Legalità e giusto processo nei procedimenti dinanzi al Garante

Tribunale di Roma, sez. XVIII civ., 13 febbraio 2023, n. 2615

Devono considerarsi perentori – non già ordinatori – i termini prescritti dal Garante con il proprio regolamento interno n. 2/2019 per lo svolgimento dei procedimenti sanzionatori.

 

Sommario: 1. La vicenda che ha dato origine alla controversia. – 2. L’impugnazione del provvedimento davanti al Tribunale di Roma e il suo annullamento. – 3. Osservazioni conclusive

 

  1. La vicenda che ha dato origine alla controversia

Sono state recentemente rese note le motivazioni alla base della sentenza del 13 febbraio 2023 del Tribunale di Roma, che ha annullato il provvedimento n. 443 con cui il Garante per la protezione dei dati personali aveva inflitto a Enel Energia S.p.A. (fra le altre) una sanzione di più di 26 milioni di euro. La pronuncia merita attenzione, perché ribadisce principi già da tempo affermati dai tribunali amministrativi in relazione ai provvedimenti delle autorità indipendenti.

Il provvedimento annullato[1] era stato emesso nel 2021 a seguito di centinaia di segnalazioni di utenti che lamentavano la ricezione di telefonate promozionali indesiderate, anche di tipo robocall, effettuate in nome e per conto di Enel; gli utenti avevano inoltre segnalato difficoltà di esercitare i propri diritti di interessati (in particolare il diritto di revocare il consenso e il diritto di opporsi al trattamento).

A seguito di tali segnalazioni, che erano pervenute in tempi diversi, alla fine del 2018 il Garante aveva avviato un’istruttoria – durata fino al 2020 – nel corso della quale l’Autorità aveva effettuato quattro diverse richieste di informazioni corrispondenti a quattro gruppi di segnalazioni fra loro cumulate. A valle di una ulteriore richiesta di integrazione delle informazioni fornite, effettuata il 24 dicembre 2020, il 14 maggio 2021 il Garante aveva notificato alla società l’avvio del procedimento sanzionatorio, poi culminato nella sanzione di 26.513.977 euro, nonché nella prescrizione di articolate misure per la tutela degli interessati da adottarsi entro 40 giorni.

 

  1. L’impugnazione del provvedimento davanti al Tribunale di Roma e il suo annullamento

Nell’impugnare il provvedimento del Garante davanti al Tribunale di Roma, Enel aveva sottolineato come l’Autorità, durante tutta l’istruttoria, non avesse rispettato il termine previsto dal proprio regolamento interno n. 2/2019 (che, vale la pena ricordare, è stato adottato dallo stesso Garante per regolare i propri procedimenti) per la contestazione della violazione. Questo termine è pari a 120 giorni dall’accertamento della violazione, ossia – ad avviso del Tribunale – dal momento in cui l’Autorità dispone di tutti gli elementi per decidere se avviare l’azione o meno.

Il Tribunale di Roma ha dato ragione a Enel e ha annullato il provvedimento dei Garante. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che il regolamento interno del Garante debba essere interpretato in conformità alla Costituzione Italiana e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), non potendo procedimenti sanzionatori di carattere quasi penale protrarsi per periodi sostanzialmente indeterminati.

Un aspetto molto rilevante di questa vicenda è dato dalla peculiarità dell’impugnazione dei provvedimenti del Garante: infatti, a differenza dei provvedimenti di qualsiasi altra autorità indipendente, quelli del Garante non si impugnano davanti ai tribunali amministrativi ma dinanzi ai tribunali civili. Questo in considerazione del fatto che questi provvedimenti incidono sui diritti fondamentali delle persone. Tuttavia, questa particolare impostazione porta con sé alcune conseguenze: ad esempio, al momento non è chiaro se e dinanzi a quale giurisdizione possano essere impugnati i regolamenti interni del Garante (come quello sotto indicato), soprattutto nell’ipotesi in cui tali regolamenti volessero essere contestati disgiuntamente da provvedimenti sanzionatori pronunciati sulla base di questi ultimi. Il tema è affrontato lateralmente dalla pronuncia oggetto del presente contributo, la quale – non casualmente – si limita ad avanzare dubbi circa legittimità di alcuni passaggi del regolamento n. 2/2019, senza tuttavia poterlo censurare con effetto demolitorio.

