Come noto, da diversi anni è in atto un approfondito dibattito, a livello internazionale, circa la configurabilità, l’inquadramento giuridico e la disciplina di un vero e proprio “diritto di accesso a internet”.
In Italia, in particolare, la discussione si è focalizzata sulla assurgibilità del diritto di accesso a rango costituzionale, in quanto diritto di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., potendosi definire “internet” mezzo di diffusione alla stregua della “parola” e dello “scritto”.
Si sono, altresì, rilevati punti di connessione con altri diritti costituzionalmente riconosciuti, quali la libertà di associazione, la libertà di iniziativa economica, o come contributo alla rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” di cui all’art. 3 Cost.
Accanto al profilo di costituzionalizzazione, le peculiarità proprie di internet hanno, altresì, condotto il dibattito su un altro punto di confronto, richiamando la disciplina dei “beni comuni” ossia quei beni che “indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività” (Così, Cass., Sezioni Unite,. 14 febbraio 2011, n. 3665)[1].
La rilevanza e la centralità sempre crescenti ricoperte dalla “Rete” nella vita di tutti i giorni e la possibilità di esercitare nel web i “diritti tradizionali” hanno fatto avvertire la necessità di garantire, anche in tale contesto, a tutti i soggetti eguali diritti sia attraverso la positivizzazione di un vero e proprio diritto di accesso, sia in termini di rimozione di quegli ostacoli che, in concreto, ne possano impedire o limitare il libero esercizio.
La combinazione di questi due profili di libertà e uguaglianza è riscontrabile nella L. 9 gennaio 2004, n. 4 («Disposizioni per favorire e semplificare l’accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici) come aggiornata dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 106.
Nel fissare i propri obiettivi e finalità, la L. 4/2004 sancisce, infatti, che “la Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici” e che, in particolare, viene tutelato e garantito il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone con disabilità, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost.
La legge precisa il contenuto della “accessibilità”, intendendo con tale termine la capacità dei sistemi informatici (inclusi siti web e applicazioni mobili) di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che – a causa di disabilità – necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari.
La portata del diritto di accesso si può cogliere in modo ancora più incisivo nella Dichiarazione dei diritti di Internet elaborata, nel 2015, dalla Camera dei Deputati. L’art. 2 della Dichiarazione riconosce nell’accesso ad Internet un diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale. La norma prosegue statuendo che ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale, che il diritto di accesso deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali (e non solo come possibilità di collegamento alla Rete) e che l’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite.
Viene, infine, posto in capo alle Istituzioni pubbliche il dovere di garantire gli interventi necessari per il superamento di ogni forma di digital divide.
La ragione di una simile rilevanza è direttamente connessa all’idea che Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni, ha eliminato i confini istituendo nuove modalità di produzione e utilizzazione della conoscenza; ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica; ha modificato l’organizzazione del lavoro; ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Per tali ragioni, si legge nella Dichiarazione, “Internet, deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità” nonché uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione ai processi democratici e garantire l’eguaglianza sostanziale.
Anche a livello europeo, si è posta molta attenzione al riconoscimento del diritto di accesso. Si pensi, ad esempio, al Regolamento (UE) 2015/2120 che mira a definire norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso a Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali considerando l’ecosistema di Internet un volano per l’innovazione.
È stato anche affermato il cd. principio del “servizio universale” in base al quale, in qualsiasi parte dell’UE, il cittadino deve poter avere accesso a servizi di comunicazione elettronica di buona qualità a un prezzo accettabile, compreso l’accesso di base a Internet.
Nonostante i progressi ed i risultati raggiunti, le tempistiche proprie del confronto giuridico poco si conciliano con la rapida e costante evoluzione del settore tecnologico. Così, mentre si continua a dibattere su aspetti definitori e di regolamentazione, emergono e si consolidano nuove tecnologie e, con esse, nuovi scenari e prospettive anche di diritto.
Il Web 3.0. e la blockchain
La progressiva diffusione di tecnologie come la blockchain sta anche modificando le modalità con cui si può interagire su Internet.
Volendo descrivere sinteticamente il funzionamento della blockchain [2] è possibile utilizzare la metafora di un registro immodificabile le cui copie sono distribuite sui vari nodi della rete. Questo registro è organizzato in “blocchi” separati, che raggruppano degli insiemi di transazioni e che sono collegati per formare una “catena” sequenziale marcata temporalmente.
