A proposito di fake news: analisi e proposte per contrastare il dilagare del fenomeno. Recensione a Tommaso Guerini – Fake news e diritto penale.

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“La manipolazione digitale del consenso nelle democrazie liberali” è il sottotitolo esplicativo del bel volume di Tommaso Guerini, “Fake News e Diritto penale”: un’indagine svolta tra strumenti di informazione tradizionali e cyberspazio.

L’intento della ricerca è dichiarato sin dalle primissime pagine: in una epoca di diritto penale totale non esistono fenomeni sociali che non interagiscano con il sistema punitivo. E nell’attuale contesto di grandi trasformazioni l’autore punta la lente sul rapporto tra sistema penale e forme massive di alterazione digitale del consenso mediante la diffusione tramite rete di notizie manipolate.

All’interno di una architettura argomentativa impeccabile Tommaso Guerini conduce la propria analisi muovendo dalla definizione penalisticamente orientata dell’espressione fake news, quale fenomeno in grado di alterare i meccanismi di funzionamento delle istituzioni democratiche, in particolare manipolando il processo di formazione del consenso nel corso delle campagne elettorali: “un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, prodotta e divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti, tale da ledere beni giuridici individuali, come l’onore e la reputazione ovvero finalizzata a incidere, direttamente o indirettamente, sulla libertà dei cittadini di esercitare il diritto di voto e ad incidere sul corretto funzionamento delle istituzioni democratiche”.

L’autore traccia per cenni fulminei la storia di Internet da Alan Turing ai giorni nostri, non trascurando di evidenziare come attualmente il core business dei Giganti del web sia da individuare nella raccolta sistematica dei dati, cui consegue la capacità di offrire agli utenti un mondo virtuale cucito su misura, grazie al lavoro di profiling costante. Conseguenza ne è il mutamento del sistema informativo che non è più monopolio dei media tradizionali. Dunque, occorre trovare strumenti capaci di contemperare la libera manifestazione del pensiero e il diritto a non vedere inquinata la corretta formazione del consenso. Il tema è caldo, come dimostrano i case study richiamati (tra gli altri, la campagna elettorale negli USA conclusa con l’elezione di Trump e il referendum in Gran Bretagna per la Brexit) quanto all’utilizzo dei social network nella competizione politica. Non manca, e non avrebbe potuto essere diversamente, un riferimento all’Associazione Rousseau, esperimento italiano di eliminazione dei corpi intermedi in ambito politico.

Le dimensioni epidemiche del fenomeno analizzato comportano ricadute tali da mettere in pericolo la genuinità della formazione del consenso, soprattutto in occasione dell’espressione della volontà politica in termini elettorali da parte della cittadinanza. Da qui la necessità di verificare il panorama normativo esistente, sia sul piano del diritto interno che sovranazionale per misurarne l’efficacia. Vengono presi in esame gli ordinamenti che hanno introdotto una legislazione dedicata alla disinformazione e/o fake news, distinti in tre quadranti geopolitici: Europa, Russia, Asia. Il quadro risultante in termini comparativistici evidenzia come nel panorama europeo i paesi che si sono determinati ad un intervento normativo del fenomeno hanno posto l’accento sul contemperamento dei valori in gioco, tra necessità di limitare la diffusione di fake news e la tutela della libera manifestazione del pensiero. Il modello russo pur apparendo assonante con l’impostazione europea alla prova pratica non risulta convincente per la vaghezza delle espressioni utilizzate (e per la posizione occupata nei rapporti internazionali sulla libertà di stampa e sui diritti politici), così finendo per essere assimilato invece al quadrante asiatico, le cui norme sono emblematicamente definite dall’autore “bavaglio asiatico”.

Sul fronte del diritto interno, Tommaso Guerini ripercorre lo strumentario approntato dal diritto penale italiano a tutela dei beni giuridici che entrano in gioco, partendo dalla evoluzione del delitto di diffamazione, utilizzato com’è noto dal legislatore anche per sanzionare le relative violazioni perpetrate tramite l’utilizzo di social network, come pure dei concetti di diritto di cronaca e diritto di critica al tempo della “post-verità”. La diffamazione, come le ulteriori fattispecie esistenti, astrattamente applicabili al fenomeno della manipolazione digitale dell’informazione, escono malconce dall’attenta analisi svolta dall’autore. Che si tratti di diffamazione, di pubblicazione di notizie false esagerate o tendenziose, atte a turbale l’ordine pubblico; o ancora di procurato allarme, o più specificamente di fattispecie attinenti i reati elettorali o della sostituzione di persona nel cyberspazio: tutti gli istituti presi in esame patiscono l’essere strutturati su categorie novecentesche e risultano inidonei a fronteggiare efficacemente la diffusione di fake news.

Lo sforzo di dare conto dello stato dell’arte in tema fake news si spinge fino all’esame dei progetti di legge esistenti per arginarne il dilagare. Le proposte si articolano su direttrici diverse: il primo affonda le radici nel populismo penale di questi tempi e propone l’introduzione di ulteriori fattispecie penali, unitamente all’obbligo di importanti oneri di monitoraggio e rettifica in capo agli amministratori; un altro è ispirato alla disciplina tedesca e immagina di sanzionare amministrativamente la disinformation, prediligendo il momento preventivo a quello repressivo. Alcune proposte si caratterizzano invece per la sollecitazione ad abolire il diritto all’anonimato on line, altre infine invocano l’opportunità dell’istituzione di una commissione di inchiesta.

Tirando le fila della ricerca, si arriva all’ultimo capitolo con la suspense di scoprire la soluzione, e Tommaso Guerini non si sottrae all’aspettativa alimentata: anche traendo spunto delle esperienze di altri paesi europei, propone una riposta alla domanda che introduce la conclusione del volume: (in)formare o punire? Si rinvia alla lettura per non svelare del tutto la soluzione proposta che ha il pregio di provare a fare una sintesi che contemperi i valori in gioco in un’ottica complessiva di strumenti di tutela in grado di ridurre le distanze attualmente esistenti tra mezzi tradizionali di informazione e social network.

Infine, va reso merito alla capacità di coniugare l’accuratezza con cui sono trattati i vari aspetti che emergono nella ricerca con la piacevolezza della lettura di un testo in cui l’autore inserisce molti spunti di riflessione interdisciplinari senza mai sacrificarne la vocazione scientifica. Il tutto con una sintesi stringente che consente anche al lettore meno attrezzato di seguire compiutamente le implicazioni della problematica affrontata.

 

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