Quello degli influencer virtuali rappresenta un fenomeno di recente apparizione che, complici le innovazioni tecnologiche dell’ultimo periodo, ha avuto una crescita rilevante, sollevando al contempo una serie di interrogativi giuridici.
Gli influencer virtuali sono creazioni digitali dalle fattezze generalmente umane, realizzate mediante l’ausilio della tecnologia da agenzie specializzate, designer, creatori di contenuti.
Si tratta di personaggi che esercitano nel mondo virtuale le attività a cui ormai tutti siamo abituati ad assistere dallo schermo dei nostri device, partecipando indirettamente alla vita quotidiana di individui dediti alla produzione di contenuti aventi finalità generalmente legate alla sponsorizzazione di prodotti o servizi.
Nati come prodotti realizzati da agenzie pubblicitarie in computer grafica, gli influencer virtuali hanno assunto progressivamente maggior complessità nell’aspetto e nelle capacità comunicative, riuscendo nel tempo ad interagire con modalità sempre più evolute a relazionarsi con personaggi reali, fino ad approdare nel metaverso.
Le sembianze e l’agire degli influencer virtuali sono stati ulteriormente affinati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, che, da un lato, li ha dotati di movenze umane ed espressioni difficilmente distinguibili da quelle di individui in carne ed ossa e, dall’altro, ha consentito a questi soggetti virtuali di agire, esprimersi e relazionarsi con terzi sulla base degli input inseriti dai loro creatori.
Il fenomeno dei virtual influencer solleva una serie di interessanti interrogativi, legati alla necessità di individuare meccanismi di tutela coerenti con il sistema della proprietà intellettuale al fine di proteggere adeguatamente queste creazioni ed i loro autori.
- Diritto d’autore: dalla tutela del software a quella del personaggio
A tale scopo, il primo strumento invocabile è certamente rappresentato dal diritto d’autore, che si presta alla tutela degli influencer virtuali quantomeno sotto due profili.
Il primo, meno immediato, attiene alla tutela del software di cui l’influencer virtuale è espressione e che gli consente materialmente di esistere nel mondo virtuale.
In termini generali, un software – inteso quale insieme delle componenti logico-digitali di un elaboratore elettronico – è tutelato dal diritto d’autore ai sensi degli artt. 1 co. II, 2 n. 8 e 12 bis, oltre che in base alle norme speciali di cui agli artt. 64 bis e 64 quater l. 633/1941 sul diritto d’autore (LDA).
Requisito della tutela autorale del software, così come di ogni altra creazione espressione di ingegno, è la sua originalità, in quanto risultato della creazione intellettuale del suo autore[1].
Ebbene, non sembra revocabile in dubbio il fatto che anche il software di programmazione di un influencer virtuale sia da intendersi quale creazione dell’ingegno nel senso più ampio del termine, trattandosi di un’opera lato sensu scientifica, espressa attraverso un linguaggio, quello di programmazione, costituito da principi e formule perfettamente comprensibili da soggetti dotati di una specifica competenza nel settore.
La tutela autorale del software andrà quindi ad interessare sia il codice sorgente che il linguaggio macchina binario, attraverso cui il software è espresso.
Sul punto, per codice sorgente, si intende «la forma tramite cui sono sviluppate le idee alla base del programma»[2].
Si tratta, in altri termini, della forma espressiva del programma comprensibile all’essere umano.
Il linguaggio macchina binario, invece, fa riferimento al tipo di linguaggio con il quale vengono scritti i programmi eseguibili da un computer. In altri termini, si tratta della “traduzione” del codice in una forma idonea alla realizzazione dello scopo per il quale il codice medesimo è stato creato dal suo autore.
Come anticipato, la tutela del diritto d’autore non è garantita al software per il solo fatto della sua esistenza. Sarà necessario, infatti, che l’opera, compresi i materiali preparatori della sua progettazione (art. 2 n. 8 LDA), possieda un livello di originalità e creatività quantomeno minimo.
Restano esclusi, in ciò, le idee ed i principi alla base del programma secondo il principio generale di inappropriabilità delle idee, secondo cui l’esclusiva è limitata alla forma espressiva dell’opera e non, invece, al suo contenuto[3].
Conseguentemente, l’originalità del software può sussistere tanto nelle istruzioni contenute nel codice sorgente, definibile come “elemento letterale” del linguaggio-software, quanto nella struttura e nell’organizzazione di questi ultimi.
