Una sentenza ‘storica’ per molti versi, che potrebbe influire anche sul tracciamento dei cellulari, ma che mette di fronte alla difficoltà dei giudici di rapportarsi agli strumenti dell’era digitale con leggi del 18° secolo.
La polizia americana ha violato la Costituzione quando ha utilizzato, senza mandato di un giudice, un sistema di monitoraggio GPS per seguire i movimenti di un sospetto per un periodo di 28 giorni (Leggi articolo Key4biz).
La sentenza, della Corte Suprema, riguarda il caso di Antoine Jones, i cui movimenti sono stati sorvegliati elettronicamente dalla polizia, che aveva piazzato un sistema GPS nella sua Jeep e, anche se spesso si abusa di questa espressione, si può definire ‘storica’ per diverse ragioni. Innanzitutto perché pone di fronte a un problema alquanto spinoso: come si può, infatti, trattare un caso tanto immerso nella modernità e nelle sue ‘diavolerie’ (come appunto il GPS) con leggi di 3 secoli fa? E poi, qual è la ‘ragionevole aspettativa’ di privacy nella moderna era digitale, in cui sono spesso gli stessi cittadini a curarsi poco della loro riservatezza?
Jones era stato condannato all’ergastolo per spaccio di cocaina ma la sentenza è stata ribaltata dalla Corte d’appello secondo cui tale tipo di monitoraggio intrusivo dovrebbe richiedere un mandato per non violare il quarto emendamento, che tutela i cittadini da ricerche, perquisizioni, arresti e confische irragionevoli.
Il giudice della Corte Suprema Antonin Scalia ha ribadito la sentenza della Corte d’Appello, ma su un piano differente: “Riteniamo che l’installazione da parte del governo di un dispositivo GPS sul veicolo di un sospetto e l’utilizzo di tale dispositivo per monitorare i movimenti del veicolo costituiscano una ‘ricerca’”, ha scritto nella motivazione.
“E’ importante essere chiari su quanto accaduto in questo caso”, ha continuato il giudice Scalia. “Il governo ha occupato fisicamente una proprietà privata allo scopo di ottenere informazioni. Non abbiamo dubbi che questa intrusione fisica sarebbe stata considerata una ‘ricerca’ ai sensi del quarto emendamento, quando questo venne adottato”.
La sentenza era molto attesa, in quanto considerata il primo ‘test’ del diritto alla privacy nell’era digitale, ma non deve ingannare il fatto che la decisione sia stata presa all’unanimità: i giudici infatti si sono divisi (5-4) sulle motivazioni, il che suggerisce che rimangono le differenze sull’applicazione dei principi che proibiscono le ‘ricerche irragionevoli’.
La minoranza chiedeva, infatti, una dichiarazione più netta del fatto che l’installazione di un sistema di monitoraggio GPS non solo ha oltrepassato i limiti della proprietà privata, ma ha violato anche la “ragionevole aspettativa di privacy” monitorando i movimenti di un sospetto per un mese.
La maggioranza ha ritenuto invece che non fosse necessario spingersi così avanti, perché l’atto di posizionare il tracker sull’auto ha invaso la proprietà del sospetto allo stesso modo di una perquisizione in casa.
Secondo il giudice Sonia Sotomayor, che ha aderito alla decisione della maggioranza, “La gente rivela ormai i numeri che chiama o il testo dei messaggi ai fornitori del servizio telefonico; i siti visitati e gli indirizzi email al fornitore di servizi internet; i libri e le medicine che prende al negozio online ma io, per prima, dubito che una persona accetterebbe controlli non autorizzati del governo sui siti che ha visitato o sui numeri che ha chiamato”.
Il giudice ha aggiunto quindi che potrebbe essere necessario “riconsiderare la premessa che un individuo non ha una ragionevole aspettativa alla privacy sulle informazioni che ha volontariamente rivelato a terze parti”.
L’avvocato della difesa, Walter Dellinger, ha affermato che la sentenza rappresenta un “evento importante nella storia del quarto emendamento” e mette in guardia le forze dell’ordine sul fatto che l’utilizzo del monitoraggio GPS nei confronti di un cittadino è legalmente discutibile se non è preceduto da un mandato.
Quando il caso venne discusso a novembre, il pubblico ministero della contea di Broward, in Florida, Gregg Rossman, affermò che il sistema di tracciamento elettronico è ormai utilizzato ‘di routine’ dalla polizia per indagare su reati come spaccio di droga e omicidio, al pari della “ricerca di impronte digitali o della prova del DNA”. Da un sondaggio del Wall Street Journal presso le autorità locali, statali e federali è emerso quindi che il controllo continuo dei cellulari è tra i più comuni tipi di sorveglianza elettronica, superiore alle intercettazioni e al monitoraggio GPS delle auto.
Secondo Michael R. Dreeben, vice procuratore generale degli Stati Uniti, infatti, non ci sono limiti costituzionali alla capacità del governo di tenere traccia dei movimenti delle persone in luoghi pubblici. Qualsiasi dispositivo anche attaccato di nascosto ai vestiti – ha affermato Dreeben – è ammissibile fin tanto che non trasmette informazioni dall’interno di una casa.