V’è da sempre il “mito del Far West” nel definire i limiti giuridici dell’agire in internet. V’è la suggestione del nuovo da plasmare. Purtroppo però, come di fronte a tutte le novità, v’è altresì il rischio di coglierne solo una parte e di non comprenderne appieno le implicazioni sistemiche.
Le corti non sono affatto immuni da tale rischio anzi, complici fattori sociali e generazionali, si ha sovente la sensazione che i giudici, come buona parte del mondo giuridico, siano chiamati ad addentrarsi in lande quantomeno poco conosciute.
Questa sensazione di agire pionieristico si avverte nel leggere le motivazioni della pronuncia Cass. 5525/2012 in cui, in un caso di presenza nell’archivio on-line di un quotidiano di una notizia contenuta in un articolo risalente al 1993 inerente una vicenda giudiziaria, la Corte cassa la decisione del Tribunale di Milano ed indica al giudice di rinvio i seguenti principi cui attenersi:
anche in caso di memorizzazione nella rete internet […] deve riconoscersi al soggetto cui pertengono i dati personali oggetto di trattamento ivi contenuti il diritto all’oblio […] che anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei medesimi, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione.
In ipotesi, come nella specie, di trasferimento ex art. 11, comma 1 lett. b), d.lgs. n. 196 del 2003 di notizia già di cronaca (nel caso, relativa a vicenda giudiziaria di personaggio politico) nel proprio archivio storico, il titolare dell’organo di informazione (nel caso, la società Rcs Quotidiani s.p.a.) che avvalendosi di un motore di ricerca (nel caso, Google) memorizza la medesima anche nella rete internet è tenuto […] a garantire la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento, a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità personale o morale nella sua proiezione sociale, nonché a salvaguardia del diritto del cittadino utente di ricevere una completa e corretta informazione […] richiedendosi, atteso il ravvisato persistente interesse pubblico alla conoscenza della notizia in argomento, la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corso o a margine) la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato (nel caso, dei termini della intervenuta relativa definizione in via giudiziaria), consentendo il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfondimento […].
In termini generali non può non destare interrogativi la conseguenza pratica di simili conclusioni, laddove la (pretesa) tutela del singolo finisce per limitare la libertà di espressione, la libertà di essere informati e la libertà di ricerca storica.
Già solo questo dovrebbe far riflettere su quanto delicato sia il bilanciamento di interessi da porre in essere nel caso di notizie contenute negli archivi di giornali e di come un’eccessiva accentuazione della protezione dei soggetti lesi vada ad incidere negativamente su posizioni altrettanto tutelate e costituzionalmente rilevanti. Senza contare poi che, sul piano pratico, gli oneri derivanti da un puntuale e constante aggiornamento di tutte le notizie pubblicate comporterebbero per le testate giornalistiche un aggravio tale da indurre facilmente a mutar indirizzo circa l’accessibilità on-line agli archivi storici, con una grave perdita per le possibilità di ricerca e di indagine sulle vicende passate.
La decisione genera perplessità non solo in una prospettiva di politica del diritto, ma anche guardando all’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte.
Il cardine del ragionamento elaborato dai giudici è costituito non tanto dal (pur invocato) diritto all’oblio, quanto piuttosto dalla nozione di verità della notizia e dal riconoscimento in capo all’interessato di un ampio diritto all’integrazione/cancellazione dei dati personali.
Il diritto all’oblio è infatti andato affermandosi, nella giurisprudenza italiana, in relazione ad ipotesi di rievocazione di vicende passate ad opera dei media. Fattispecie dunque diverse da quella in esame, nella quale non v’è rievocazione, ma solamente conservazione all’interno di un archivio accessibile di una notizia passata, ed in cui manca alcuna attività volta a rendere nuovamente noti fatti pregressi della vita individuale in maniera tale da negare al singolo la possibilità di affrancarsi da specifiche vicende assurte in precedenza a notorietà.
La disponibilità in rete di materiale d’archivio non costituisce dunque una rievocazione del passato, ma semplicemente ne perpetua la memoria, da qui la più esatta collocazione della questione nell’ambito della conservazione e gestione dei dati personali e degli archivi di informazioni. Se proprio riferimento si vuol fare al diritto all’oblio va fatto non alla nozione invalsa nella giurisprudenza, bensì alla più recente formulazione del right ot be forgotten contenuta nella proposta di regolamento comunitario in materia di data protection.
Estraneo al diritto all’oblio è il tema della verità della notizia, posto che la notizia pregiudizievolmente rievocata deve essere di per sé vera affinché si possa pretendere la tutela del diritto ad esser dimenticato.
Nella specie proprio il requisito della verità della notizia, unitamente al ruolo centrale che esso assume nella divulgazione delle informazioni attraverso i media, viene ad aver rilievo nell’argomentare dei giudici di Cassazione, ove si asserisce che la tutela dell’identità personale postula il perdurare della verità della notizia nel tempo.
