La pubblicità è, da oltre un secolo, l’anima del commercio. Accanto ai tradizionali canali (televisione, radio, carta stampata), il digital advertising sta assumendo una dimensione preponderante, sfruttando la rete Internet per indirizzare i consumi e utilizzando sofisticati algoritmi che segmentano la clientela. In questo ambito evolutivo, oggetto di profonde mutazioni, si inseriscono le metriche di valutazione per le società che fruiscono dei servizi pubblicitari, nell’ottica di incrementare le vendite e la conoscibilità del marchio (brand awareness). Le stime sono utilizzate in ambito stragiudiziale ovvero contenzioso, in caso di pubblicità ingannevole o altre fattispecie.
Advertising has been the soul of commerce for over a century. Alongside traditional channels (television, radio, printed paper), digital advertising is assuming a preponderant dimension, exploiting the Internet to direct consumption, and using sophisticated algorithms to segment customers. In this evolutionary field, subject to profound changes, the evaluation metrics for the companies that use advertising services are considered, to increase sales and brand awareness. The estimates are used in out-of-court or litigation matters, in the case of misleading advertising or other matters.
Sommario: 1. Pubblicità tradizionale e digital advertising. – 2. Rappresentazione in bilancio. – 3. Aspetti fiscali e crediti d’imposta per investimenti pubblicitari. – 4. Modelli di business. – 5. Marketing personalizzato, social network e valore della clientela. – 6. Andamento e prospettive del mercato pubblicitario. – 7. Ricavi pubblicitari incrementali. – 8. Pubblicità ingannevole, concorrenza sleale e stima dei danni.
- Pubblicità tradizionale e digital advertising
La pubblicità è definibile come «l’insieme di tutti i mezzi e modi usati allo scopo di segnalare l’esistenza e far conoscere le caratteristiche di prodotti, servizi, prestazioni di vario genere predisponendo i messaggi ritenuti più idonei per il tipo di mercato verso cui sono indirizzati»[1].
La pubblicità commerciale[2] è ogni forma di comunicazione volta a promuovere la vendita di beni o la prestazione di servizi da parte di un operatore economico (art. 2, lett. a), d.lgs. 145/2007).
Il Codice del consumo (d.lgs. 206/2005) fa rientrare la pubblicità nella più ampia nozione di “pratica commerciale”, aggiungendo che tale pratica è ingannevole se contiene informazioni non rispondenti al vero o idonee a indurre in errore, ed è scorretta se contraria alla diligenza professionale.
La digital advertising (pubblicità online) corrisponde al valore della raccolta pubblicitaria effettuata sulla Rete, all’interno di siti web e mobile app, fruiti da qualsiasi dispositivo che disponga di una connessione internet[3].
La pubblicità su internet si declina sui principali canali che costituiscono l’esperienza online degli utenti: social media, motori di ricerca, siti web, newsletter, video, etc., è per questo è diventata ormai una leva prioritaria negli investimenti in marketing e comunicazione delle aziende[4]. In prospettiva, la digital advertising sfrutterà la realtà virtuale ed aumentata (sconfinando nel metaverso) e algoritmi di intelligenza artificiale (per la profilazione proattiva dei consumatori, l’elaborazione di modelli auto-predittivi, le chatbot, etc.).
In ambito pubblicitario, il barter o bartering è un sistema di cambio merci che consiste nel pagamento, parziale o totale, di uno spazio pubblicitario sui mezzi di comunicazione (tipicamente, format televisivi) effettuato da un’azienda attraverso prodotti e servizi dell’azienda medesima.
Rispetto all’advertising tradizionale, veicolato su televisione[5], radio, stampa e cartellonistica out-of -home (OOH), la pubblicità online si presta meglio a un tipo di comunicazione mirata, personalizzata e misurabile[6].
Sui media tradizionali, inoltre, l’investimento richiesto è piuttosto elevato e spesso non sostenibile dalle aziende minori. I formati pubblicitari online richiedono invece investimenti più contenuti e aprono perciò opportunità di visibilità, anche per le realtà imprenditoriali minori.