Nell’annullare il provvedimento, il Tribunale si concentra su tre aspetti fondamentali:

a) Il carattere perentorio dei termini previsti dal Regolamento interno n. 2/2019 in materia sanzionatoria

In pratica, il Tribunale nota che il Garante ha previsto un termine per comunicare la sanzione, e questo termine è di 120 giorni dall’accertamento della violazione. Nonostante si sia dato questo termine, il Garante non attribuisce ad esso un carattere di perentorietà. E tuttavia, secondo il Tribunale, questo approccio non è ammissibile: infatti, una interpretazione diversa, che permetta al Garante di fare durare i procedimenti per un tempo indeterminato, non è compatibile con i diritti costituzionalmente garantiti come il diritto di difesa. Questo è un principio oramai acclarato dalle corti amministrative, in ragione del carattere particolarmente afflittivo delle sanzioni delle autorità indipendenti, tanto da poterle qualificare come sanzioni quasi penali.

Da questo punto di vista, la decisione in esame segna un momento di continuità tra la giurisdizione civile in tema di impugnazione dei provvedimenti del Garante e quella amministrativa relativa ai provvedimenti di altre autorità indipendenti. Continuità del tutto logica alla luce di quanto ribadito dalla Corte di Cassazione[2], la quale ha recentemente avuto modo di ribadire che il nostro ordinamento «non conosce un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione». Se ciò è vero (e non vi è possibilità di dubitarne, dal momento che si tratta di principi espressi dalla Suprema Corte nell’esercizio della sua funzione nomofilattica), tutte le Amministrazioni, incluse le autorità indipendenti, costituiscono un insieme omogeneo di soggetti che devono sottostare alle medesime leggi e principi (inclusi quelli di cui alla l. n. 241/90 sulla durata dei procedimenti amministrativi).

Il tema della tempistica dei procedimenti sanzionatori è da tempo oggetto di attenzione da parte delle corti amministrative, sia sotto il profilo della scansione dei singoli passaggi procedurali sia con riferimento alla loro durata complessiva. L’esigenza che i tribunali di volta in volta interpellati hanno cercato di contemperare è evidente: da un lato, evitare di comprimere i termini per l’esercizio dei poteri affidati alle Autorità in maniera tale da rendere di fatto impossibile assolvere ai compiti a queste ultime affidati dalla legge; dall’altra, richiamare l’attenzione sul necessario rispetto di tutti gli interessi in gioco (inclusi quelli del soggetto sottoposto ad indagine, non riconosciuti di rango inferiore da alcuna fonte).

Con riferimento al tema della scansione temporale dei procedimenti, a titolo esemplificativo si possono ricordare le pronunce di TAR e Consiglio di Stato in materia di applicabilità, ai procedimenti incardinati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, del termine di cui all’art. 14 della l. 289/81[3], profilo di rilievo dal momento che, come è stato sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale, in materia di sanzioni amministrative il principio di legalità «non solo impone la predeterminazione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere, della configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, della tipologia e della misura della sanzione stessa e della struttura di eventuali cause esimenti (sentenza n. 5 del 2021), ma deve necessariamente modellare anche la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere»[4]. In altre parole, una volta completata la fase pre-istruttoria[5], secondo i Giudici Amministrativi l’Autorità è tenuta a contestare, entro il citato breve termine di cui all’art. 14 della l. n. 289/81, la violazione ipotizzata, mediante la notifica dell’atto di apertura del procedimento[6]. Per cercare di contemperare le esigenze di celerità dei procedimenti con le esigenze organizzative dell’Amministrazione, tuttavia, è stato precisato che il dies a quo non coincide necessariamente con la prima segnalazione dell’illecito, bensì con la conclusione dell’accertamento svolto nella fase pre-istruttoria: pertanto, i novanta giorni decorrono una volta completata la raccolta degli elementi fattuali necessari a contestare l’illecito, dunque da quando l’Autorità è concretamente in possesso delle informazioni necessarie per ipotizzare l’esistenza di un illecito ed aprire il procedimento sanzionatorio[7].

