«La pubblicità che deve assistere la giustizia penale per consentire un controllo democratico rischia, per una sorta di eterogenesi dei fini, di ostacolarne spesso una genuina “visibilità”, quando non addirittura di adulterarne lo svolgimento», sicché «la ineludibile sfida di uno Stato di diritto è dunque oggi quella di riuscire a mettere in campo ogni provvidenza affinché la giustizia penale sia assistita sì dalla pubblicità, ma anche protetta dai suoi effetti perversi e distorsivi».
Così si conclude il primo capitolo del bel volumetto di Glauco Giostra, uscito per Laterza qualche settimana fa, Prima lezione sulla giustizia penale. Fin dalle prime pagine, si può capire come lo studioso, nel racconto della disciplina complessiva del processo penale, riservi un posto particolare ai meccanismi che regolano l’informazione giudiziaria. La circostanza non stupisce, tenuto conto che dagli anni ’80 Glauco Giostra è forse il più sagace osservatore appunto del rapporto fra informazione e giustizia, che ha commentato con la sua penna di raro acume e brillantezza.
Per il giurista che si occupa di diritto dei media è ancora imprescindibile la lettura di Informazione e giustizia penale, libro del 1988, riedito un anno dopo per dare conto del nuovo codice di procedura penale. Volume uscito per Giuffrè, ormai introvabile e che sarebbe davvero un regalo per le nuove generazioni se l’editore volesse ristampare. No, non parlo per me, che sono peraltro (quasi) anziano: io la mia copia ce l’ho, dedicata prima al mio maestro, Corso Bovio, e poi a me (fine del momento narcisistico).
Questo primo corposo lavoro, tuttavia, non è stato che il punto di partenza di una riflessione che l’autore ha condotto nel corso di tutta la produzione scientifica e divulgativa, poiché non sono infrequenti i suoi interventi sulla carta stampata, su diverse testate a diffusione nazionale. E anche MediaLaws ha avuto il privilegio di ospitare alcuni lavori che costituiscono – fidatevi di chi li ha con voracità letti e riletti tutti – i capitoli di una unica storia: il progredire della riflessione su un tema centrale, che riguarda non solo il processo penale, o il diritto dell’informazione, ma la stessa qualità democratica del nostro Paese.
La Prima lezione di cui parliamo contiene, tra l’altro, l’ultimo episodio della serie. In queste 180 pagine Giostra disegna l’architettura del processo penale in un testo che mi sento di suggerire, a studiosi e a pratici, per più di una ragione.
Anzitutto per il piacere se ne trae, che è quello di avere a che fare con una lingua ricca e sorprendentemente semplice: anche la letteratura scientifica ha autori capaci di scegliere la parola perfetta. In secondo luogo per un dovere, per così dire, deontologico: sarò schiavo del principio di autorevolezza, ma penso che chi si occupa di processo penale – e ancora più precisamente di processo penale e informazione – debba leggere il “nostro”.
Ma sono convinto che questo libro possa interessare e, anzi, essere utile a chiunque. I nostri 22 lettori (uno meno di Guareschi, che se ne attribuiva due in meno di Manzoni), dunque, potranno farne dono a parenti e affini, amici e conoscenti. Questa Prima lezione compie un’opera fondamentale nel porre le basi per la comprensione del fenomeno processuale per non professionisti del diritto, mettendo alla portata di chiunque concetti e nozioni che aiutano ad orientarsi. Un aiuto, ad esempio per i giornalisti, che per professione traducono quanto accade nei tribunali per “il lattaio dell’Ohio”. Un aiuto anche per il “lattaio” volenteroso, in verità.
In un’epoca di crisi dei corpi intermedi, in cui le istituzioni hanno perso la fiducia dei cittadini, l’opera di alfabetizzazione, ovvero divulgazione non banalizzante del sapere specialistico, è ancora più preziosa.
Giostra, espertissimo anatomopatologo, squaderna l’oggetto degli studi di una vita, ne spiega il funzionamento separando il grano della fisiologia dal loglio della patologia. Il processo è paragonato a «un ponte tibetano che consente di passare dalla res iudicanda (cioè il fatto da giudicare) alla res iudicata (cioè la decisione sull’esistenza del fatto e sul suo rilievo penale) che è destinata a valere pro veritate per l’intera collettività». Le disposizioni sono denudate, ne è scoperta la ragion d’essere, per ricondurre le regole di dettaglio a una cornice che ne svela il senso profondo. Improvvisamente tutto diventa così chiaro da riuscire a percepire il peso e la responsabilità delle scelte che stanno alla base di disposizioni: frutto di una «metabolizzazione socio-culturale spesso secolare» esse esprimono il nostro modo di intendere il rapporto tra Autorità e Individuo. In questo senso, a ragione, la giustizia penale può essere considerata «la più fedele carta d’identità di un popolo».
