Il 6 novembre scorso il Tribunal de Grande Instance di Parigi ha emesso una sentenza che farà molto discutere nei mesi a venire, riaprendo l’acceso dibattito giurisprudenziale sull’attribuzione di responsabilità degli intermediari del web sui contenuti pubblicati da terzi, nonché sul più che attuale tema del diritto all’oblio.
La diciassettesima camera civile del Tribunale francese ha infatti ordinato al colosso di Mountain View di bloccare su Google Image le immagini, diffuse dal magazine britannico News of the World, relative alle pratiche sadomasochiste di Max Mosley, ex presidente della FIA (Fédération Internationale de l’Automobile). Sul caso in questione si era già pronunciato il tribunale di Londra, il quale aveva condannato News of the World ad un risarcimento di oltre novantamila dollari per violazione della privacy. Ma i giudici francesi vanno oltre.
I legali di Mosley chiedevano infatti a questi di costringere Google di filtrare i risultati dal suo motore di ricerca, non dovendo più essere costretti a segnalare volta per volta i link incriminati per chiederne la rimozione. Big G si era rifiutata di apporre un filtro apposito permanente, perché stando a quanto sostenuto più volte da Daphne Keller, Associate General Counsel del colosso americano, questo avrebbe rappresentato un “modello di censura automatica” per i contenuti presenti sul web.
Il Tribunal de Grande Instance ha però deciso diversamente. I giudici francesi hanno infatti invocato dapprima l’art. 9 del Codice Civile d’oltralpe, secondo il quale i giudici possono “prescrire toutes mesures, (…) propres à empêcher ou faire cessar une atteinte à l’intimité de la vie privée” (prescrivere tutti i provvedimenti, atti a impedire o a far cessare una violazione all’intimità della vita privata). Affermando poi che Google, proprio in qualità dei suoi servizi di intermediazione tecnica, deve prendere misure idonee a prevenire in futuro nuovi danni alla persona di Mosley, in questo caso, non limitandosi solamente ad eliminare i link dopo la segnalazione ma adottando, in via preventiva, un filtro che non permetta la visualizzazione dei suddetti contenuti, sostenendo nella decisione che “cette qualité ne fait pas obstacle à ce que lui soient imposées des obligations de retrait ou d’interdiciotn d’accès” (questa qualità non impedisce che gli siano imposti obblighi di ritiro o di divieto di accesso).
I giudici francesi quindi, contrariamente a quanto richiesto dalla difesa di Google, hanno ritenuto le misure richieste da Mosley proporzionate, sia in quanto la Francia è obbligata a rispettare il diritto spettante a Max Mosley al rispetto della sua vita privata (come sancito dall’art. 9 della CEDU – Diritto al Rispetto della Vita Privata e Familiare), sia in quanto sostengono che quanto proposto da Big G (la rimozione delle URL segnalate, nda) non sia misura idonea a garantire la tutela della privacy di Mosley, visto che lo stesso aveva seguito tale procedura “pendant près de deux ans en vain, ces images, compte tenu de leur nature, réaprraraissant sur les pages de résultats du moteur de recherche de la société Google Inc., systématiquement après une suppression” (per quasi due anni invano, e tenuto conto della natura delle immagini, queste riappariranno nella pagina dei risultati del motore di ricerca della società Google Int, sistematicamente dopo un periodo di sospensione).
La relazione tecnica del professor Mayer-Schönberger si è anche pronunciata sul piano tecnico, sottolineando come l’aggiunta di un filtro permanente per i contenuti di Mosley non causerebbe problemi tecnici per Google né tantomento “coûts exorbitants”. L’unico rischio infatti per i giudici francesi potrebbe essere l’eccesso di filtraggio, ma questo viene comunque superato dalla necessità di eliminare le immagini in causa.
Accettando quindi l’argomentazione dei legali di Mosley e secondo quanto detto sopra, il Tribunal de Grande Instance di Parigi, oltre al simbolico risarcimento di un euro e al pagamento delle spese legali, ha imposto a Google la rimozione di tutte le immagini inerenti al video sadomasochista di Mosley entro due mesi dalla data della sentenza, imponendo altresì al motore di ricerca l’obbligo di sorveglianza su ogni eventuale nuova pubblicazione durante i prossimi 5 anni, stabilendo a riguardo una sanzione di mille euro per ogni mancata rimozione. Decisione che non potrà essere disattesa dal colosso americano, in quanto la sentenza prevede l’obbligatoria esecuzione provvisoria di quanto ordinato.
Ovviamente la reazione di Google non si è fatta attendere. La società statunitense infatti ha già annunciato che presenterà appello. Secondo la stessa, infatti, il prezzo da pagare se – come prevedibile – la sentenza francese verrà usata come precedente d’ora in avanti sarà molto alto. Infatti non si potrebbe più utilizzare l’algoritmo attraverso il quale vengono selezionate e catalogate le immagini, che appunto seleziona le stesse non in base all’immagine riportata ma attraverso le parole chiave associate alla stessa (stessa cosa che, peraltro, accade con i video). A differenza di quanto sostenuto dal tecnico del tribunale francese, il costo per il trattamento manuale delle informazioni, oltre a essere molto alto, snaturerebbe e falserebbe la funzione del motore di ricerca, riducendo di fatto il lavoro di ricerca effettuato ad un editing di contenuti. Da qui la pericolosità del precedente francese, e la curiosità di chi scrive nel vedere come questo importante precedente verrà accolto dalle altre Corti dove ancora sono pendenti decisioni analoghe.