Negli ultimi tempi sempre più spesso ci troviamo di fronte ad un nuovo termine, la biblioteca digitale, che richiama due concetti apparentemente lontani anni luce tra loro ma che allo stesso tempo testimonia l’esistenza di una nuova realtà che è destinata a svolgere un ruolo di protagonista negli anni futuri.
La biblioteca digitale è caratterizzata da due elementi fondamentali: il primo è una nuova tipologia di utente, l’utente remoto, che non è più fisicamente presente all’interno dei locali della biblioteca e che vede soddisfatte le proprie esigenze in tempo reale, just in time, senza i limiti di spazio e di tempo che sono propri della biblioteca classica; il secondo elemento è costituito dalla collezione digitale, ossia una collezione che è pienamente accessibile dall’utente nel luogo e nel momento scelti.
La biblioteca storicamente risente dei cambiamenti della società in cui vive: la stessa biblioteca digitale è figlia della società di oggi, la cosiddetta società dell’informazione, che è caratterizzata dalla possibilità per tutti i cittadini di essere in contatto tra loro, in qualsiasi momento e luogo, e nella quale l’accesso all’informazione è un elemento unificante. La biblioteca dunque, che nel corso della storia ha assunto un ruolo di presidio della democrazia grazie alla prerogativa di facilitare l’accesso alla cultura da parte del più ampio numero di persone, oggi nella sua veste digitale partecipa al processo di globalizzazione.
Purtroppo quando una nuova realtà non ancora codificata, come la biblioteca digitale, si affaccia nel mondo del diritto immediatamente sorgono problemi di identificazione e nel nostro caso sembra inevitabile richiamare la disciplina che regola il diritto d’autore nella biblioteca classica, o di carta come potremmo chiamarla. Applicando però la legge 633 del 1941 sul diritto d’autore il risultato è abbastanza deludente poiché quest’ultima prevede la necessità che il detentore del diritto d’autore autorizzi di volta in volta ogni riproduzione, ma tale autorizzazione appare di difficile realizzazione nell’ambiente digitale, dove gli atti di riproduzione di un’opera avvengono quotidianamente, dal momento che qualsiasi forma di utilizzo e ogni atto di comunicazione implicano tecnicamente la riproduzione dell’opera.
Al di là delle difficoltà interpretative sopra esposte, le problematiche più rilevanti si presentano quando una biblioteca decide di iniziare a digitalizzare opere già presenti all’interno della propria collezione cartacea e quando si deve prevedere una disciplina che regoli il materiale sorto in formato digitale, cosiddetto born digital. In quest’ultimo caso, in mancanza di norme imperative, la biblioteca è tenuta a concludere accordi con gli editori sotto forma di licenza per acquistare non la proprietà del materiale ma la mera possibilità di accedere ad esso da parte dei suoi utenti; detti accordi dovranno stabilire cosa si debba intendere per utenti autorizzati, quali siano gli usi consentiti e soprattutto quali siano i limiti all’utilizzo del materiale digitale fornito dall’editore.
Quando invece la biblioteca vuole digitalizzare del materiale che è già presente all’interno della propria collezione, la situazione è più problematica poiché in questo caso se il materiale è ancora protetto dalla normativa sul diritto d’autore, che come noto appronta una tutela di durata pari all’intera vita dell’autore e fino a settanta anni dopo la sua morte, la biblioteca dovrà di volta in volta richiedere l’autorizzazione all’autore dell’opera. Infatti l’effettuazione della copia digitale di un’opera sorta in formato cartaceo consiste in un atto che incide direttamente sull’opera dell’ingegno in quanto ne rappresenta una versione tecnicamente diversa da quella voluta dall’autore e che può essere oggetto di modalità di fruizione differenti da quelle da lui immaginate. Andare alla ricerca di ogni singolo autore per ottenerne il consenso alla digitalizzazione è un’operazione molto dispendiosa, sia in termini di tempo che di denaro, che il mondo bibliotecario fa fatica ad accettare ma che è necessaria in attesa di una eventuale modifica della legislazione.
Nel settore delle biblioteche digitali esiste una problematica ancora più complicata e di difficile soluzione: la digitalizzazione di opere orfane, ossia di opere ancora protette dalla normativa sul diritto d’autore ma di cui è impossibile individuare o reperire l’autore. In questo caso le biblioteche non potranno mai ottenere il necessario consenso dell’autore alla digitalizzazione e così resterà vanificata l’ambizione di digitalizzare l’intero patrimonio culturale. La Commissione Europea, consapevole dell’entità e dell’importanza della questione, nel 2006 ha istituito un gruppo di esperti di alto livello in materia di biblioteche digitali per ottenere consigli sulle migliori modalità per affrontare le problematiche legali e tecniche derivanti dalle innovazioni tecnologiche. Da questa iniziativa è scaturita la redazione di linee guida sui criteri in base ai quali condurre una ricerca diligente al fine di cercare l’autore di un’opera orfana e nel maggio del 2011 è stata presentata una proposta di direttiva comunitaria. Questa proposta delinea un regime di riconoscimento reciproco dello status di opera orfana secondo il quale, dopo che sia stata condotta una ricerca diligente nello stato membro di prima pubblicazione, un’opera considerata orfana in uno stato membro sarà riconosciuta come tale in tutti gli stati membri. Gli esiti della ricerca saranno registrati in una banca dati pubblicamente accessibile e successivamente sarà possibile per le biblioteche mettere a disposizione l’opera e compiere un processo di digitalizzazione della stessa. È previsto che i titolari di un’opera considerata orfana possano in qualsiasi momento porre fine a tale status, rivendicando i loro diritti sull’opera.