Anche con riferimento al secondo punto (i.e. la durata complessiva dei procedimenti) le decisioni degli ultimi anni pongono l’accento sulla necessità di tempistiche certe, sottolineando ora l’applicabilità dei termini generali per la conclusione dei procedimenti amministrativi di cui alla l. 241/90[8] – nel caso di assenza di un termine previsto dai regolamenti interni – ora la perentorietà dei termini previsti dagli atti organizzativi interni, laddove esistenti[9]. Significativamente, il Consiglio di Stato, nella decisione n. 584/21 si dilunga sui criteri individuati dalla Corte di Strasburgo per stabilire la natura penale (o quasi penale) di un illecito e della relativa sanzione, individuandoli nella qualificazione giuridica dello stesso, nella sua natura – desunta dall’ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito – e nel grado di severità della sanzione: tutte caratteristiche che fanno deporre per una caratterizzazione almeno quasi penale delle sanzioni emesse dal Garante. La medesima pronuncia sottolinea poi come lo stesso procedimento sanzionatorio sia di per sé una pena per cittadini ed imprese, che necessitano di certezze nei rapporti giuridici per una serie di molteplici ragioni «a) la possibilità dell’amministrazione di provare la sussistenza della violazione si deteriora con il decorso del tempo; b) la possibilità per l’amministrato di offrire la prova contraria soffre la stessa sorte; c) l’effetto dissuasivo di prevenzione speciale è assicurato dall’esistenza di un lasso temporale ristretto tra contestazione della violazione e adozione del provvedimento sanzionatorio; d) lo stesso dicasi per l’effetto dissuasivo di prevenzione generale; e) in generale, il tempo ha la sua rilevanza come fatto giuridico e, in materia sanzionatoria, alla lunga, esso cancella ogni cosa».

Nel complesso, tutte le suddette argomentazioni sembrano in tutto e per tutto riferibili anche all’attività del Garante e depongono nel senso di ritenere inammissibili procedimenti sanzionatori che abbiano una durata sostanzialmente indefinita nel tempo, per la necessità di contemperare tutti gli interessi in gioco (inclusi quelli del soggetto sottoposto ad indagine, non riconosciuti di rango inferiore da alcuna fonte). Trattandosi tuttavia di principi espressi fino ad oggi solo dai tribunali amministrativi, la sentenza in commento pare significativa perché, come anticipato, segna un momento di continuità tra diverse giurisdizioni, non scontato.

b) Il termine decorre dalla data in cui il Garante riceve le risposte definitive alle richieste di informazioni o agli eventuali chiarimenti

È questo l’unico momento, conoscibile anche dal soggetto sottoposto alle indagini dell’autorità, in cui il Garante può avere piena conoscenza della condotta illecita. È infatti questo il momento in cui il Garante può raffrontare le segnalazioni e i reclami con le risposte fornite dalla parte soggetta a indagine. Se così non fosse, il termine di 120 giorni decorrerebbe da un evento che non è conoscibile dalla parte sottoposta alle indagini e anche questo violerebbe il diritto di difesa.

c) Il cumulo di questioni pervenute in tempi diversi e la richiesta di ulteriori chiarimenti devono comunque avvenire nel rispetto del termine di 120 giorni