Le principali tipologie di digital advertising sono sintetizzate nella Tabella 1.[7]:
Tabella 1. – Tipologie di pubblicità digitale
Fattispecie | Descrizione |
Display
advertising |
Banner, rich media (contenuti multimediali), video in/out stream (formato pubblicitario all’interno di un altro contenuto video o a parte), social media advertising, in-image (immagini editoriali) |
Native
advertising |
Contenuti sponsorizzati all’interno del contenuto principale (reccomendation widget e content feed), che non distraggono l’utente durante la navigazione |
Search
advertising |
Intercetta l’utente durante le fasi inziali del processo d’acquisto (come la ricerca di un’informazione o di un prodotto su un motore di ricerca) e indirizza il traffico quanto più qualificato e interessato verso un sito ad hoc |
Classified / eCommerce advertising | Acquisto di visibilità per annunci su siti di compravendita o directory online da parte di aziende e l’acquisto di visibilità all’interno di cataloghi e motori di ricerca presenti nei portali e nei siti di eCommerce |
E-mail
advertising |
Include qualsiasi forma pubblicitaria all’interno di newsletter ed email inviate a un database di utenti che abbiano espresso esplicitamente consenso in conformità con la normativa GDPR |
Audio
advertising |
Acquisto di spazi pubblicitari all’interno di flussi audio, come web radio, podcast e musica in streaming on-demand |
Addressable
Tv advertising |
L’insieme di tecnologie che permettono agli investitori pubblicitari di selezionare una determinata audience televisiva, basata su dati di prima/seconda/terza parte, a cui offrire spot personalizzati, per quanto riguarda i contenuti e i formati, internamente a un programma o a uno schermo di navigazione comune (smart tv) |
Digital Out-of-Home (cartellonistica digitale) | Tecnologie e servizi relativi a insegne digitali e contenuti promozionali posizionati in aree pubbliche ad alto traffico, come aree urbane pedonali, stazioni e aeroporti, strade, centri commerciali, mezzi in movimento ed in generale in luoghi di aggregazione |
Le tendenze evolutive ricomprendono anche applicazioni futuribili come il metaverso[8].
2. Rappresentazione in bilancio
La contabilizzazione delle spese di pubblicità sostenute rappresenta un presupposto per la loro valorizzazione, contrapponendo costi operativi monetari (raramente capitalizzati) a maggiori ricavi attesi.
Il d.lgs. 139/2015 ha eliminato, dall’art. 2424 c.c., il riferimento ai costi di ricerca e di pubblicità fra le immobilizzazioni immateriali dello stato patrimoniale (voce B.I.2), mantenendo la possibilità di capitalizzare i soli costi di sviluppo.
Pertanto, i costi di pubblicità devono essere spesati in conto economico nell’esercizio in cui sono sostenuti.
Un’eccezione a quanto sopra è illustrata dal principio contabile OIC 24 (“Immobilizzazioni immateriali”)[9], secondo cui possono essere iscritti nella voce dell’attivo “costi di impianto e ampliamento” (B.I.1) i costi di “startup” sostenuti «da una società di nuova costituzione per progettare e rendere operativa la struttura aziendale iniziale, o i costi sostenuti da una società preesistente prima dell’inizio di una nuova attività, quali ad esempio un nuovo ramo d’azienda, un nuovo centro commerciale per una società che opera nella grande distribuzione, un nuovo processo
produttivo, ecc. Tra questi costi sono compresi, ad esempio, i costi del personale operativo che
avvia le nuove attività, i costi di pubblicità sostenuti in tale ambito, (…)» (§ 25.).
Sempre secondo l’OIC 24, tuttavia, i costi di startup possono essere capitalizzati quando sono rispettate tutte le seguenti condizioni (§ 43.): «(i) i costi sono direttamente attribuibili alla nuova attività e sono limitati a quelli sostenuti nel periodo antecedente il momento del possibile avvio (i costi generali e amministrativi e quelli derivanti da inefficienze sostenute durante il periodo di start-up non possono essere capitalizzati); (ii) il principio della recuperabilità dei costi è rispettato, in quanto è ragionevole una prospettiva di reddito».