Affinché poi possa essere conseguita prova della creazione del software e del suo contenuto è necessario che lo stesso venga iscritto dal suo autore nel Registro pubblico dei software tenuto dalla SIAE ai sensi dell’art. 103 co. III LDA.
Poste tali premesse e data l’attualità del fenomeno in commento nonché l’assenza di definizioni legislative o giurisprudenziali sul tema, nell’individuare ulteriori spunti utili a disciplinare i virtual influencers, pare ragionevole fare riferimento alla nozione e disciplina giuridica dei videogame, a cui il mondo degli influencer digitali sembra per certi versi accostabile.
La disciplina giuridica del videogioco è frutto di elaborazione giurisprudenziale.
Infatti, la prima definizione di videogame risale agli anni ’80 quando il videogioco non era considerato un software, bensì “il gioco creato per alleviare i malati dalla noia” (Pretura di Torino, 25 maggio 1982). In tale contesto la Pretura di Torino, negando l’applicabilità della legge sul diritto d’autore, si limitò ad applicare la disciplina della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.
Solo verso la fine degli anni ’90 la Corte di Cassazione (con sentenza n. 1204/1999) riconosce al videogioco la veste di “programma per elaboratore” costituito da “sequenze di immagini in movimento”, assimilando così il videogioco alle opere cinematografiche. Questo stato giuridico è stato poi confermato dalla giurisprudenza successiva, che ha aperto la strada alla tutela del videogame non solo sotto il profilo della concorrenza sleale, ma anche e soprattutto quale opera dell’ingegno, suscettibile di tutela autorale al ricorrere dei presupposti imprescindibili della creatività e dell’originalità.
La crescente diffusione dei videogiochi e la conseguente necessità di fronteggiare il fenomeno della pirateria videografica hanno poi portato il legislatore italiano a tutelare espressamente i videogame con l’introduzione degli artt. 171 ter e 181 bis LDA, mediante il riferimento alle “sequenze di immagini in movimento”[4].
Oggi l’autore del videogioco – definito dalla legge come “opera multimediale” o “programma per elaboratore” – ha quindi il diritto di essere specificamente tutelato contro l’abusiva riproduzione o diffusione al pubblico della propria opera, potendo altresì chiedere l’apposizione del contrassegno S.I.A.E. sul proprio supporto al fine di vederne garantita l’originalità.
Ebbene, considerazioni analoghe sono estendibili all’influencer virtuale che nel suo esprimersi e interagire all’interno di un contesto virtuale pare poter essere inquadrato nella nozione di “sequenza di immagini in movimento” o “opera multimediale” a cui la legge sul diritto d’autore fa oggi espressamente riferimento.
L’influencer virtuale pare però tutelabile non solo in quanto opera multimediale, ma anche quanto alla sua “forma esterna”, ossia alle sue fattezze, nonché alla narrazione di cui esso è espressione[5].
Come noto, un personaggio è suscettibile di essere tutelato dal diritto d’autore, qualora possieda delle caratteristiche tali da renderlo immediatamente riconoscibile in quanto tale, rappresentando in ciò il frutto della creatività del suo autore.
Le caratteristiche del personaggio suscettibili di tutela autorale sono riconducibili non solo alle sue caratteristiche fisiche, morali o di abbigliamento, ma anche a tutti quegli aspetti idonei a renderlo immediatamente riconoscibile anche qualora collocato in un contesto estraneo a quello suo proprio (Tribunale Roma n. 6504 del 12.03.2021).
Si può quindi ammettere pacificamente che un influencer virtuale, ossia un personaggio dotato di specifiche e inconfondibili caratteristiche fisiche e di una propria personalità, sia tutelabile mediante il diritto d’autore, in quanto espressione di una nota ericonoscibile iconografia riconducibile al suo autore.
Più in generale, il mondo complessivo di un influencer virtuale, inteso come insieme di immagini, animazioni, interazioni, testi, storyline nella sua evoluzione, potrebbe addirittura essere considerato in sé un’opera multimediale intesa come insieme di «creazioni che combinano in un unico prodotto opere di generi differenti (parole, immagini, suoni, etc.) normalmente fruibili attraverso mezzi di comunicazione diversi, ma la cui coesistenza è assicurata dall’omogeneo formato digitale, e dal relativo programma. Tre, dunque, sono le caratteristiche perché si possa parlare di “opera multimediale”: espressione in forma digitale, compresenza di diverse opere dell’ingegno e funzionamento tramite software gestionale » (Tribunale Firenze Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 20.09.2010, n. 2869).
