Il Consiglio di Stato, Sezione sesta, con sentenza dell’11 marzo 2010, n. 1435, ha affermato che “la persistente ed accentuata esposizione di un logo di una ditta di articoli sportivi, posto sul giubbetto di due commentatori sportivi, nel corso di una ripresa televisiva, induce ad un non controvertibile effetto promozionale. Tale “effetto” promozionale […] è rivelatore di un sotteso “intento” promozionale, ciò in quanto le esigenze intrinseche alla configurazione della trasmissione dell’incontro sportivo non richiedevano – né altrimenti giustificavano – una così prolungata ed insistita esibizione del marchio”.
Tale pronuncia si discosta dal paradigma finora prevalentemente seguito dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) e dalla giurisprudenza amministrativa. Al fine di ritenere la natura pubblicitaria dell’esibizione del logo in discorso, i giudici di Palazzo Spada hanno valorizzato infatti non già l’intento che ha sorretto tale esibizione, bensì l’effetto promozionale che essa ha sortito.
Si tratta di un cambio di prospettiva di non poco momento (sebbene non limpidissimo ed esente da incertezze: nella motivazione ritorna infatti talora il tema degli intenti): è evidente che un effetto promozionale è riscontrabile anche in numerosi casi in cui l’esibizione del marchio o del prodotto è dovuto ad una scelta creativa (ad esempio, del regista di un film) o comunque risponde a finalità del tutto estranee alla promozione del marchio o del prodotto esibito. Secondo l’impostazione prevalente, l’indagine dell’AGCM si appunta sulle finalità perseguite dall’esibizione di un marchio o di un prodotto, al fine di sopperire, mediante elementi indiziari, alla carenza della prova storica del rapporto di committenza; la sentenza in commento sembra invece sottendere un diverso approccio, proteso ad indagare sugli effetti del messaggio, con ciò allontanandosi anche dall’idea secondo cui alla base del messaggio deve essere comunque rintracciabile – sia esso provato in maniera diretta o mediante presunzioni – un rapporto di committenza.
Descrizione della vicenda
A seguito di segnalazione da parte di un consumatore, l’AGCM avviava un procedimento per l’inserimento di pubblicità non trasparente all’interno della trasmissione in diretta, da parte di Sky Italia S.r.l. (“SKY”), di una partita di calcio.
In particolare, due commentatori della partita avevano indossato un giubbotto sul quale, oltre al logo dell’emittente SKY, era riconoscibile il marchio “Adidas”.
Durante tale procedimento l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”), chiamata ad esprimere pareri non vincolanti nei procedimenti dinanzi all’AGCM che hanno ad oggetto pubblicità televisive, riteneva che non vi fossero fattispecie di pubblicità da censurare.
L’AGCM, discostandosi dal parere dell’AGCOM, irrogava invece sanzioni sia nei confronti di SKY che di Adidas, ritenendo il carattere “pubblicitario” della trasmissione in oggetto.
Successivamente, sia SKY che Adidas presentavano ricorso presso il competente Tribunale amministrativo regionale, chiedendo l’annullamento del provvedimento emanato dall’AGCM.
Il TAR confermava la legittimità del provvedimento di condanna dell’AGCM, ritenendo che nel corso del procedimento dinanzi a quest’ultima si fosse acquisita la prova della circostanza che l’esibizione degli indumenti sportivi da parte dei commentatori aveva avuto il solo scopo di veicolare un messaggio pubblicitario in favore di Adidas. SKY e Adidas impugnavano quindi la relativa sentenza, attraverso due distinti ricorsi dinanzi al Consiglio di Stato.
Le difese di SKY e Adidas
Dinanzi al Consiglio di Stato SKY e Adidas hanno, sinteticamente, individuato i seguenti motivi di censura:
(i) in primo luogo, le due società hanno sostenuto l’inesistenza di un rapporto di committenza tra SKY e Adidas. SKY, infatti, si sarebbe limitata ad acquistare da Adidas una serie di capi di abbigliamento sportivo posti a disposizione dei propri operatori, senza alcun obbligo da parte di questi ultimi di indossarli nel corso della trasmissione di eventi sportivi. L’assenza di tale rapporto di committenza avrebbe pertanto escluso la finalità pubblicitaria asserita dall’AGCM e dai giudici amministrativi di primo grado;
(ii) in secondo luogo, le due società hanno posto l’accento sul fatto che l’AGCOM, nel suo parere, aveva sostenuto la non sanzionabilità della condotta posta in essere;
(iii) ancora, le due società hanno evidenziato, a riprova della mancanza di finalità promozionale dei prodotti Adidas, l’assoluta inconsapevolezza del “veicolo” pubblicitario (ossia i due conduttori della trasmissione), tanto che gli stessi non sono stati sanzionati dagli organi competenti;
(iv) per ultimo, le due società hanno lamentato una “sostanziale omissione valutativa” con riguardo all’elevata quantificazione delle sanzioni irrogate (pari ad Euro 53.600,00 nei confronti di SKY e ad Euro 38.600,00 nei riguardi di Adidas).
Le motivazioni in diritto del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha rigettato tutti i predetti motivi di ricorso presentati da SKY ed Adidas, articolando nel seguente modo i propri ragionamenti:
(a) con riferimento all’argomento sub (i), il Consiglio di Stato ha ribadito che l’inesistenza di un effettivo rapporto di committenza tra SKY e Adidas non osta alla configurazione dell’intento pubblicitario dell’operazione complessivamente intesa. Sono, infatti, sufficienti a tale scopo gli elementi presuntivi già individuati dal giudice amministrativo di primo grado, consistenti in primo luogo nella prolungata esposizione, con una ripresa “a tutto campo”, dei capi d’abbigliamento indossati dai due commentatori sportivi, sui quali il logo Adidas ha avuto “un’immediata percepibilità ed un evidente risalto”. Inoltre, l’esposizione del logo era avvenuta in una trasmissione dagli elevati ascolti, sia per la collocazione oraria della partita di calcio trasmessa (posticipo serale di domenica), sia per il rilievo delle squadre contendenti (Milan e Juventus). L’effetto promozionale, dunque, si deve considerare indubbiamente raggiunto;
(b) con riferimento all’argomento sub (ii), ovvero il fatto che l’AGCOM, nel suo parere, aveva sostenuto la non sanzionabilità della condotta posta in essere, ad avviso del Collegio non assume alcun rilievo, in quanto per definizione il parere dell’AGCOM si configura come obbligatorio e non vincolante ai fini del giudizio;
(c) con riferimento all’argomento sub (iii), il Consiglio di Stato ha posto l’accento sulla necessità di fare riferimento ad un altro elemento indiziario di pregio, rappresentato innanzitutto dalla ‘qualità’ dei soggetti sanzionati dall’AGCM, ossia una qualificata emittente televisiva (SKY) e un’azienda leader nel settore dell’abbigliamento sportivo (Adidas). Inoltre, si è ricavato un indizio della natura pubblicitaria del messaggio dalla piena corrispondenza tra la trasmissione messa in onda ed il logo Adidas esposto, oltre che dalla contemporanea presenza, nei capi d’abbigliamento indossati dai due commentatori, del marchio di SKY e del logo Adidas, “il che rende logico un processo di accostamento ed assimilazione dei medesimi in capo al telespettatore”;
(d) con riferimento all’argomento sub (iv), il Consiglio di Stato ha valutato congrue e correttamente motivate le sanzioni individuate dall’AGCM e confermate dal giudice amministrativo di primo grado.