3. Aspetti fiscali e crediti d’imposta per investimenti pubblicitari
Fiscalmente, i costi di pubblicità seguono il principio generale indicato nel 1° comma del T.U.I.R. (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, D.P.R. 917/1986), secondo cui «le spese relative a più esercizi sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio». Per le spese di rappresentanza è invece previsto un regime diverso (con alcuni limiti).
Secondo la Cassazione, sentenza n. 34166, del 20 dicembre 2019[10], le spese di pubblicità o propaganda sono quelle sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi e in certi contesti, anche temporali, mentre le spese di rappresentanza sono quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale.
Il “Decreto Energia” (D.L. 17/2022, convertito in legge) ha modificato la disciplina del c.d. “bonus pubblicità”, ritornando a quanto precedentemente previsto sull’approccio incrementale delle spese, con esclusione dall’agevolazione degli investimenti pubblicitari sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, sia analogiche che digitali (come invece previsto per il triennio 2020-2022).
A partire dal 1° gennaio 2023[11], il credito d’imposta è dunque pari al 75% del valore incrementale degli investimenti in campagne pubblicitarie effettuati esclusivamente sulla stampa quotidiana e periodica, anche online.
4. Modelli di business
Una campagna pubblicitaria relativa a un bene di consumo e a un marchio ha inizio con lo sviluppo del piano di marketing, che consiste nello studio del loro posizionamento (brand position e brand image), cioè nell’analisi delle caratteristiche del prodotto e della marca, in modo da individuare una fascia di probabili consumatori (target group), decidere la strategia creativa (copy strategy), da cui dipende la possibilità di imporre il prodotto su vasta scala, i criteri di distribuzione (trade) e i canali pubblicitari, e le eventuali attività di sostegno, come la promozione, sponsorizzazione, il direct marketing, i rapporti con la stampa specializzata (ufficio stampa)[12].
La pubblicità è oggetto di fruizione prioritaria da parte di imprese che si posizionano sul segmento B2C della catena del valore, interagendo direttamente con i consumatori finali.
I ricavi pubblicitari (P) assumono rilievo ai fini della stima del presumibile valore di mercato delle testate giornalistiche; la formula (empirica) basata sui moltiplicatori proposta dalla dottrina valutativa[13] è la seguente:
W = aF + bP – cR
ove:
- W = valore di mercato della testata;
- F = fatturato (abbonamenti e vendite);
- a = moltiplicatore da applicare al fatturato (di norma pari a 1);
- P = ricavi da pubblicità;
- b = moltiplicatore da applicare ai ricavi da pubblicità (di norma ricompreso nell’intervallo da 1 a 2);
- R = perdite operative;
- c = moltiplicatore da applicare alle perdite operative (di norma ricompreso nell’intervallo da 3 a 5).
5. Marketing personalizzato, social network e valore della clientela
Il marketing personalizzato rappresenta un’innovazione delle esperienze di mass market uniformato e indifferenziato, fondandosi su una segmentazione sempre più mirata delle preferenze dei consumatori, anche attraverso un utilizzo dei loro dati personali, per creare nuove opportunità di business derivanti dall’incrocio di offerte di beni e servizi sempre più personalizzati con una domanda sempre più sofisticata[14].
Basandosi sulla cronologia e sulla geolocalizzazione (non sempre consapevole) delle attività dell’utente, delle sue preferenze e delle sue interazioni con i vari brand, si ha la possibilità di proporre dei messaggi promozionali coerenti e personalizzati, ritagliati su misura per ogni consumatore[15].
I social network consentono di trarre guadagno principalmente dalla fornitura a terzi delle informazioni degli utenti, che alimentano gratuitamente la base di conoscenza, in secondo luogo dalla pubblicità mirata che le aziende indirizzano agli utenti in base ai siti visitati, link aperti, permanenza media, alle informazioni da loro stessi inserite.
I modelli di business seguono nuovi paradigmi che hanno un impatto sempre più profondo sulla catena del valore (per produttori, erogatori di servizi, intermediari e consumatori), con rilevanti conseguenze anche di natura giuridica[16].