Nel caso di Enel, le richieste di informazioni del Garante erano state inviate tra il 2018 e il 2020. In alcuni casi ai riscontri forniti tempestivamente da Enel non era seguita alcuna replica, mentre in altri casi, a distanza di molti mesi, era sopraggiunta una richiesta di integrazione, e, solo nel 2021 era stato avviato il procedimento sanzionatorio. Il Garante aveva deciso di trattare le varie contestazioni in modo cumulativo, secondo quanto previsto dall’art. 10, c. 4, di un altro Regolamento interno, il n. 1/2019, in base al quale «l’istruttoria preliminare può essere svolta contestualmente in relazione a più reclami aventi il medesimo oggetto o che riguardano il medesimo titolare o responsabile del trattamento, oppure trattamenti di dati tra loro correlati».  Il Tribunale, in relazione a questo aspetto, ha stabilito che non è ammissibile il raggruppamento di più reclami o segnalazioni pervenuti in un arco indefinito di tempo in un’unica contestazione. Allo stesso modo, eventuali richieste di chiarimenti devono necessariamente pervenire nel termine stabilito per la contestazione. Diversamente, «[…] il termine di 120 giorni sarebbe largamente superato e virtualmente privo di ogni effetto utile, [ndr, con la conseguenza inevitabile di] […] lasciare al puro arbitrio dell’autorità la scelta dei tempi e dei contenuti delle contestazioni sulle quali il titolare del trattamento dovrà rispondere». In altre parole, se da un lato è comprensibile ed auspicabile che vengano trattati cumulativamente reclami aventi il medesimo oggetto, è necessario che questo non divenga un modo per “aspettare” di ricevere un numero consistente di reclami su un determinato argomento, o “allargare” l’oggetto dell’istruttoria spalmandone la durata su un arco di tempo eccessivo, sempre nell’ottica di preservare la certezza del diritto e il diritto di difesa.

 

  1. Osservazioni conclusive

Occorrerà attendere il giudizio finale della Suprema Corte per comprendere se la visione del Tribunale sarà confermata in via definitiva. Tuttavia, risulta essere un valido tentativo di importare nel rito civilistico (a cui è soggetta l’impugnazione dei provvedimenti del Garante, a differenza di quanto accade con riferimento alle altre autorità) l’applicazione dei principi di legalità e giusto processo già affermati e consolidati con riferimento ai provvedimenti di altre autorità indipendenti. Principi ritenuti imprescindibili anche in ragione del deficit di legittimazione democratica che connota le autorità Indipendenti[10]. D’altro canto, non si comprende per quale motivo i principi di legalità e giusto processo non dovrebbero trovare applicazione nei confronti del Garante, che è una autorità indipendente come altre.

[1] Su cui v. L. Liguori – E. Curreli, Teleselling: the Italian Data Protection Authority Issues a 26M Fine Against Enel Energia S.p.a, in portolano.it, 25 febbraio 2022.

[2] Cfr. Cass. civ., sez. I, 20 maggio 2002, n. 7341.

[3] Ai sensi del quale la violazione del precetto normativo deve essere contestata immediatamente o, quando ciò non sia possibile, entro 90 giorni. Ferma restando la non applicabilità del termine citato alla fase istruttoria, distintamente ed autonomamente regolata dagli atti organizzativi interni dell’Autorità, i più recenti arresti ritengono che il lasso temporale intercorrente tra la conclusione della fase pre-istruttoria e la notifica dell’addebito – non normata da regolamenti ad hoc – debba essere contenuta nei limiti previsti dal suddetto art. 14, poiché ritenere il contrario sarebbe in contrasto (i) con i principi generali cui l’agire amministrativo deve conformarsi, in primis quello di efficienza, sanciti nella l. 241/90, (ii) con la certezza del professionista sottoposto al procedimento, (iii) con i principi generali di cui all’art. 6 CEDU e art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE, che costituiscono parametri imprescindibili, (iv) con i principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost. e (v) con il diritto di difesa. A tale ultimo proposito, si veda Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2022, n. 10359.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 10359/22, cit.

[5] Anch’essa, comunque, da contenere in termini ragionevoli, per le medesime ragioni sopra illustrate (cfr. tra le ultime TAR Lazio, Roma, sez. I, 3 ottobre 2022, n. 12507).

[6] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 1° agosto 2023, ord. 12962; Cons. Stato, sez. VI, 17 novembre 2020, n. 7150.

[7] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 2 novembre 2021, n. 11131.

[8] Cfr. Cons. Stato, sez. I, 19 aprile 2023, n. 3977.

[9] Cfr. Cons. Stato, sez. II, 28 giugno 2022, n. 5365; Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2021, n. 584; Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2016, n. 1199; Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3015; Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2289; Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2019, n. 2042; Cons. Stato, sez. VI, 17 novembre 2020, n. 7153.

[10] Cons. Stato, sez. II, sent. 5365/22, cit.

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