       nel Regno Unito, il dibattito e le attuali esigenze di riforma sembrano riguardare in particolare la stampa locale, che negli ultimi trent’anni ha vissuto un fenomeno di forte concentrazione proprietaria in esito ad acquisizioni che hanno messo le testate locali nelle mani di gruppi editoriali nazionali ed internazionali (D. Baines, United Kingdom:Subsidies and Democratic Deficits in Local News);

–       tradizionalmente, negli Stati Uniti d’America, le sovvenzioni pubbliche alla stampa sono avversate in quanto ritenute totalmente antitetiche agli ideali di indipendenza dell’informazione e di democrazia. Qui, il superamento della crisi del settore passa attraverso le innovative ed aggressive strategie commerciali adottate – ad esempio – dal New York Times e dal Wall Street Journal. Anche negli USA potrebbe, tuttavia, essere giunto il momento di superare la tradizionale avversione per l’“ingerenza della mano pubblica”, per fondare un nuovo “modello di servizio pubblico” che consenta di “salvare il giornalismo indipendente e di qualità” (senza salvare necessariamente i giornali) (V. Pickard, The United States of America: Unfounded Fears of Press Subsidies).

E l’Italia?

State Aid for Newspapers” non dedica un capitolo all’Italia. I termini del dibattito in corso nel nostro Paese sono, però, stati ben chiariti dalla Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG, La stampa in Italia (2011-2013) http://www.fieg.it/upload/studi_allegati/LA%20STAMPA%20IN%20ITALIA%202011-2013.pdf, spec. pp. 59-61), che ha richiamato l’attenzione in primo luogo sugli sforzi che devono essere compiuti dalle imprese editrici in termini di riorganizzazione per recuperare redditività trovando nuovi bacini di utenza, riducendo i costi di produzione ed adeguandosi ai nuovi modelli informativi imposti dalle attività in rete e multipiattaforma.

Ma la FIEG chiede anche che tali sforzi possano avvenire all’interno di un disegno di politica industriale nazionale di ampio respiro che, oltre alla promessa riduzione del gravoso cuneo fiscale, vada ad incidere – in modo mirato – strutturalmente sull’offerta e sulla domanda di giornali nel nostro Paese: tra le misure auspicate dalla FIEG, vi è la puntuale attuazione della disposizione contenuta nella Legge di stabilità 2014 relativa al Fondo straordinario per l’editoria, finalizzata a stimolare gli investimenti delle imprese nell’innovazione tecnologica e digitale, nonché l’istituzione di un credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali, software applicativi, gestionali e di protezione dati, ed in aggiornamento professionale.

Per usare le parole della stessa FIEG, quello che gli operatori del settore chiedono nel nostro Paese, al fine di esser posti in grado di cogliere le opportunità di cambiamento aperte dal processo di digitalizzazione e convergenza, è un “coerente disegno di politica industriale che destini risorse a tutte quelle innovazioni di processo e di prodotto in grado di garantire l’occupazione esistente e accrescere la produttività. Anche in Italia, dunque, “un intervento pubblico per l’editoria appare un’esigenza imprescindibile proprio per l’importanza strategica del settore che non si esaurisce in una sfera meramente economica, ma tocca interessi e diritti fondamentali di valenza costituzionale” (FIEG, cit., p. 60).  

 

 

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