In tale prospettiva, gli strumenti digitali acquistano sempre più rilevanza non solo come “luoghi” di espressione e condivisione in rete, ma anche in quanto efficaci veicoli di informazione, sviluppo del brand, marketing e business[17].
I fornitori di servizi di comunicazione possono fidelizzare i consumatori focalizzandosi, principalmente, sull’esperienza generale degli stessi.
6. Andamento e prospettive del mercato pubblicitario
Secondo le ricerche dell’Osservatorio Internet Media[18], nel 2021, nonostante l’emergenza sanitaria, gli investimenti delle aziende italiane in digital advertising sono cresciuti del 24% rispetto all’anno precedente, a sua volta in crescita rispetto al 2019. Il valore di 4,28 miliardi di euro ha raggiunto quasi la metà dell’intero comparto pubblicitario italiano, pari a 9,3 miliardi di euro.
La pubblicità online rappresenta il 46% del totale, confermando la sua leadership per il secondo anno consecutivo, anche nei confronti dell’advertising televisivo (40%), su stampa (7%), radio (4%) e out-of-home (3%).
Nonostante la congiuntura economica, il conflitto ucraino e la spirale inflattiva, anche nel 2022 si è registrata un’ulteriore crescita del mercato pubblicitario, seppur minima rispetto all’anno precedente[19].
Per il 2023, le stime prevedono invece per l’Italia una riduzione degli investimenti pubblicitari (che dovrebbero tornare positivi nel 2024), mentre la digital advertising dovrebbe superare il 50% delle spese[20].
Nel mercato operano le concessionarie di pubblicità, che fanno da intermediario tra editori e agenzie. L’intermediazione riguarda l’acquisto di spazi pubblicitari dai proprietari dei mezzi di comunicazione con rivendita ai centri media oppure, direttamente agli inserzionisti.
7. Ricavi pubblicitari incrementali
La valutazione economica può essere effettuata attraverso diversi profili, tra cui:
- Costo per impression (CPM): si tratta del costo per ogni visualizzazione della pubblicità. Nel caso della pubblicità tradizionale, il CPM può essere calcolato dividendo il costo totale della campagna pubblicitaria per il numero di persone raggiunte. Nel digital advertising, il CPM si riferisce al costo per ogni migliaia di visualizzazioni dell’annuncio.
- Costo per click (CPC): questo profilo di valutazione si riferisce al costo per ogni click effettuato sulla pubblicità. Nel caso della pubblicità tradizionale, il CPC può essere calcolato dividendo il costo totale della campagna pubblicitaria per il numero di persone che hanno interagito con l’annuncio. Nel digital advertising, il CPC si riferisce al costo per ogni click sul banner
- Return on investment (ROI): redditività operativa della campagna pubblicitaria rispetto al costo totale della stessa[21]. Il ROI può essere calcolato sia per la pubblicità tradizionale che per il digital advertising.
L’azienda che acquista spazi pubblicitari (su canali tradizionali e/o digitali) persegue legittimi obiettivi di incremento dei ricavi di vendita.
Il reddito differenziale/incrementale incide sulla marginalità economico/finanziaria, anche per effetto della scalabilità del modello di business.
Attraverso la pubblicità digitale molti elementi “fisici”, legati a business tradizionali, acquisiscono una dimensione immateriale, incorporando fattori di scalabilità che consentono un incremento più che proporzionale dei ricavi di vendita.
A fronte di costi fissi per definizione costanti e di costi variabili incrementali tendenzialmente contenuti, l’incremento esponenziale delle vendite si riverbera sull’aumento dei margini economici-finanziari (a cominciare dal MOL/EBITDA) che misurano la creazione di liquidità nel conto economico. Ciò si verifica, in particolare, in modelli di business scalabili, anche per effetto di piattaforme digitali che interagiscono in rete.
L’avviamento dipende anche dalla predetta scalabilità, che consente di incrementare, anche esponenzialmente, i volumi di vendita, grazie a nodi digitali (ad esempio, i siti di ecommerce), che fungono da intermediari tra l’azienda e nuovi clienti.