Tecnicamente ciò si ottiene registrando in ciascuno dei blocchi le transazioni – la cui provenienza e destinazione sono verificate tramite l’utilizzo delle chiavi pubbliche crittografiche – insieme ad altre informazioni che possono essere collegate alla transazione stessa. Ogni blocco, inoltre, è dotato di un “header” utilizzato per organizzare il database distribuito. All’interno di questo header è contenuto l’hash (ossia una stringa alfanumerica ottenuta tramite l’applicazione di una funzione univoca) di tutte le transazioni registrate nel blocco, la marcatura temporale e l’hash del blocco precedente. La blockchain, quindi, viene collegata attraverso questi dati contenuti in ciascun header, in quanto la presenza dell’hash del blocco precedente consente di ricostruire in maniera cronologica (essendo presente anche la marcatura temporale) la catena di blocchi.
Per proteggere la sicurezza ed integrità del sistema sono poi utilizzati dei meccanismi di consenso (distribuito nelle blockchain pubbliche) che rendono difficoltosa la modifica o la cancellazione delle informazioni una volta salvate.
Da un punto di vista concettuale, è opportuno chiarire che la tecnologia blockchain si può definire come un protocollo aggiuntivo sopra i protocolli di trasporto, ossia un protocollo applicativo che si aggiunge a quelli esistenti (come il TCP/IP, il protocollo SMTP o quello FTP), che consente di conservare le informazioni ed effettuare operazioni computazionali. Il protocollo blockchain può, quindi, interagire con gli altri protocolli applicativi a seconda dei servizi che si intendono implementare. Ciò significa che non siamo in presenza di una semplice applicazione, ma di un vero e proprio ulteriore layer di comunicazione su cui possono essere sviluppate innovative soluzioni che riescono a sfruttare le caratteristiche delle blockchain.
Le caratteristiche sopra evidenziate consentono di superare nel contesto di Internet il problema della fiducia verso l’interlocutore. Infatti, nella rete come la conoscevamo fino all’avvento della blockchain, uno dei problemi più rilevanti era relativo alla mancata conoscenza dell’effettivo titolare del sito o della risorsa su cui ci si trovava a “navigare”, non essendo stati implementati degli strumenti efficaci per dare sicurezza in merito all’identità del loro gestore (salvo, solo in tempi più recenti, il progressivo maggior utilizzo dei certificati SSL). In particolare, al fine di effettuare delle transazioni economiche su Internet è sempre necessario affidare le stesse ad una parte terza che opera da intermediario dei due soggetti (gestore del sito/utente) che le pongono in essere. Anche l’originalità ed univocità delle risorse richiedono l’utilizzo di particolari software, così come la stessa gestione ed assegnazione dei nomi di dominio, come il loro trasferimento tra le parti, richiedono l’intervento delle naming authorities quali terze parti che si pongono come “gestori” delle transazioni.
Internet così come oggi lo conosciamo è però destinato ad evolvere. Dal Web 2.0 che ha visto la nascita dei social network e la diffusione dell’aspetto “commerciale” della rete, grazie alla tecnologia blockchain si sta evolvendo in quello che viene definito il Web 3.0, considerato quale nuovo paradigma che comporta un cambiamento nel modo in cui gli utenti interagiscono su Internet e si interfacciano con il rapido progresso dell’IoT (Internet of Things). Si ritiene che questo nuova modalità di interazione con il web potrà rendere la “vita online” delle persone molto più semplice, trasparente e sicura[3].
Il Web 3.0 sfrutta la tecnologia blockchain, dato che per interagire con un sito è necessario dotarsi di apposite interfacce (ad es. Metamask o già implementate nei browser programmati per interfacciarsi con il Web 3.0) ma, soprattutto, essere “titolari” di un wallet (ossia di un sistema a chiavi asimmetriche che consente di svolgere operazioni sulla blockchain). Tali nuovi strumenti consentono di interagire con le DAPPs ossia applicazioni decentralizzate rilasciate su blockchain, e di svolgere transazioni – che possono riguardare valute virtuali ma anche rappresentazioni digitali di assets fisici o immateriali – direttamente tra l’utente ed il gestore, senza necessità di intermediari.
Il Web 3.0, inoltre, implementa quel meccanismo di fiducia che possiamo definire “nativo” della blockchain, dato che ad ogni risorsa corrisponde un identificativo ben definito. In tale ottica sono stati già creati, ad esempio, dei servizi come “Ethereum Name Service”[4] che hanno l’obiettivo di mappare nomi leggibili su identificatori leggibili automaticamente come indirizzi su blockchain, altri indirizzi di criptovaluta, hash di contenuti e metadati, facilitando così la navigazione dell’utente verso le risorse che sono allocate sulla medesima blockchain.
Le applicazioni che l’utente “naviga” nel Web 3.0 consentono a loro volta di svolgere transazioni, tramite le interfacce applicative messe a disposizione dalle singole DAPP, direttamente sulla blockchain disponendo quindi direttamente il trasferimento di valore senza alcun intermediario o usufruendo dei “contenuti” che sono allocati sul protocollo.
