La sentenza della Corte di Cassazione, V Sezione Penale, del 16 luglio 2010, n. 35511 è già, nel bene o nel male, un punto fermo. Interpreti ed operatori del diritto, chiamati in qualsiasi sede a dover rispondere dell’assimilabilità giuridica di internet alla stampa cartacea, ne dovranno tenere conto. La Corte, infatti, per affermare la non applicabilità dell’art. 57 del codice penale (Reati commessi col mezzo di una stampa periodica) nei confronti del direttore di un giornale web per i commenti dei lettori ospitati all’interno della propria piattaforma, utilizza argomenti che vanno in parte oltre il caso di specie e che pertanto si prestano a sintetizzare e far emergere il principio secondo cui internet non è la stampa. Le argomentazioni della Corte sono difatti molte (nonostante la brevità della sentenza) ed ognuna appare come una reazione alle interpretazioni legislative che in passato hanno provato ad estendere l’ambito applicativo della disciplina prevista per la stampa anche al web.
Dopo aver affermato che l’art. 57 del c.p. si presta ad un’interpretazione storica, surrogata dal fatto che il codice stesso distingue tra stampa ed altri mezzi di pubblicità, la Corte pone subito l’accento sulla non estensibilità del concetto di stampa ad altri media e, in particolare, ad internet. Per far emergere detta non estensibilità il collegio fa perno su due argomentazioni cardine:
a) la diversità strutturale tra stampa e altri media deriverebbe dal fatto che laddove il legislatore ha voluto assimilare la disciplina sulla stampa a quella sulla televisione e radio, lo ha fatto – in ossequio al principio di tassatività – sempre per espressa disposizione di legge: l’art. 10 della legge n. 223 del 1990 (la c.d. legge Mammì) afferma infatti che «ai telegiornali ed ai giornali radio si applicano le norme sulla registrazione dei giornali periodici contenute negli articoli 5 e 6, l. 8 febbraio 1948 n. 47 ed i direttori dei telegiornali e dei giornali radio sono a questo fine considerati responsabili» (la disposizione è ora contenuta negli art. 32 e 33 del Testo unico dei media audiovisivi e radiofonici); ancora, l’art. 30 della medesima legge introduce un reato avente come soggetti attivi i direttori di telegiornali e di giornali radio e, in sostanza, del tutto simile a quello di cui all’art. 57 c.p. in materia di stampa;
b) la Corte facendo poi leva sulla necessità che lo stampato sia, ex art. 1, l. n. 47 del 1948, il risultato di una riproduzione tipografica necessariamente destinato alla pubblicazione ed alla distribuzione tra il pubblico, ne sottolinea le differenti caratteristiche fisiche rispetto ad un contenuto online. Stando all’organo giudicante, a nulla vale sottolineare, per sostenere la presunta analogia tra stampa e il web, la “stampabilità” di un determinato contenuto, la stampa, infatti, è soltanto una «mera eventualità sia oggettiva che soggettiva». Oggettiva, in quanto non tutto ciò che transita attraverso internet è stampabile (si pensi ai contenuti audio o video); soggettiva, perché rimessa alla volontà di chi riceve il messaggio. Insomma, la Corte inserisce nel suo ragionamento quanto autorevole dottrina aveva affermato dodici anni or sono (il riferimento è a Zeno Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa, in Diritto dell’informazione e dell’informatica: note critiche,1998, p. 15 ss): «in primo luogo la stampante può non esserci (…). In secondo luogo l’uso della stampante è solo facoltativo in un duplice senso: il soggetto può decidere se stampare, e può decidere cosa stampare riproducendo l’intero documento o estrapolandone solo una parte. In terzo luogo vi è una vasta qualità di comunicazioni telematiche insuscettibili di per sé di essere “stampate”, come nel caso di messaggi audio e video».
Sulla base di queste argomentazioni la Corte giunge all’«assoluta eterogeneità della telematica rispetto agli altri media, sinora conosciuti» e, in particolare, rispetto alla stampa. Eterogeneità altresì sottolineata dai diversi mezzi utilizzati dai media per veicolare contenuti: «consegna materiale dello stampato e sua lettura da parte del destinatario», nel caso della stampa, «irradiazione nell’etere e percezione da parte di chi si sintonizza», nel caso di radio e televisione, ed infine, «trasmissione telematica tramite un ISP (internet service provider), con utilizzo di rete telefonica nel caso di internet». C’è poco di originale in ciò che l’organo giudicante sembra sottintendere: in un epoca come quella attuale di pre-convergenza tecnologica, la pluralità dei mezzi è spesso sinonimo di pluralità di discipline; in altre parole: finché il processo in corso di convergenza tecnologica non sarà portato a compimento, è fisiologico che il legislatore reagisca con tante discipline per quanti sono i mezzi di trasmissione dei contenuti.