Il processo può essere spiegato attraverso la teoria dei network, suscettibile di applicazioni anche in ambito giuridico[22] ed estendibile, per quanto qui rileva, anche all’interpretazione del plusvalore indotto all’avviamento dalla pubblicità digitale.
In un network, ciascun nodo è collegato ad altri nodi da lati. Il valore della rete dipende dal numero di nodi, dai loro collegamenti e dall’intensità degli stessi. Attraverso ciascun collegamento, si intermediano flussi informativi (big data) e transazioni; la crescita esponenziale indotta dalla pubblicità digitale aumenta sia il numero di nodi, sia l’intensità dei collegamenti, generando un plusvalore che si accumula nell’extra-avviamento.
L’impatto della pubblicità digitale sull’avviamento incrementale coinvolge l’intero sistema patrimoniale – economico – finanziario. Rileva, in particolare, il nesso causale nei confronti dei parametri più sensibili alla stima dell’avviamento incrementale, come riassunto nella Tabella 2.
Tabella 2. – Impatto della pubblicità digitale e avviamento incrementale
Parametri tradizionali | Impatto della pubblicità digitale | Avviamento incrementale |
Conto economico | ||
Ricavi di vendita (A) | La scalabilità dei ricavi aumenta i volumi di vendita | Ai maggiori ricavi (incrementali / differenziali) si associa un maggior avviamento implicito |
Costi Operativi Monetari (OPEX) (B) | La pubblicità digitale può accorciare la supply chain e riduce i costi di transazione / intermediazione | I minori costi incrementano il Risultato Netto e il differenziale (R-iK) |
Margine Operativo Lordo (EBITDA) (C)=(A)-(B) | L’aumento dei ricavi associato ad una contrazione dei costi fa incrementare il MOL | Il MOL più elevato fa crescere i moltiplicatori di mercato e impatta positivamente sui flussi di cassa (operativi e netti) |
Ammortamenti e accantonamenti (D) | I minori investimenti in immobilizzazioni (CAPEX) riducono i costi operativi non monetari | I minori ammortamenti generano avviamento incrementale comprimendo i costi e aumentando il margine (risultato) operativo e netto |
Risultato Operativo (EBIT) (E)=(C)-(D) | Il Risultato Operativo aumenta | L’avviamento incrementale migliora la marginalità economica |
Risultato Netto | Il Risultato Netto aumenta | |
Stato patrimoniale | ||
Avviamento (contabilizzato e internamente generato) | La pubblicità digitale aumenta l’avviamento implicito (internamente generato), per effetto dei più elevati margini economici e finanziari e dei plusvalori patrimoniali | L’avviamento incrementale (differenziale) cresce |
Immobilizzazioni nette (CAPital EXpenditure – CAPEX) | La pubblicità digitale comporta maggiori investimenti immateriali, a fronte di potenziali risparmi negli investimenti fissi | L’ottimizzazione tra dati di input (capitale investito, corrispondente all’attivo e ricomprendente la CAPEX) e dati di output (marginalità economica e finanziaria) fa crescere l’avviamento |
Valore contabile del patrimonio netto (book value of equity) | Il saldo della CAPEX influenza il patrimonio netto contabile | Se il patrimonio netto contabile K si riduce, aumenta il differenziale (R-iK) che stima l’avviamento con un metodo misto patrimoniale-reddituale |
Impatto sulle garanzie collaterali, ratios patrimoniali, merito creditizio e rating per gli affidamenti bancari | L’aumento del risultato netto incrementa il valore del patrimonio netto e la solidità patrimoniale dell’impresa affidata | Garanzie più estese o meno onerose impattano positivamente sull’avviamento |
Valore di mercato del patrimonio netto (market value of equity) | L’incremento dei risultati reddituali e finanziari crea un extra-valore reddituale (maggiori margini economici), finanziario (maggiore liquidità creata) e, da ultimo, patrimoniale | L’avviamento incrementale aumenta il differenziale tra valore di mercato e valore contabile del patrimonio netto |
Rendiconto finanziario | ||
Flussi di cassa in entrata (creazione di liquidità) | L’aumento dei ricavi monetari e del MOL fa incrementare i flussi di cassa in entrata | La liquidità incrementale impatta positivamente sull’avviamento |
Flussi di cassa operativi (Operating Cash Flows – Free Cash Flow to the Firm)[23] | I flussi di cassa operativi aumentano grazie all’incremento del MOL | |
Flussi di cassa netti (Net Cash Flow – Free Cash Flow to Equity)[24] | Anche i flussi di cassa netti sono positivamente influenzati dall’aumento del MOL |
L’impatto della pubblicità sull’avviamento incrementale si ripercuote anche sulla valorizzazione dei marchi e sulla loro conoscibilità e consapevolezza (brand awareness) da parte dei consumatori, soprattutto in un ambito retail, connesso a catene distributive (supply chain) e del valore (value chain) operanti nel mass market Business to Consumer (B2C).