1.1 La tutela autorale dei contenuti generati dai virtual influencer
Il secondo tema relativo alla tutela autorale dei virtual influencer è legato alla tutela dell’output degli stessi, ossia all’insieme dei contenuti che l’influencer concretamente produce.
Innanzitutto, occorre partire dal fatto che un virtual influencer, ossia un personaggio che si esprime e interagisce con terzi in maniera autonoma sulla base degli input ricevuti dall’algoritmo di creazione, sussistendone le condizioni può essere assimilabile, come già osservato, ad un’intelligenza artificiale[6].
Laddove l’opera venga realizzata mediante l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale, il nodo della questione sta allora nella possibilità di qualificare alla stregua di “autore” l’Intelligenza Artificiale stessa, ponendo attenzione alla misura e alla qualità dell’intervento umano rispetto all’operatività del software.
Sul punto occorre premettere che l’Intelligenza Artificiale è in grado di operare con diversi gradi di autonomia rispetto alla creazione intellettuale, potendosi distinguere sul punto creazioni intellettuali frutto della sola opera della Intelligenza Artificiale (computer generated work) e creazioni soltanto assistite dall’Intelligenza Artificiale (computer aided work).
Ebbene, secondo un primo orientamento prevalente tra gli interpreti, dal tenore letterale degli artt. 1 co. I e 6 l. 633/1941 si evincerebbe che autore delle opere dell’ingegno possa essere solo un essere umano.
Tale conclusione porterebbe a ritenere che l’opera creata in autonomia da un’Intelligenza Artificiale non possa ritenersi tutelabile tramite il diritto d’autore, con la conseguenza di cadere in pubblico dominio.
Se tale fosse la conclusione risulterebbe però fortemente disincentivato il processo creativo, la cui ultima finalità è quella di contribuire al progresso culturale e tecnico della società mediante la creazione e diffusione di nuove conoscenze. Invero, scopo dell’esclusiva conferita dal diritto d’autore è quello di fornire agli autori un incentivo al lavoro creativo, finalizzato appunto al beneficio collettivo.
A fronte di questa obiezione si potrebbe dunque ben sostenere che anche l’opera realizzata mediante Intelligenza Artificiale possa godere della tutela autorale, considerato altresì che le opere creative realizzate da tool digitali sono da considerarsi, oltre che in molti casi indistinguibili da quelle umane, dotate di equivalente valore rispetto a queste ultime e dunque altrettanto meritevoli di protezione, posta l’analoga finalità mirante al beneficio sociale e collettivo.
Questa opinione sembra essere sostenuta dalla recente ordinanza della Cassazione[7] che, pur pronunciandosi in via incidentale sulla questione, ha aperto alla possibilità che la tutela del diritto d’autore possa essere concessa anche ad opere realizzate mediante Intelligenza Artificiale, non venendo meno il carattere creativo dell’opera per il solo fatto che si faccia uso di tale strumento.
In tal caso, il particolare status dell’autore dell’opera impone, ad avviso della Corte, soltanto la necessità di esaminare con maggiore rigore il tasso di creatività dell’opera che non viene di per sé eliso dall’utilizzo di un tool digitale nell’ambito della sua realizzazione.
Applicando tali coordinate agli influencer digitali, potrebbe ben ritenersi che la tutela autorale venga estesa anche ai contenuti generati da tali influencer, non potendo il carattere creativo, necessario per accedere alla tutela in esame, essere escluso per il solo fatto l’opera da tutelare sia stata generata mediante l’ausilio di un sistema di intelligenza artificiale.
- Tutela del marchio
Ulteriore profilo IP rinvenibile rispetto al fenomeno degli influencer digitali attiene alla tutela del marchio. Gli influencer digitali, così come quelli reali, rappresentano in molti casi veri e propri marchi viventi.
Valga per tutti il riferimento alla nota influencer Chiara Ferragni, il cui nome riceve attualmente tutela sotto forma di marchio registrato denominativo, oltre che figurativo con riguardo alla rappresentazione del celebre occhio cigliato.
Naturalmente, perché l’influencer digitale possa ricevere anche la tutela propria del marchio registrato, occorrerà che tale segno, denominativo e/o figurativo – sia innanzitutto dotato di carattere distintivo, ossia sia in grado di essere riconosciuto dal pubblico e di differenziarsi dai segni riconducibili ad altri influencers, virtuali o non, all’interno del mercato dei contenuti digitali.
