Sono stata a Cuba. In vacanza. Preferirei scrivere del ritmo della salsa che entra nella pelle, delle eccellenti bottiglie di rhum a noi sconosciute o dell’uscita in barca all’alba per (non) vedere il lamantino dei Caraibi di salgariana memoria ed invece il mio diario di viaggio sarà circoscritto a qualche timida considerazione sullo stato di Internet nell’isola del Che.
Se dovessi sintetizzare la mia personale esperienza direi: Internet a Cuba praticamente non esiste.
In quindici giorni, infatti, sono riuscita a connettermi soltanto due volte.
Nell’hotel di L’Avana in cui ho soggiornato, sebbene fosse uno stimato 4 stelle, sul banco della reception era ben esposto un cavaliere che, con mille scuse, avvisava i clienti che “no tenemos tarjetas de acceso ad Internet disponibles”. La possibilità di connettermi nella capitale l’ho trovata in un altro hotel che mi ha fornito, al prezzo di 8 CUC (un peso convertibile vale poco meno di un dollaro americano), una tesserina rilasciata dall’ETECSA, l’Empresa de Telecomunicaciones de Cuba (partecipata al 27% da Telecom Italia!), con cui si ha diritto ad un’ora di navigazione entro 30 giorni dall’attivazione: la connessione, però, era WiFi e quindi con il non irrilevante vantaggio di poter usare il mio device personale. La seconda connessione è stata possibile, mediante un PC dedicato, a Cayo Levisa. Né gli hotel di Cienfuegos e di Remedios, né le “case particular” di Trinidad avevano connessioni disponibili.
Come non bastasse, non ho comunque mai potuto leggere la posta elettronica perché il mio account poggia su di un dominio registrato su Google e BigG, in determinati Paesi (Corea del Nord, Cuba, Iran, Sudan e Siria), in virtù degli obblighi imposti dai vari embarghi, limita la fruibilità di alcuni servizi forniti tramite gli account Google Apps: Gmail è dunque accessibile, ma solo per gli account non professionali.
Fermarmi qui, però, sarebbe risibile.
Cuba è una realtà complessa e la condizione della rete, così come altri fenomeni sociali, deve essere approfondita per poter essere capita, ché altrimenti non si spiega il motivo per cui tutti i cubani a cui mi è capitato di domandare sapessero benissimo cos’è Internet, come funziona e cosa propone ed il Granma del 19 agosto pubblicasse in prima pagina (ad onor del vero senza alcuna nota di compiacimento) la notizia del black out di Google con conseguente tracollo del 40% del traffico globale del web.
C’è una contraddizione che non consente, di cui occorre necessariamente venire a capo.
Ecco allora come sono riuscita a ricostruire la situazione.
Internet a Cuba è accessibile dal 1996, ma solo via satellite e con una ampiezza di banda di soli 65 MB/s in uscita e 124 MB/s in entrata per l’isola intera.
La connessione satellitare è stata una scelta obbligata in quanto Cuba, a causa dell’embargo, non è mai stata autorizzata a collegarsi alla dorsale in fibra ottica che unisce la Florida con il Messico e che passa a poche miglia dalle sue coste.
È indubbio, per contro, che il Governo castrista abbia usato l’argomento del blocco U.S.A. all’accesso alla dorsale come scudo per giustificare la limitazione dell’accesso ad Internet a pochissime persone, tra cui medici ed accademici, non a caso espressione delle due punte di diamante – sanità ed istruzione – della rivoluzione cubana.
Solo nel 2009 le Autorità cubane hanno legittimato l’accesso ad Internet a tutti i cittadini, ma non concedendo accessi privati, bensì creando (sempre a causa della scarsità delle risorse di banda) appositi Internet point presso gli uffici postali.
Più o meno contestualmente veniva annunciata la posa di un cavo a fibra ottica sottomarino che, collegando Cuba col Venezuela, avrebbe permesso una più efficiente connettività, propagandando la possibilità di pieno accesso ad Internet come una prerogativa vitale per lo sviluppo di Cuba.