La valorizzazione del marchio (con investimenti cumulati per alimentare la c.d. “brand equity”[25]), alimentata dai battages pubblicitari, trova un riscontro contabile nel suo incremento di valore (contabilizzato nell’attivo) soltanto in seguito all’adozione di provvedimenti di rivalutazione ex lege ovvero in caso di acquisizione a titolo oneroso (o di conferimento in natura) di marchi che incorporano un plusvalore riflesso nel (maggior) valore di acquisto.
8. Pubblicità ingannevole, concorrenza e stima dei danni
Secondo l’art. 2 del già menzionato d.lgs. 145/2007, è da intendersi come ingannevole «qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente».
Secondo il citato Codice del consumo (artt. 21-23), la pubblicità ingannevole riguarda le pratiche commerciali scorrette, idonee a indurre in errore il consumatore medio, falsandone il processo decisionale[26]. L’induzione in errore, anche attraverso metodiche subliminali, può riguardare il prezzo, la disponibilità sul mercato del prodotto, le sue caratteristiche, i rischi connessi al suo impiego.
In tale ambito, ha assunto rilievo, in tempi recenti, il c.d. “greenwashing”, che rappresenta una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente, con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità[27].
La pubblicità ingannevole e le pratiche commerciali scorrette possono assumere il connotato della concorrenza sleale, con gravi ripercussioni economiche per il danneggiato.
In genere, oltre ai danni patrimoniali (perdite subite), assume altresì rilevanza il pregiudizio derivante dalla perdita (devalorizzazione) dell’avviamento, che ricomprende sia il concetto di danno emergente (perdita di goodwill – avviamento – storico) che quello di lucro cessante (influendo negativamente sulla capacità futura del soggetto danneggiato di generare un’extra-utilità, anche in termini di maggiore marginalità).
In senso lato e considerando molteplici e interconnesse sfaccettature (da adattare – di volta in volta – al caso di specie), il danno da perdita di avviamento può essere, tra l’altro, causato dalle fattispecie riportate nella seguente Tabella 3.:
Tabella 3. – Danno da perdita di avviamento
Fattispecie | Descrizione |
Storno, sviamento e accaparramento
del portafoglio clientela (concorrenza sleale), a seguito di pratiche commerciali scorrette |
Il portafoglio clienti incorpora molti elementi che rappresentano l’essenza e la sintesi delle strategie di marketing sempre più profilate ad personam e la prerogativa più rilevante dello stesso avviamento. Lo sviamento di clientela, il danno d’immagine e altre fattispecie annesse e connesse comportano un affievolimento o perdita del rapporto personale con i clienti, riducendo il valore del portafoglio clientela e, con esso, l’avviamento. |
Contraffazione di beni immateriali | La violazione di diritti immateriali comporta naturalmente un indebito sviamento dell’avviamento ad essi associato, causando danni diretti, ma anche indiretti. |
Calo di prestigio e danno (svilimento) d’immagine | L’avviamento è, tra l’altro, anche prestigio, immagine, rinomanza, notorietà, a volte celebrità; il danno d’immagine comporta, in definitiva, uno svilimento anche dell’avviamento. |
Perdita di chances e delle legittime aspettative economiche | L’avviamento, concetto intrinsecamente prospettico (ancorché fondato su eventi storicamente stratificatisi) e sempre in divenire, è intimamente legato alle chances future, intese come opzioni razionalmente percorribili per intraprendere nuovi investimenti, conquistare nuovi mercati e clienti (…). Le aspettative economiche si basano anche sulla proiezione dell’avviamento e delle strategie. |
Impossibilità ad operare in settori proficui