Più in generale, per essere tutelato come marchio, il segno dovrà essere dotato dei requisiti di novità, distintività, liceità e non decettività, come previsto dal codice di proprietà industriale[8].
- Concorrenza sleale
Posta la sua attività di sponsorizzazione di prodotti e servizi, l’influencer digitale è qualificabile alla stregua di imprenditore, assoggettato, come tale, alle regole prescritte in materia di concorrenza sleale che gli impongono di operare nel rispetto delle regole del libero mercato.
L’influencer virtuale è tenuto pertanto ad astenersi dal porre in essere le condotte elencate dall’art. 2598 c.c., il cui scopo è quello di impedire attività dirette ad appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato o della clientela del concorrente, e che si concretizzano nella confusione dei segni utilizzati (art. 2598 n. 1 c.c.), nella diffusione di notizie o apprezzamenti sui prodotti e sull’attività del concorrente tali da determinarne il discredito, nella appropriazione di pregi (art. 2598 n. 2 c.c.) o in atti non conformi alla correttezza professionale (art. 2598 n. 3 c.c.).
In tema di pubblicità negativa è accaduto che gli influencers diffondessero notizie o apprezzamenti negativi sui prodotti di un concorrente determinandone il discredito o casi di influencer che accostassero il proprio nome a quello di marchi noti, suggerendo un’associazione, in realtà inesistente, tra sé e questi ultimi[9].
E’ evidente che la stessa possibilità si può porre qualora la condotta tale da integrare un atto di concorrenza sleale sia posta in essere dall’influencer digitale, ferma restando, in questo caso, la specificità delle conseguenze in tema di responsabilità che andranno attribuite al creatore dell’avatar.
- Pratiche commerciali ingannevoli
La particolarità del fenomeno degli influencer virtuali porta a chiedersi, infine, se non debba essere obbligatorio dichiarare in modo specifico la natura virtuale dell’influencer.
Quest’ultimo è infatti spesso difficilmente riconoscibile come tale; si tratta di personaggi dalle fattezze umane, realizzati con l’ausilio di tecniche avanzate che rendono difficile percepire da parte dell’osservatore esterno che si tratti di personaggi virtuali e non reali.
Ci si può chiedere allora se il fatto di non rendere noto al pubblico che l’influencer digitale sia in realtà un personaggio creato artificialmente mediante l’ausilio della tecnologia non costituisca di per sé un atto ingannevole, idoneo ad integrare una condotta illecita.
Sul punto sembra potersi richiamare la disciplina del Codice del Consumo ed in particolare il Titolo III del Codice, rubricato “Pratiche commerciali, pubblicità e altre comunicazioni commerciali”.
Relativamente alle comunicazioni pubblicitarie, il Codice stabilisce il divieto di pratiche commerciali scorrette messe in atto attraverso la pubblicità ingannevole.
In particolare, l’art. 20 definisce pratiche commerciali scorrette quelle contrarie alla diligenza professionale, e false quelle idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
L’art. 21 considera ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più elementi, tra cui la natura, le qualifiche e i diritti del professionista, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti.
L’identità del professionista si potrebbe riferire allora all’identità del virtual influencer che ad esempio sponsorizza il prodotto.
Sulla base di queste coordinate pare potersi giungere allora a configurare quale pratica commerciale ingannevole quella del digitalinfluencer che non palesi tale sua qualità non umana, orientando così il comportamento di ignari consumatori verso scelte di mercato che forse gli stessi non avrebbero compiuto allo stesso modo laddove consapevoli della natura (virtuale) dell’influencer.
Il problema appare oggi potenzialmente ridimensionato alla luce del nuovo accordo provvisorio sulla proposta di norme armonizzate sull’intelligenza artificiale (AI Act), introdotto lo scorso 9 dicembre dopo un lungo periodo di negoziazione tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo.
Il progetto regolamentare, la cui versione definitiva vedrà la luce all’esito di ulteriori interventi tecnici per essere poi approvato dagli organismi europei, costituisce la prima regolamentazione al mondo relativa alla disciplina dell’intelligenza artificiale.
Tra le principali previsioni introdotte vi è quello della regolamentazione dei sistemi di intelligenza artificiale secondo un approccio c.d. risk-based, in virtù del quale la normativa prevede regole più o meno stringenti a seconda del rischio – inaccettabile, elevato o basso – creato dalle applicazioni di IA.