Web 3.0 e diritto di accesso
L’avvento della “nuova Internet” non può che farci sorgere alcuni interrogativi in merito alla possibile configurazione del diritto di accesso così come ricostruito nell’ambito del dibattito dottrinale e poi “cristallizzato”, per l’Italia, nella legge 4/2004 e nella “Dichiarazione dei diritti di internet”.
Il diritto di accesso, come sopra evidenziato, ha due aspetti peculiari: il primo riguarda l’accesso alle risorse di rete, inteso come disponibilità dell’infrastruttura di rete di connettività; il secondo, invece, riguarda quella che è definita “accessibilità” dei siti e delle risorse, intesa come potenziale possibilità per tutti gli utenti di poter usufruire dei contenuti presenti in rete.
Ebbene, il Web 3.0 richiede agli utenti di munirsi di nuovi strumenti, conoscenze e competenze per poter usufruire dei contenuti presenti sul suo protocollo.
La fruizione di una DAPP, di un dato o di una risorsa sulla blockchain nel Web 3.0 necessita di essere dotati di software specifici, ma, soprattutto, di un “wallet” che consenta di attivare le funzionalità necessarie per interagire con la blockchain.
Sistemi del genere, se strutturati su blockchain non aperte e liberamente accessibili dagli utenti, potrebbero escludere i medesimi dalla fruizione dei contenuti e delle risorse.
In maniera ancora più evidente, un “diritto di accesso” – nel senso ampio di libertà individuale e diritto fondamentale della persona per il suo pieno sviluppo individuale e sociale – potrebbe essere compresso qualora sia richiesto necessariamente di dotarsi di risorse economiche (come specifiche valute virtuali) in assenza delle quali venga precluso l’accesso alle risorse del Web 3.0 o alla possibilità di interagire con la rete stessa.
Le problematiche sopra evidenziate sono quindi direttamente connesse con le caratteristiche “ontologiche” della blockchain. Essa è pensata e strutturata per consentire transazioni in maniera decentralizzata e spesso le risorse che vi vengono allocate per poter essere usufruite richiedono il “consumo” di ulteriori risorse (si pensi agli smart contract [5] su blockchain Ethereum i quali, per poter eseguire le funzioni in essi previste consumano i cd. Gas acquistabili tramite la valuta virtuale di detta blockchain).
Tutto ciò dovrebbe indurre una riflessione su come dovrà configurarsi l’evoluzione del diritto di accesso con il Web 3.0. Sarà necessario ripensare tale diritto come diritto di accesso non più limitato “ad internet”, ma esteso alla blockchain, dato che i contenuti e la fruizione degli stessi saranno inesorabilmente legati a tale tecnologia? Ed un “diritto di accesso alla blockchain” in cosa dovrebbe consistere? Se le interazioni su blockchain sono consentite e legate al possesso da parte dell’utente dei token rappresentativi di valute virtuali (ma anche, volendo ripercorrere la tassonomia più diffusa, di utility token) sarà necessario garantire a tutti la possibilità di munirsi di tale risorse, in quanto necessarie per poter accedere ai contenuti del Web 3.0?
A tali domande sembra forse prematuro voler dare delle risposte, ma non possiamo non evidenziare come l’evoluzione tecnologica imponga una costante riflessione sul continuo mutamento che essa comporta sulle vite dei consociati.
In tal senso possiamo sicuramente affermare che anche il diritto di accesso, se inquadrato nell’ottica di un diritto ed una libertà fondamentale, deve essere interpretato in chiave evolutiva e non può ritenersi cristallizzato nel tempo e nel momento in cui ha trovato il suo riconoscimento nell’ordinamento giuridico.
Come ogni diritto di tal sorta, e come i magistrali insegnamenti della Corte Costituzionale sull’interpretazione dinamica delle libertà fondamentali evidenziano, il diritto di accesso dovrà presto far fronte a tali nuove sfide imposte dall’evoluzione tecnologica, ed anche in tal caso sarà necessario proporre soluzioni interpretative inclusive a garanzia, da un lato, della libertà di iniziativa economica dei privati e, dall’altro, della libera espressione del pensiero e della personalità che la nostra Costituzione da sempre tutela e promuove.