Purtroppo si tratta ancora di una proposta, ma il fatto di aver iniziato ad affrontare il problema è sicuramente un segnale positivo per l’intero ambiente digitale, i cui operatori molto spesso si sentono come una cenerentola nel mondo del diritto e aspettano quindi che la realtà digitale venga invece incoronata per ciò che è, il futuro.
Per ora un futuro molto incerto è riservato all’ambizioso progetto di Google Books, nato nel lontano 2002 quando Google ha stretto accordi riservati non esclusivi con numerose biblioteche statunitensi per digitalizzare i libri presenti nelle loro collezioni: in base a tali accordi Google ha spedito a proprie spese squadre di tecnici presso le biblioteche per digitalizzare i libri e in cambio le biblioteche ne hanno ricevuto una copia digitale. Con le opere in formato digitale così ottenute, provenienti sia da opere di pubblico dominio sia da libri ancora protetti dalla normativa sul copyright, Google ha iniziato a fornire un servizio assolutamente innovativo ai propri utenti: tramite Google Books l’utente, ovunque si trovi nel mondo, può effettuare ricerche nel testo delle opere digitalizzate e vedere online degli snippets – brevi frammenti – del testo che gli interessa o addirittura l’intero testo, se di pubblico dominio. Tale operazione, però, ha suscitato immediate reazioni negative e nel settembre del 2005 la Author’s Guild, una società americana a difesa degli interessi degli autori, ha citato in giudizio Google per copyright infringement. Secondo l’accusa Google avrebbe violato i diritti degli autori delle opere dell’ingegno in primo luogo digitalizzando i libri senza il preventivo consenso dell’autore e successivamente creando un deposito permanente con la collezione digitale di tutte le opere digitalizzate e offrendo inoltre agli utenti la possibilità di visualizzare frammenti delle opere. Poco dopo anche l’Association of American Publishers (APP) ha citato in giudizio Google lamentando la stessa condotta illecita. L’azione di categoria – class action – così intentata da Author’s Guild e APP è sfociata, dopo lunghe e tortuose trattative, in un accordo transattivo firmato nell’ottobre del 2008 dai rappresentanti degli autori e degli editori e da Google: il Proposed Settlement Agreement, modificato poi nel 2009 nell’Amended Settlement Agreement. In base alla legge statunitense l’accordo transattivo di una class action deve essere approvato dal giudice, ma per Google Books ciò non è ancora accaduto poiché il 22 marzo 2011 il giudice della corte distrettuale di New York, Denny Chin, ha rigettato l’accordo non ritenendolo giusto, adeguato e ragionevole. La Corte ha evidenziato che, qualora l’accordo fosse approvato, si darebbe luogo a un forward-looking business arrangement, ossia a una sorta di licenza per le attività di digitalizzazione e uso digitale dei libri che guarda al futuro. Ad essere criticato è soprattutto il meccanismo di opt-out previsto dall’accordo per i libri fuori commercio: mentre infatti per i libri disponibili sul mercato Google non permetterebbe alcun uso di visualizzazione senza il preventivo consenso dell’autore, per i libri non più disponibili sul mercato Google permetterebbe tutti gli usi di visualizzazione a meno che l’autore esplicitamente non escluda tale possibilità. In questo modo graverebbe sull’autore l’onere di verificare se alcuni suoi libri siano stati digitalizzati da Google e di attivarsi per regolare tale situazione. Infine attraverso l’accordo si creerebbe un monopolio de facto a favore di Google: solamente quest’ultimo avrebbe l’opportunità di digitalizzare le opere orfane e di permetterne l’utilizzazione da parte degli utenti senza il preventivo consenso degli autori. Il 15 settembre 2011 le parti si sono nuovamente incontrate davanti al giudice e si sono accordate sulla tempistica degli atti preliminari necessari all’instaurazione del processo, che dovrebbe iniziare al termine di luglio 2012. Nel frattempo le parti in causa avranno ancora la possibilità di raggiungere un accordo transattivo che possa essere approvato dal giudice, evitando in tal modo una sentenza su una questione per la quale sarebbe auspicabile un intervento del Congresso degli Stati Uniti, che risulta essere il grande assente sul campo insieme a tutti i legislatori dei vari Paesi.
Ad oggi la Author’s Guild ha depositato gli atti per ottenere la certificazione della class action mentre Google, a sorpresa, ha chiesto di estromettere l’associazione rappresentativa degli autori per mancanza di legittimazione attiva, in quanto gli autori sarebbero gli unici a poter difendere personalmente i propri diritti. Si allontana la possibilità di un accordo? Sicuramente ci aspetta un 2012 molto interessante.