In tal senso, i sistemi di intelligenza artificiale considerati ad alto rischio sono ammessi ad accedere sul mercato europeo previo rispetto di determinati requisiti obbligatori e di una valutazione ex ante di conformità ai requisiti indicati dal legislatore.
Ciò a significare che applicazioni di AI generativa (come, ad esempio, l’ormai nota ChatGpt), prima di accedere al mercato saranno sottoposte ad uno stringente controllo quanto ai processi di sicurezza informatica adottati, alla trasparenza relativa alle procedure di addestramento dei sistemi e alla fornitura di informazioni agli utenti. Tra tali obblighi informativi particolarmente rilevante è quello di indicare che il contenuto proposto è stato generato da un sistema di intelligenza artificiale, il che pare essere particolarmente significativo proprio con riferimento all’attività dei virtual influencer.
Viene inoltre introdotto l’obbligo di indicare la lista dei materiali utilizzati per l’addestramento degli algoritmi, allo scopo di tutelare i diritti d’autore dei titolari dei contenuti utilizzati per alimentare l’IA, nonché, più in generale, per limitare il rischio di contenuti disinformativi.
Soffermandosi brevemente sulle ulteriori novità introdotte dal recentissimo Ai Act, sempre in conformità al citato approccio risk-based, il progetto di regolamento vieta una serie di applicazioni dell’IA, posto il rischio, considerato inaccettabile dalle Istituzioni europee, di incidere su determinati diritti fondamentali degli individui.
Si tratta, in particolare, di a) tecniche manipolative, ossia sistemi che presentano la capacità di influenzare il comportamento degli individui attraverso manovre subliminali in grado di sfruttare le vulnerabilità di specifici gruppi come minori o persone con disabilità, b) database basati sullo scraping collettivo e non autorizzato di immagini facciali, c) sistemi di riconoscimento delle emozioni sul posto di lavoro e nelle scuole; d) software di polizia predittiva per la valutazione della possibilità che un individuo si renda autore di crimini, laddove tali previsioni siano fondate sulla provenienza etnica o su altre caratteristiche personali e sensibili; e) sistemi AI per classificare le persone sulla base dell’etnia, delle opinioni politiche o delle convinzioni religiose.
La proposta vieta inoltre l’utilizzo dell’IA per l’elaborazione del c.d. punteggio sociale per scopi generali di interesse pubblico.
Infine, è vietato anche l’uso di sistemi di identificazione biometrica remota “in tempo reale”, fatte salve una serie di eccezioni espressamente indicate.
Tornando all’oggetto del presente commento, l’attività dei virtual influencers rileva infine certamente con riferimento ai rapporti B2C legati alla promozione dei prodotti o servizi.
Anche in questo caso il riferimento è dato dal Codice del Consumo che vieta le pratiche commerciali scorrette, come quelle legate alla c.d. pubblicità ingannevole o quella occulta.
Sul punto, l’Istituto di Autodisciplina della Pubblicità (IAP) ha elaborato il Regolamento Digital Chart proprio al fine di disciplinare le nuove forme di influencer marketing.
In sintesi, il Regolamento mira a disciplinare l’attività pubblicitaria effettuata tramite internet, prescrivendo agli influencer precisi accorgimenti in ordine alla sponsorizzazione di prodotti, come il riferimento alla natura commerciale del contenuto pubblicato mediante diciture quali “Adv” o “Promosso da/In collaborazione con…” seguito dall’indicazione del brand di riferimento, nonché strutturando i propri contenuti in maniera tale che tali indicazioni siano sempre ben visibili rispetto agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale, soprattutto nel caso di contenuti “a scadenza”, quali ad esempio le stories.
Gli influencers sono poi tenuti ad evidenziare adeguatamente la natura promozionale del contenuto pubblicato in caso di partecipazione ad eventi a scopo promozionale, nonché a rendere nota la circostanza che il compenso per la propria attività di sponsorizzazione sia costituita dai prodotti stessi, mediante hashtag quali prodottofornitoda o suppliedby.
Ebbene, la disciplina così sinteticamente descritta, pensata per l’attività di influencer marketing svolta da persone fisiche, ben potrà adattarsi all’attività realizzata dai virtual influencers, il cui operato potrà essere diversamente qualificato a seconda che si tratti di attività svolta in maniera regolare o piuttosto in via saltuaria.
