Avevo deciso di non parlarne. Il tema della legittimazione dell’AGCom a dettare un regolamento sull’enforcement nel diritto d’autore non mi appassionava e, sinceramente, mi sembrava una battaglia di retroguardia.
A me, infatti, appare evidente che l’ AGCom tragga questa legittimazione dall’art. 32-bis del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (D. Lgs. 31 luglio 2005, n. 177), così come introdotto dall’art. 6 del D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 44.
Conviene forse rileggere i commi 2 e 3 della norma citata: «2. I fornitori di servizi di media audiovisivi operano nel rispetto dei diritti d’autore e dei diritti connessi, ed in particolare: a) trasmettono le opere cinematografiche nel rispetto dei termini temporali e delle condizioni concordate con i titolari dei diritti; b) si astengono dal trasmettere o ri-trasmettere, o mettere comunque a disposizione degli utenti, su qualsiasi piattaforma e qualunque sia la tipologia di servizio offerto, programmi oggetto di diritti di proprietà intellettuale di terzi, o parti di tali programmi, senza il consenso di titolari dei diritti, e salve le disposizioni in materia di brevi estratti di cronaca. 3. L’Autorità emana le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e divieti di cui al presente articolo».
In claris non fit interpretatio, ci insegnavano al primo anno di università. Se il senso di una norma è palese, è inutile scervellarsi in complicate disquisizioni dottrinali.
L’art. 32-bis attribuisce all’AGCom un potere di scrivere un regolamento, mi sembra ci sia poco da discutere. Tuttavia, sempre per il principio menzionato, mi appare evidente che tale potere sia limitato, sotto il profilo oggettivo, a determinate opere protette e, sotto il profilo soggettivo, ai soli fornitori di servizi di media audiovisivi. Ciò dovrebbe escludere, dunque, i soggetti e le opere diversi da quelli espressamente menzionati dall’art. 32-bis del Testo Unico.
So che non è una critica nuova e che già in tanti, prima e meglio di me, avevano sollevato tale criticità in sede di discussione del precedente schema di regolamento.
Per la verità, penso di possa dire che l’AGCom ha recepito tali orientamenti. Nella Delibera n. 452/13/CONS, il richiamo all’art. 32-bis è solo a pagina 3, nelle ultime righe. Allo stesso modo, lo schema di regolamento prevede una disciplina speciale per i fornitori di servizi di media nel solo Capo IV, rubricato “Disposizioni relative alla tutela del diritto d’autore sui servizi di media” (art. 11 e ss. dello schema di regolamento).
Tuttavia, se leggiamo il resto della Delibera citata, notiamo che gli obiettivi dell’Autorità sono più ambiziosi e vorrebbero spaziare su tutte le violazioni del diritto d’autore o, quanto meno, per scelta della stessa Autorità, sulle violazioni delle opere digitali.
Questa conclusione trova riscontro nella Delibera che richiama, sin dalla sua intitolazione, il D. Lgs. 70/2003 che, com’è noto, ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 31/2000/CE sul commercio elettronico. È appena il caso di rammentare che l’ambito di applicazione oggettivo della direttiva sul commercio elettronico (così come del decreto di trasposizione) valica il diritto d’autore, investendo tutte (o quasi) le violazioni commesse via internet, sia sotto il profilo civilistico che penalistico.
Come espressamente ricordato anche nella Delibera n. 452/13/CONS, gli artt. 14, 15 e 16 del D. Lgs. 70/2003 dispongono che l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza possano esigere, “anche in via di urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle proprie attività come ivi definite, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse, agendo immediatamente per rimuovere le informazioni illecite o per disabilitarne l’accesso”.
L’AGCom ritiene, se ho ben capito, che il proprio potere discenda direttamente da tali disposizioni.
Eppure – come mi ha fatto notare Guido Scorza in una recente chiacchierata – così non può essere. L’AGCom sta commettendo un marchiano errore interpretativo dal momento che le norme citate, infatti, attribuiscono il potere all’autorità amministrativa (nel cui novero può essere ricondotta l’AGCom) di ordinare agli ISP di impedire o porre fine agli illeciti commessi via internet, non di dettare norme che disciplinino – da un punto di vista sostanziale o procedurale – rimedi alternativi rispetto ai normali tribunali.
In altre parole, l’AGCom ha gli stessi poteri che hanno le altre autorità amministrative indipendenti, poteri cui, ad esempio, ha fatto sovente ricorso l’AGCM nei casi di oscuramento o blocco dei siti internet che commerciavano opere o prodotti contraffatti.
Gli artt. 14/16 del D. Lgs. 70/2003 riconoscono esclusivamente tale potere; non assegnano, invece, né all’autorità giudiziaria, né a quella amministrativa alcuna facoltà di dettare normative di settore, seppur di rango regolamentare.
In assenza di un’espressa indicazione, tanto nella direttiva comunitaria quanto nel decreto legislativo di recepimento, non può che ritenersi che detta facoltà competa in via esclusiva al potere legislativo. In estrema sintesi, AGCom sta facendo qualcosa che non è legittimata a fare.
Quali conclusioni?
L’AGCom, come osservato, può dettare un regolamento, ai sensi dell’art. 32-bis del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, ma il suo intervento deve essere circoscritto a determinati operatori e a determinati opere/servizi.
Se, invece, si ritiene – in linea con l’intitolazione dello schema di regolamento – che detta fonte sia il D. Lgs. 70/2003, allora si è al cospetto di un fraintendimento (nella migliore delle ipotesi). L’AGCom ha, come espressamente previsto dagli artt. 14,15 e 16 precitati, il potere di esigere una cooperazione degli ISP finalizzata alla rimozione/blocco di accesso dei contenuti illeciti, nelle materie di sua competenza.
Non ha, invece, il potere di dettare delle regole autonomamente, senza che il Parlamento abbia effettivamente investito l’Autorità di tale potere.
Non v’è alcun richiamo nel D. Lgs. 70/2003 che contraddica questa conclusione (e, se avete dubbi, andata a leggere il testo degli artt. 14/16): è un dato di fatto, non una mia interpretazione personale. Ripeto: in claris non fit interpretatio.
(Articolo già pubblicato in http://giovannimariariccio.nova100.ilsole24ore.com il 18-9-2013)