L’inapplicabilità dell’art. 57 c.p. al caso di specie è poi fatta derivare non solo, come visto, dalla intrinseca eterogeneità tra media, ma anche come conseguenza del fatto che il direttore di un giornale web – in ottemperanza ad un principio del tutto simile a quello del c.d. mere conduit previsto dall’art. 14 del d.lgs n. 70 del 9 aprile 2003 – non è tenuto a controllare i contenuti messi in rete dai lettori. La sua posizione, infatti, è del tutto analoga a quella dei coordinatori di blog e forum, i quali non sono, a detta della Corte, chiamati ad alcun controllo. A questa argomentazione sistematica se ne aggiunge poi una più pratica: l’attività di controllo, infatti, non è facilmente esigibile dall’ipotetica condotta del direttore in quanto la c.d. interattività (ovvero la possibilità data agli utenti di apportare contenuti al giornale online) «renderebbe, probabilmente, vano – o comunque estremamente gravoso – il compito del direttore di un giornale online». Per questi ulteriori motivi, ribadisce il collegio, il delitto di omesso controllo ex art. 57 c.p. «non è realizzabile da chi non sia direttore di un giornale cartaceo».
Infine, l’organo giudicante – prima di concludere che il “sistema” allo stato attuale «non prevede la punibilità (…) ai sensi dell’art. 57 c.p. del direttore di un giornale on line – prende posizione circa una delle possibili interpretazioni della legge n. 62 del 7 marzo 2001: il testo di detta legge, afferma infatti la Corte, si è limitato «ad introdurre la registrazione dei giornali online (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative, e in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria». Si tratta di ribadire quanto già previsto dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel art. 7, c. 3 del d.lgs. n. 70 del 2003: «la registrazione della testata editoriale [ex art. 5 della l. n. 47 del 1948] è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62».
Per concludere si può affermare che la sentenza ha il raro pregio di prendere una posizione netta circa la non estensibilità del concetto di stampa ad internet. Questa non estensibilità ha però degli effetti di non poco rilievo: innanzitutto, come le cronache della blogosfera di questi giorni ci hanno ricordato, vengono meno le garanzie costituzionali in tema di sequestro dello stampato periodico; inoltre, la registrazione ex art. 5 della legge n. 47 del 1948 da obbligo (per la stampa) diventa (per il web) una valutazione di opportunità (se usufruire o meno delle provvidenze previste dalla legge n. 62 del 2001) rimessa in capo ai promotori del sito informativo. Su quest’ultimo aspetto vale ricordare che la registrazione riguarda, nel mondo cartaceo, tutte le pubblicazioni quotidiane o periodiche e che tra gli adempimenti richiesti per procedervi vi è quello dell’iscrizione all’albo dei giornalisti del direttore responsabile (tranne i casi in cui lo stampato sia riferibile a partiti o sindacati o abbia carattere tecnico, professionale o scientifico). Si tratta di una adempimento che se, per assurdo (ma non troppo), fosse esteso all’intero web darebbe luogo, se non ad una stasi, quanto meno ad un forte rallentamento della libertà d’espressione in rete.
Il pallino è ora nelle mani del legislatore chiamato a rispondere ad un non facile quesito: come sarebbe la legge sull’informazione periodica se fosse stata scritta oggi?
(già pubblicato su www.diritticomparati.it)
1 Comment
Rispondo alla domanda finale “Come sarebbe la legge sull’informazione periodica se fosse stata scritta oggi?”, sostenendo che sarebbe opportuno non ci fosse. Semplicemente nell’universo digitale la distinzione tra “stampa” (comunicazione in pubblico) e comunicazione privata non si può più dare. Vale il primo comma dell’articolo 21 della costituzione, per tutti. Questo implica una cancellazione della legge del 1948, ma forse anche una riscrittura radicale o meglio ancora una cassazione dei reati “a mezzo stampa” — il che avrebbe la conseguenza positiva di riportare la diffamazione fuori dall’ambito penale, come avviene in gran parte delle democrazie del mondo. (Ne ho riparlato oggi a commentando la conferma della condanna di un blogger per “stampa clandestina”: http://bit.ly/mRDYZ1 ) .
Capisco che siamo al di là della comprensione del politico medio, ma non è possibile affrontare un cambio di paradigma culturale con gli strumenti del paradigma precedente.