Il cavo è divenuto operativo solo agli inizi di quest’anno, ma ha già consentito l’apertura, ad inizio giugno, di 118 nuovi cybercafè dotati di connessione veloce.
Superate le limitazioni di carattere tecnico, il vero problema dell’accesso ad Internet continua ad essere rappresentato dal prezzo, oggettivamente eccessivamente oneroso per i cubani: si consideri infatti che a fronte di uno stipendio medio di 20 CUC al mese, un’ora di connessione costa 4,5 CUC. Costi minori, ma comunque proibitivi per il cubano medio, sono previsti per l’accesso all’intranet nazionale o per l’accesso al servizio di posta elettronica statale: rispettivamente 0,60 e 1,5 CUC.
Nonostante tutti questi impedimenti, i cubani conoscono bene Internet o perché lo imparano a scuola o perché frequentano i Club de Computation, circoli statali che, stando ai dati statistici dell’Oficina National de Estadisticas e Information (linkare il paragrafo 17.5 del report) sono disseminati ovunque nell’isola (ne esistono ben 603), sono completamente gratuiti, sono dotati di 9331 computer e, dalla loro istituzione, hanno già diplomato 3.043.299 persone (circa il 30% della popolazione).
Sempre da un punto di vista meramente culturale, va segnalato anche l’ottimo sito di EcuRed, la versione cubana di Wikipedia, la quale ospita 106.520 articoli di varia natura e tematica.
Rimane invece aperta ed irrisolta la questione della censura, da sempre attuata dal regime su qualsiasi forma di pensiero non allineata a quella del partito comunista, censura che, parlando di Internet, va inevitabilmente a stretto braccetto con misure di sorveglianza online.
Tuttavia anche sotto questo profilo, un recentissimo rapporto del Berkman Center, pur dando atto della probabile installazione di keylogger sui computer installati negli Internet point e la presenza di un software, denominato Avila Link, che potrebbe avere anche funzioni di monitoraggio, conclude affermando che: “Although Cuba is routinely listed alongside China, Iran, and Saudi Arabia as one of the most Internet-restrictive countries in the world, there is no conclusive evidence that the Cuban government practices widespread filtering”.
…che poi, dopo lo scandalo del datagate, non è che possiamo ritenerci veramente liberi e privi di controlli neppure noi europei che pure ci crediamo tanto democratici.
Anche la blogger Yoani Sanchez ha accolto con cauto favore le ultime novità legislative che prospettano una rete più aperta per tutti i cubani, paragonandole, a livello di impatto sociale, all’introduzione, vent’anni fa, della moneta convertibile, sebbene si tratti, a suo parere, di una mera mossa politica volta ad arginare, ora come allora, l’increscioso fenomeno del mercato nero (di dollari all’epoca, di accessi clandestini ad Internet oggi).
A prescindere dal paragone della Sanchez, con cui non concordo in quanto, personalmente, mi è parso che il peso convertibile non stia alimentando il benessere bensì una forte sperequazione sociale, cosa che mi auguro non avvenga con l’apertura di Internet, è comunque certo che qualcosa a Cuba sta lentamente cambiando e, a mio avviso, i cubani saranno sicuramente più preparati ad affrontare la rete di tanti giovani occidentali che a scuola non ricevono la stessa istruzione in materia informatica.
Insomma, per quanto la realtà cubana sia assai complicata e la presenza di fonti discordanti – in parte volute dallo stesso regime castrista che in tal modo mantiene un costante riserbo strategico sulla vita dell’isola – non mi consenta di giungere ad affermazioni finali tranchat, non posso non farmi trascinare dallo spirito positivo caraibico e concludere, prendendo spunto da un adesivo apposto sul lunotto di una fantastica Chevrolet anni ’50, parcheggiata nei pressi di Plaza Vieja a L’Avana, che Internet a Cuba “avanza confiado”.
2 Comments
Grazie Monica, nel mare di ovvietà che ci rovesciano addosso ogni giorno, con questo articolo hai fatto un vero “scoop” (perchè queste cose non sono note, nè facilmente rinvenibili su fonti aperte) e dell’ottima informazione!
Grazie! 🙂