e con elevate potenzialità di crescita |
La perdita di avviamento spesso costringe la società a riposizionarsi su obiettivi strategici meno ambiziosi, con una reazione a catena che genera un’erosione anche del nuovo avviamento potenziale, inibendo anche finanziariamente l’accesso a settori a maggiore marginalità ed ostacolando le strategie di differenziazione. |
Perdita di quote di mercato, spesso difficilmente recuperabili | L’avviamento è basato anche su quote di mercato, che incidono sui volumi di vendita e indicano il posizionamento strategico dell’impresa nel settore, in chiave comparativa con la concorrenza. |
Difficoltà finanziarie derivanti dal mancato incasso dei ricavi addizionali venuti meno | Il danno da perdita di avviamento sottrae indebitamente alla società ricavi e conseguenti flussi di cassa, talora fino al punto da ingenerare crisi finanziarie. |
Danno economico derivante dal mancato ammortamento degli investimenti pubblicitari e dei costi fissi comunque sostenuti, riferiti a extra-ricavi venuti meno | Con la perdita di avviamento, i costi fissi (fra cui le spese pubblicitarie e l’ammortamento degli investimenti pubblicitari già effettuati) – per definizione, comunque sostenuti – si ripartiscono su più esigui ricavi, con un’incidenza proporzionalmente più elevata. |
Con riferimento alla quantificazione del danno, l’art. 1223 c.c. dispone che «il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata».
Il lucro cessante (mancato guadagno) indica una forma di danno patrimoniale, che impedisce al danneggiato di percepire una o più utilità economiche che avrebbero incrementato il suo patrimonio ove il danno non si fosse verificato. Il lucro cessante è formalmente distinto rispetto al danno emergente, che consiste nella diminuzione riscontrabile del patrimonio del danneggiato (perdita subita che sarebbe stata evitata), anche se i due concetti sono tipicamente associati.
Secondo l’art. 125 CPI, «il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del Codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento».
La stima del danno si basa su diversi criteri e può essere determinata anche in via equitativa dal giudice; la giurisprudenza ha individuato, tra i criteri di stima del danno da contraffazione, anche il volume delle vendite dei prodotti ottenuti mediante la violazione di un bene immateriale, cui va applicato il margine di redditività dell’azienda che ha subito l’illecito.
Secondo Trib. Milano, 24 settembre 2014[28], il MOL (Margine Operativo Lordo / EBITDA) costituisce un elemento primario per la determinazione del danno risarcibile nel caso di abusiva utilizzazione di un brevetto di procedimento. La massima giurisprudenziale si rifà ad un parametro essenziale nella valutazione delle aziende, in quanto il MOL è un flusso sia economico che finanziario, tradizionalmente collegato a metodi di valutazione di mercato (che stimano il valore dell’intera azienda, comprensivo dell’indebitamento finanziario – enterprise value – moltiplicando il MOL per multipli di mercato di transazioni di aziende comparabili) ovvero ai flussi di cassa scontati[29].
Accanto alla pubblicità ingannevole, rileva anche la pubblicità indiretta o occulta[30], che consiste nella promozione di un prodotto o di un servizio fatta in maniera subdola, cioè non segnalata.
[1] Pubblicità (voce), in Treccani, Enciclopedia on line, in treccani.it.
[2] M. Fusi – P. Testa, Diritto e pubblicità, Bologna, 2006.
[3] F. Oldani, La digital advertising oltre il tradizionale, in Mark up, 281, 2019, 36 ss.
[4] J. Chen – J. Stallaert, An economic analysis of online advertising using behavioral targeting, in MIS Quarterly, 2, 2014, 429 ss.