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[1] Cfr. L. Diotallevi, Internet e social network tra “fisiologia” costituzionale e “patologia” applicativa, in Giur. merito, 2012, 12. Sul dibattito in merito al diritto di accesso si vd. S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Editori Laterza, Roma – Bari, 2012, p. 378; M. Cuniberti, «Nuove tecnologie della comunicazione e trasformazioni della democrazia», in M. Cuniberti (a cura di), Nuove tecnologie e libertà della comunicazione. Profili costituzionali e pubblicistici, Giuffré editore, 2008, p. 350; G. De Minico, Diritti Regole Internet, in www.costituzionalismo.it, 8 novembre 2011; G. Ziccardi, La libertà di espressione in Internet al vaglio della Corte Suprema degli Stati Uniti, in «Quaderni costituzionali», n. 1/1988, p. 132; T. E. Frosini, «Il diritto costituzionale di accesso a Internet», in M. Pietrangelo (a cura di), Il diritto di accesso a Internet – Atti della tavola rotonda svolta nell’ambito dell’IGF Italia 2010, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli – Roma, 2011; T. E. Frosini, Tecnologie e libertà costituzionali, in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», n. 3/2003; P. Costanzo, Mito e realtà dell’accesso a Internet (una prospettiva costituzionalistica), in CONSULTA ONLINE, 2012.
[2] Per esigenze di sintesi e per gli scopi del presente scritto la descrizione del funzionamento della blockchain sarà necessariamente riassuntiva. Per un’analisi più approfondita della tecnologia si rinvia a: R. Garavaglia, Tutto su blockchain, 2018, Hoepli; Andreas M. Antonopoulos, Mastering Bitcoin: Unlocking Digital Cryptocurrencies, 2015, O’Reilly; Melanie Swan, Blockchain: blueprint for a new economy, 2015, O’Reilly; Henning Diedrich, Ethereum: Blockchains, Digital Assets, Smart Contracts, Decentralized Autonomous Organizations, 2016, Wildfire Publishing. Si Vd. anche M. Nicotra, F. Sarzana di S. Ippolito, Diritto della blockchain, intelligenza artificiale e IoT, IPSOA, 2018.
[3] Cfr., N. e N. Garg, Next Generation Internet (Web 3.0: Block Chained Internet) in Argument Based Credentials, Vol. 1, Issue-6, November 2019
[5] Per una rassegna dottrinaria sugli smart contract vd. M. Bellini, Blockchain Smart Contracts: che cosa sono, come funzionano quali sono gli ambiti applicativi, 2018, su https://www.blockchain4innovation.it/mercati/legal/smart-contract/blockchain-smart-contracts-cosa-funzionano-quali-gli-ambiti-applicativi/, vd. Massimiliano Nicotra, Smart contract ed obbligazioni contrattuali: formalizzare il codice per assicurare la validità del contratto, 2018, suhttps://www.blockchain4innovation.it/mercati/legal/smart-contract/smart-contract-ed-obbligazioni-contrattuali-formalizzare-il-codice-per-assicurare-la-validita-del-contratto/; M. Nicotra, F. Sarzana di S. Ippolito, Diritto della blockchain, intelligenza artificiale e IoT, cit; D. Di Maio e G. Rinaldi, Blockchain e la rivoluzione legale degli Smart Contracts, 2016, su http://www.dirittobancario.it/news/contratti/blockchain-e-la-rivoluzione-legale-degli-smart-contracts; M Giuliano, La blockchain e gli smart contracts nell’innovazione del diritto nel terzo millennio, Dir. Dell’informazione e dell’informatica, fasc. 6, 2018, p. 989 ss.;, p. 1; G. Finocchiaro, Il contratto nell’era dell’intelligenza artificiale, in Rivista trimestrale di Diritto e procedura civile, n. 2 (2018), pp. 442-460; D. Di Sabato, Gli smart contracts: robot che gestiscono il rischio contrattuale, in Contratto e impresa, n. 2 (2017), pp. 378 ss.; P. Cuccuru, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contract, in Nuova giur. civ., n. 1 (2017), pp. 107 ss.; S. Capaccioli, Smart contracts: traiettoria di un’utopia divenuta attuabile, Ciberspazio e Diritto, vol. 17, n. 55, 2016, pagg. 25-45; L. Piatti, Dal Codice Civile al codice binario: blockchain e smart contracts, in Ciberspazio e Diritto›», vol. 17, n. 56, 2016, pagg. 325-344; G. Rinaldi, Smart contract: meccanizzazione del contratto nel paradigma della blockchain, 2019, consultabile su https://www.academia.edu/39741128/Smart_contract_meccanizzazione_del_contratto_nel_paradigma_della_blockchain; D. Alessi, M. Nicotra, British Standard Institution: in consultazione le regole tecniche PAS 333 per gli smart contract, 2020, consultabile su https://www.blockchain4innovation.it/esperti/british-standard-institution-in-consultazione-le-regole-tecniche-pas-333-per-gli-smart-contract/
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