1. Un nuovo intervento della Corte di Cassazione ( Sez. V, 28 novembre 2012, dep. 29 aprile 2013, n. 18826) riguarda la configurabilità del reato di sostituzione di persona e di conseguenti molestie, per la diffusione del numero di utenza cellulare della vittima, attraverso un nickname, nella chat di un social network, con la specifica indicazione “sex”, che aveva indotto gli utenti a ritenere che la persona offesa fosse disponibile ad incontri sessuali e che aveva determinato numerose telefonate ingiuriose o fastidiose sul utenza mobile.
La Corte di legittimità premette che i “cambiamenti che l’evoluzione tecnologica ha prodotto …. hanno dispiegato i loro effetti .. anche in materia penale, ponendo molteplici problemi, tra i quali di non poco momento appaiono quelli sottesi ad un’attività di interpretazione estensiva che, in assenza di organici interventi legislativi, consenta di adeguare l’ambito di operatività delle tradizionali fattispecie di reato, come quella di cui all’art. 494 c. p., alle nuove forme di aggressione per via telematica dei beni giuridici oggetto di protezione, senza violare i principi di tassatività della fattispecie penale e del divieto di interpretazione analogica delle norme penali”.
Esordito in tal forma, la Corte procede nell’analisi della figura tipica del reato di sostituzione di persona per verificare se la condotta descritta, posta in essere dall’imputata, sia riconducibile nel tipo legale.
La prima considerazione attiene lo spettro di tutela dell’art. 494 c.p., che collocato tra i reati contro la fede pubblica, secondo la sentenza e la giurisprudenza maggioritaria ha natura plurioffensiva riguardando anche gli interessi del privato danneggiato (in tal senso esistono numerosi precedenti: Cass., Sez. V, 27 marzo 2009, n. 21574; Cass., Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 7187; perfino a Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2007, n. 237855, Pasquini). Del resto, che la norma tuteli anche l’interesse del singolo danneggiato si ricava dal dato testuale che, nell’ambito del dolo specifico – che connota la fattispecie – prevede espressamente la volontà di recare ad altri un danno e si riferisce alla sostituzione illegittima della propria all’altrui persona. L’inserimento nella lettera della norma del duplice riferimento al singolo rende evidente che il legislatore ha inteso proteggere, non soltanto la comunità da inganni, ma anche il soggetto di cui vengono utilizzati illegittimamente i dati.
La sentenza, quindi, esamina le precedenti fattispecie di sostituzione di persona commesse via Internet, trattate dal S. C.: la partecipazione ad aste on line con uno pseudonimo (Cass. Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 12479) e l’uso di un falso account di posta elettronica, appositamente creato, per far ritenere che l’apparente titolare (la persona offesa) fosse disponibile ad incontri a scopo sessuale (Cass., Sez. V, 8 novembre 2007, n. 46674).
La Corte, tuttavia, si premura di segnalare le differenze esistenti fra le ipotesi già affrontate e quella in esame, in cui l’imputata non ha utilizzato uno pseudonimo o non ha cerato un account mail falsamente intestato, ma ha inserito in una chat i dati identificativi della persona offesa con la quale aveva in atto una vertenza giudiziaria. Tale divesità appare notevole – e la stessa Core lo evidenzia – aggiungendo, tuttavia, che parimenti è configurabile nel fatto il delitto di sostituzione di persona. L’asse portante della decisione sta nella riconduzione del nickname (accompagnato dall’utenza telefonica) – definito identità virtuale – quando non sia dubitabile la sua riferibilità ad una persona fisica, agli elementi costitutivi del delitto contestato ( che comprendono “il nome, lo stato o qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici”). Secondo la Corte: è tutelato dall’art. 494 qualsiasi contrassegno d’identità, ivi compresi i nickname utilizzati ondine “che attribuiscono un’identità sicuramente virtuale … la quale, tuttavia, non per questo è priva di una dimensione concreta”. I soprannomi, infatti, possono veicolare in rete informazioni “idonee a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui, cioè di quella di coloro ai quali il nickname è attribuito”.
La decisione appare condivisibile, trattandosi di un connotato della persona, che può integrare uno degli elementi costitutivi del reato previsto dall’art. 494 cod. pen., rientrando in senso alto nel concetto di nome. La problematica che sorge – e non è che implicitamente risolta dalla sentenza in commento – è che il nickname, non apparteneva alla persona offesa, ma era stato creato, utilizzando le sue iniziali, dalla fantasia dell’agente. La riconducibilità del messaggio alla vittima e le conseguenti molestie sono, dunque, determinate dalla diffusione della sua utenza cellulare. E’ da questa combinazione che nasce, perciò, l’individuabilità della vittima. In questo senso appare corretta la premessa introdotta dalla Corte sulla necessità di un’interpretazione estensiva del reato di sostituzione di persona per renderlo adeguato alle lesioni telematiche.