[5] Per i dati di ascolto, che rilevano ai fini dei canoni pubblicitari, si utilizza l’Auditel, che dal 1984 raccoglie e pubblica dati sull’ascolto televisivo italiano.
[6] A. Mandelli – M. Massi – C. Piancatelli, Nuove logiche e traiettorie di crescita dell’advertising”, in Economia & Management, 1, 2022, 85 ss.
[7] A. Lamperti, Guida al Digital Advertising: formati e strategie di misurazione della pubblicità online, in blog.osservatori.net, 1 luglio 2022.
[8] C. Pappalardo, La pubblicità nel metaverso, in G. Cassano – G. Scorza (a cura di), Metaverso, Pisa, 2023.
[9] Organismo Italiano di Contabilità, Principi contabili – Immobilizzazioni immateriali, in fondazioneoic.eu.
[10] Cass. civ., sez. tributaria, 20 dicembre 2019, n. 34166.
[11] Agenzia delle Entrate, Investimenti pubblicitari incrementali – Che cos’è.
[12] V. Persiani, Le nuove frontiere della pubblicità, in Largo consumo, 7/8, 2022, 84 ss.
[13] L. Guatri – M. Bini, Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende, Milano, 2009, 188-189; R. Moro-Visconti, La valutazione delle testate editoriali cartacee e online, in Il diritto industriale, 6, 2014, 549 ss.
[14] M. Preti, Monitorare i cambiamenti nel portafoglio clienti: quali vantaggi per l’azienda? in Amministrazione & Finanza, 5, 2014, 41 ss.
[15] S. Erevelles – N. Fukawa – L. Swayne, Big Data consumer analytics and the transformation of marketing, in Journal of Business Research, 2, 2015, 897 ss.
[16] M. Sciarelli – M. Tani, La social network analysis per lo studio dell’innovazione nelle reti di imprese, in Sinergie, 93, 2014, 87 ss.
[17] Per maggiori approfondimenti, si rimanda a F. Oldani, Brand Managing e social network, in Mark Up, 24, 2017, 90 ss.
[18] Osservatori.net digital innovation, Internet Media.
[19] M. Mancinelli, L’inflazione non frena l’advertising, in Largo consumo, 11, 2022, 23 ss.
[20] Dentsu stima una crescita del 3,8% per gli investimenti nel 2023, piò per l’inflazione che per la crescita dei volumi, 16 dicembre 2022, in brand-news.it.
[21] Data dal rapporto tra reddito operativo (assimilabile alla “differenza tra valore e costi della produzione A-B” ex art. 2425 c.c.) e capitale raccolto (o investito), corrispondente al totale delle passività (patrimonio netto + debiti finanziari).
[22] R. Moro-Visconti, Il danno da contraffazione tra nesso giuridico causale e teoria dei network, in Il diritto industriale, 4, 2022.
[23] Corrispondono ai flussi di cassa determinati prima del servizio del debito finanziario.
[24] Corrispondono ai flussi di cassa netti (residuali) per i soci, dopo il servizio del debito finanziario.
[25] S.Z.S. Shah – S. Akbar, Value relevance of advertising expenditure: A review of the literature, in British Academy of Management, 2008.
[26] G. Visconti, Pratiche commerciali. La tutela delle imprese contro la pubblicità ingannevole e comparativa scorretta effettuata dai concorrenti, in PMI, 8/9, 2017, 47 ss.
[27] A. Pistilli, Il ‘green-washing’ tra pubblicità ingannevole e pratica commerciale scorretta: quando può dirsi atto di concorrenza sleale, in Il Diritto Industriale, 4, 2022, 381 ss.
[28] Contraffazione di brevetto e criteri di determinazione del danno, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[29] Il MOL/EBITDA è il punto di partenza per la derivazione contabile dei flussi di cassa operativi e poi netti, da scontare al costo del capitale (rispettivamente, medio ponderato o dell’equity).
[30] A. Mendola, Considerazioni sul divieto di pubblicità occulta nell’influencer marketing, in questa Rivista, 2, 2022, 145 ss.