Nel compiere questa operazione, prima di tutto culturale, Giostra si fa maestro di metodo: in un mondo malinconicamente testardo nella direzione opposta, egli mostra che problemi complessi non consentono soluzioni condensabili in uno slogan. Ogni passo dell’iter verso la decisione è cadenzato da norme che costituiscono la colatura di un bilanciamento di interessi. Un bilanciamento che, per stare in equilibrio, deve essere governato da una mano delicata, insieme sapiente e razionale. Delicata per evitare crolli, sapiente per trovare la migliore distribuzione dei pesi, e razionale per rendere sopportabile quell’atto «terribile e odioso», come direbbe Luigi Ferrajoli, dell’uomo che giudica l’uomo.
Diamo un assaggio di questo metodo, proprio in materia di rapporto fra informazione e giustizia. L’autore, come abbiamo visto, rivolge la propria attenzione a tale rapporto fin dalle prime pagine. Qui, prendendo in prestito le sue parole, egli sottolinea come sia inevitabile che la collettività debba poter “vedere” come viene amministrata la giustizia in suo nome, senza però ignorare come i media mostrino spesso la giustizia attraverso uno specchio deformante, che opera condizionamenti sia sul piano della giustizia “reale”, sia su quello della giustizia “percepita”. Nel capitolo dedicato alla «narrazione della giustizia penale», poi, l’autore riprende e approfondisce il tema, sottolineando che «tra l’accertamento dei fatti criminali e i media si è instaurata […] una relazione osmotica che ha assunto modalità proteiformi, talune fortemente discutibili per contenuti e conseguenze: l’ansia di conoscenza della collettività con riguardo ai fatti che più turbano la convivenza sociale è una troppo appetibile “domanda” perché i mezzi di comunicazione non siano tentati di apprestare una qualsiasi “offerta” che abbia almeno l’apparenza di volerla soddisfare». Il testo si occupa, quindi, di analizzare la «attuale normativa riguardante la cronaca giudiziaria in senso stretto», giungendo a conclusioni che non nascondono un giudizio sostanzialmente negativo: «Ogni ordinamento moderno è alla difficile ricerca di un punto di equilibrio ottimale tra le esigenze dell’informazione, della giustizia e della riservatezza individuale. A me sembra che quello espresso dal nostro sia largamente insoddisfacente: mal tutelate le prime, iperprotette le seconde, sostanzialmente ignorate le ultime».
La chiusa del libro, però, propone un impegno e suggerisce una speranza, così corroborante che, di questi tempi, merita di essere riportata per intero: «Ci lasciamo, dunque, dove ci siamo incontrati: dinanzi a un ponte tibetano [a cui l’autore ha paragonato il processo all’inizio del volume n.d.r.]malfermo, fragile, dal costrutto contorto, insopportabilmente lungo. Ricordiamoci di tenercelo caro, questo ponte. Magari commiseriamone l’inadeguatezza, ma impegniamoci a difenderlo da chi intende reciderlo, perché passa comunque molto al di sopra di quell’intollerabile realtà di soprusi, di discriminazioni, di repressione del dissenso, di emarginazione delle minoranze, di imposizione di dommi politici o religiosi, di repressione rivoluzionaria, che troppo spesso, a tutte le latitudini della storia e della geografia, prende abusivamente il nome di giustizia».
Una chiosa quasi balsamica, che vale per la disciplina del processo in generale, ma anche, più specificamente, per quella dell’informazione giudiziaria. Insomma, sarà bello studiare questa materia e applicarla nelle aule, finché ci saranno studiosi come Giostra che con laica lucidità ne apriranno le pieghe. E ciò non rinunciando a invocare con voce schietta i principi, e la necessità di declinarli nella normativa di dettaglio, ma senza avere la cecità dell’ortodossia di nessuna “chiesa”.
Mi hanno insegnato che le migliori recensioni sono quelle che contengono luci e ombre. Arrivati alla fine, mi accorgo di essermi concentrato sulle prime, dimenticando le seconde. Veniamo alle ombre, allora. La mia consolidata esperienza di correttore di bozze, forse unica attività nella quale, “grazie” a una gavetta lunga e faticosa, non temo confronti, mi ha permesso di trovarne una: nel testo, a pagina 138, manca una parola. L’aggiungeranno nella seconda edizione.
Prima lezione sulla giustizia penale
Glauco Giostra
Laterza
Anno di edizione: 2020
Pagine: 193
ISBN: 9788858138892