Sul punto l’AGCOM ha infatti qualificato solo la prima categoria di influencers alla stregua di fornitori di servizi di media audiovisivi, in tal modo assoggettandola alle disposizioni del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi (D.lgs.8 novembre 2021, n. 208), lasciando invece la seconda libera dai più stringenti vincoli della normativa.
In definitiva, dunque, a fronte di palesi benefici per le aziende, quali i costi contenuti di sponsorizzazione e la capacità di promuovere prodotti e servizi in maniera coerente con lo spirito dei marchi coinvolti, il mondo dei virtual influencer pone al contempo interessanti sfide che richiedono un’adeguata comprensione di tale nuovo e intrigante fenomeno.
[1] A mente dell’art. 2 n. 8 LDA i programmi per elaboratore sono tutelati in qualsiasi forma espressi, purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore.
[2] Corte appello Milano Sez. spec. Impresa, 06.10.2021, n.2873.
[3] Ai sensi dell’art. 2 n. 8 l. 633/1941 restano esclusi dalla tutela autorale le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce. Il termine programma comprende anche il materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso.
[4] Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, 06.11.2015: «Un videogioco ha la qualità di opera complessa e multimediale; ad esso si applica la tutela dell’opera dell’ingegno, e in particolare quella degli art. 171 ter lett. f/bis), in relazione all’art. 102 quater della legge sul diritto d’autore (l. aut.)».
Si veda anche quanto affermato dal Tribunale Venezia Sez. spec. Impresa, 20.05.2020: «L’ambientazione di un videogioco (nella specie: egizia) non è oggetto di tutela, in quanto idea, ma lo sono la versione dei personaggi chiave e dei simboli del gioco, le grafiche, i colori, le animazioni e gli effetti sonori, che nella loro combinazione danno vita all’opera multimediale».
[5] Il diritto d’autore può tutelare, oltre che la forma c.d. esterna, anche, ove sia espressione creativa dell’autore, la forma c.d. interna, vale a dire il modo personale e particolare dell’autore di raggruppare, sviluppare ed intrecciare idee, concetti ed immagini espresse in un’opera (Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, 09.12.2020, n. 8090).
[6] L’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. Essa, attraverso la ricezione ed elaborazioni di dati, è in grado di adattare il proprio comportamento all’ambiente esterno, analizzando gli effetti delle azioni precedenti e agendo in maniera coerente rispetto agli stimoli ricevuti.
[7] Si tratta dell’ordinanza n. 1107 del 16 gennaio 2023. Nell’ambito della vicenda, avente ad oggetto la riproduzione da parte della ricorrente di un soggetto floreale realizzato tramite un tool digitale, quest’ultima aveva sostenuto che la realizzazione dell’opera tramite l’utilizzo di un tool digitale, farebbe venir meno il carattere creativo della stessa, posto che la rappresentazione visiva del soggetto floreale sarebbe stata di fatto elaborata dal software che ne avrebbe determinato, in maniera del tutto autonoma, forma, colori e dettagli tramite algoritmi matematici. Di contro, l’apporto dell’autore si sarebbe limitato soltanto alla scelta dell’algoritmo da applicare e alla successiva approvazione del risultato generato dal computer.
Tale posizione coincide con quella assunta dall’US Copyright Office che con una recente decisione che ha negato la protezione autorale alle immagini generate tramite intelligenza artificiale e inserite all’interno della graphic novel “Zarya of the Down” dell’artista Kristina Kashtanova. In base ad argomenti analoghi a quelli sostenuti nel caso Rai, l’Ufficio americano per la protezione del Copyright ha affermato che mentre il testo della graphic novel doveva considerarsi certamente tutelato dal diritto d’autore in quanto espressione dello sforzo creativo della sua autrice, non lo stesso poteva dirsi in relazione alle immagini di accompagnamento, in quanto realizzate dall’intelligenza artificiale e come tali non espressione di creatività umana.
[8] Si vedano sul punto gli artt. 12, 13,14 Codice della Proprietà Industriale.
[9] Si veda sul punto Trib. Genova Sez. spec. Impresa, n.15949 del 04 febbraio 2020, secondo cui: “Costituisce uso illecito del marchio notorio altrui la diffusione non autorizzata da parte dell’influencer tramite il proprio profilo Instagram di video e immagini raffiguranti il marchio notorio, pur a scopo diverso da quello di contraddistinguere prodotti o servizi, quando tali immagini assumano un significato pubblicitario e siano idonee a generare un indebito vantaggio all’utilizzatore o un pregiudizio a danno del titolare del marchio”.