Nel giungere a tale conclusione la Corte si pone nuovamente in contrasto con la giurisprudenza formatasi negli anni, che invece ha sempre richiesto una verifica circa la verità dei fatti narrati al momento della loro divulgazione (ammettendo per altro alcune deroghe ed interpretazioni estensive), giammai pretendendo che l’attinenza al vero dovesse perdurare ed essere garantita costantemente nel tempo. Sebbene per altre strade – attraverso la tutela dell’identità personale, così come domandando un rigoroso rispetto del metodo storico – le corti abbiano impedito rievocazioni fallaci od omissive rispetto a nuove evidenze inerenti fatti passati, tuttavia in entrambi i casi si è comunque trattato di ipotesi di nuova divulgazione di vicende pregresse, ad opera del giornalista, piuttosto che dello scrittore o dello storico.
Un archivio di giornale, pur garantendo la continua accessibilità ai propri contenuti, non costituisce invece rievocazione delle notizie; quest’ultime risultano infatti consultabili nella loro versione originale quale documento ed il perdurare dell’accesso non ne muta la natura in notizie nuovamente e permanentemente divulgate. Fra la pubblicazione di notizie attinenti a vicende passate e la realizzazione di un archivio liberamente accessibile variano infatti le finalità perseguite, differendo il più ampio intento di dar vita ad una ricostruzione storica da quello meramente archivistico.
La verità intesa poi come diritto a che i dati siano esatti ed aggiornati ed, ove del caso, alla cancellazione dei dati rispetto agli archivi storici può difficilmente trovare fondamento nella normativa sui dati personali.
In primo luogo è lo stesso d.lgs. 196/2003 ad ammettere la conservazione successiva delle informazioni raccolte per finalità storiche; non solo, l’archiviazione delle notizie per finalità storiche oltre a rappresentare un trattamento compatibile con l’iniziale raccolta a scopi giornalistici, soddisfa anche l’interesse pubblico attuale a conoscere le vicende passate, strumentale all’esercizio della ricerca storica ed all’esercizio della libertà di espressione, entrambi costituzionalmente garantiti.
Secondariamente, se si guarda alle finalità del trattamento ovvero alla mera finalità di dar vita ad un archivio delle passate edizioni (e non di offrire una ricostruzione storica di eventi), si deve ritenere che in tale prospettiva il dato esatto sia quello non manipolato ed autentico sotto il profilo documentale. Richiedere invece un’attività ricostruttiva e di contestualizzazione che consideri anche ulteriori fatti successivi vuol dire mutare coattivamente la finalità archivistica in quella di analisi e ricerca storica.
Proprio con riguardo al profilo della contestualizzazione non pare poi corretta l’equiparazione che fa la corte fra le notizie contenute in un archivio di giornale on-line ed una qualsiasi informazione reperibile in internet. Le prime (a differenza delle seconde) sono infatti già in parte contestualizzate in quanto indicanti la fonte, l’autore della notizia, la data in cui è stata resa pubblica e, soprattutto, in quanto facenti parti un continuum informativo quale è un archivio digitale, in cui è possibile ricercare eventuali antecedenti e sviluppi successivi della singola vicenda.
La più ampia contestualizzazione pretesa dalla corte non pare poi necessariamente offrire maggiori garanzie di tutela dei diritti. Come insegna infatti la stessa giurisprudenza con riguardo all’attività dello storico, porre una notizia in correlazione con altre informazioni successive non è operazione neutra, bensì presuppone l’adozione di un criterio di selezione e dunque una correttezza metodologica la cui carenza può comportare un’eventuale lesione dell’identità personale dei soggetti coinvolti. Pretendere l’integrazione vuol dire dunque trasformare l’archivio storico in opera storica, accollando al gestore dell’archivio un’attività professionale non pertinente con le finalità prefissatesi.
Molto più condivisibile era invece la soluzione, adottata in più pronunce dal Garante per la protezione dei dati personali, incentrata sulla distinzione fra reperibilità generalizzata on-line mediante i motori di ricerca e possibilità di consultare gli archivi solamente in maniera mirata attraverso lo specifico motore di ricerca di ciascun giornale. Seguendo questo approccio di tipo tecnologico era stato infatti trovato un coerente equilibrio fra l’esigenza del singolo di veder tutelato il proprio diritto all’oblio, limitando l’indiscriminato accesso alle informazioni storiche, e le esigenze dei molti di essere informati.
La natura controversa della decisione in esame mostra dunque l’attualità e l’opportunità di realizzare un più ampio dibattito sul rapporto fra notizia ed accessibilità on-line alla “memoria” dei giornali. In tale prospettiva il seminario di studi su “La notizia e l’oblio. Giornali ed archivi al tempo di Internet”, che si terrà il 22 ottobre 2012 presso il Politecnico di Torino, vuole essere un primo contributo di riflessione sul tema.
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Per una più articolate analisi si veda, volendo:
Mantelero, “Right to be forgotten ed archivi storici dei giornali. La Cassazione travisa il diritto all’oblio”, in Nuova giur. civ. comm., 2012, II, 543-549 (http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2176835)