Consiglio di Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4993
Se è consentito ritenere legittimo che, attraverso il contestato regolamento, l’Autorità possa adottare misure strettamente amministrative volte a prevenire od inibire condotte lesive del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, non è altrettanto lineare ed automatico (proprio per rispetto del principio di legalità) ammettere che, a fronte dell’inosservanza di tali misure amministrative, colui che non vi ottemperi per ciò solo debba scontare l’onere di una sanzione pecuniaria in mancanza di una norma primaria che tanto espressamente e preventivamente preveda.
Con la sentenza in commento è giunta al termine la lunga e tormentata vertenza relativa alla legittimità del regolamento dell’Agcom in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica (delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013).
La vicenda in esame ha destato un particolare interesse per la dottrina giuspubblicistica (testimoniata dai numerosi contributi e commenti apparsi in numerose riviste scientifiche di settore), in quanto ha costituto l’occasione per interrogarsi, ancora una volta, sull’attuale portata precettiva del principio di legalità nel sottosistema delle Autorità indipendenti di regolazione[1].
È noto, infatti, che tra le principali censure formulate avverso il citato regolamento dell’Agcom vi era quella relativa alla mancata osservanza dei principi di legalità e di riserva di legge, sul presupposto che la normativa primaria non attribuisse all’Autorità, in materia di tutela del diritto d’autore online, alcuna chiara potestà di regolazione, né tanto meno specifici poteri inibitori e sanzionatori[2]. In riferimento a questi ultimi, in particolare, il regolamento Agcom ha introdotto, da un lato, talune misure interdittive (quali, ad esempio, gli ordini rivolti ai prestatori di servizi di hosting di rimozione selettiva o di disabilitazione dell’accesso all’intero sito delle opere digitali rese illecitamente disponibili) e, dall’altro, particolari ipotesi sanzionatorie di carattere pecuniario (artt. 8, c. 7, 13, c. 4, e 14 c. 3).
Il presunto difetto di potere dell’Agcom è stato sottoposto all’attenzione del Tar Lazio, il quale, con le ordinanze nn. 10016 e 10020 del 26 settembre 2014, ha dapprima sollevato questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni legislative che il giudice rimettente aveva posto a fondamento del potere regolamentare dell’Agcom.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 247/2015[3], ha dichiarato inammissibile tale questione, rilevando tuttavia che «[a]prescindere da ogni considerazione sulla accuratezza della ricostruzione del quadro normativo e della interpretazione datane dal rimettente, è evidente che nessuna delle disposizioni impugnate, in sé considerata, dispone specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del regolamento impugnato nei due giudizi davanti al Tar. Esso è desunto dal giudice a quo, in forza di una lettura congiunta delle previsioni sopra esaminate, che non risulta coerentemente o comunque adeguatamente argomentata».
Siffatta “lettura congiunta”, in base alla quale il Tar Lazio ha comunque successivamente ricavato «la sussistenza in capo ad Agcom di compiti di regolamentazione e di vigilanza nel settore del diritto d’autore che possono anche consentirle di impedire l’accesso a determinati contenuti resi disponibili sulla rete internet per il tramite di un prestatore di servizi» (sentenza n. 4101 del 30 marzo 2017[4]), è stata confermata anche in sede di appello, seppure con alcune notazioni degne di rilievo.
Più precisamente, contrariamente al giudice di prime cure, nella sentenza in commento il Consiglio di Stato, richiamando in particolare la clausola generale contenuta nell’art. 2, c. 5, l. 481/1995, in ordine alle regolazione dei servizi di pubblica utilità («Le Autorità (…) sono preposte alla regolazione e al controllo del settore di propria competenza») ha – questa volta – espressamente invocato la teoria dei poteri impliciti[5] a sostegno dell’asserita compatibilità col principio di legalità della funzione para-normativa (e dei conseguenti poteri interdittivi) dell’Agcom in materia di tutela del diritto d’autore online (capi 7.2.2. e 7.2.3.).
Il potere in esame non è stato dunque “implicitamente” desunto dal parallelo potere tipico di vigilanza dell’Autorità in materia di tutela del diritto d’autore (art. 182-bis, l. 633/1941), ma sulla base del contesto normativo considerato e della generale funzione di regolazione affidata alle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità nei settori di rispettiva competenza[6]. In altri termini, il Consiglio di Stato ha fatto ricorso a una tecnica interpretativa, che, ammessa la generale e preventiva competenza regolatoria di talune authorities (ivi compresa l’Agcom) in un dato settore e individuato il valore da tutelare, consente il ricorso ad ogni “mezzo” para-normativo reputato soggettivamente idoneo alla realizzazione della finalità istituzionale legislativamente assegnata[7].
Il ricorso alla teoria dei poteri impliciti non è invece stato sufficiente per configurare una specifica potestà sanzionatoria dell’Autorità nella materia in esame. Difatti, il Consiglio di Stato, in aderenza a un indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado – ed è questa la vera novità della decisione in commento –, ritenendo illegittima la previsione regolamentare di sanzioni pecuniarie in assenza di una circostanziata base legislativa.
Vero è che, a fronte di norme primarie dai contorni estremamente vaghi e generici, le authorities siano spesso costrette, per adempiere ai propri fini istituzionali, a esercitare poteri privi di un’espressa e circostanziata base legale.
Tuttavia, bisogna rilevare che, con riferimento a poteri impliciti di contenuto ablatorio o sanzionatorio delle situazioni giuridiche soggettive (quand’anche formalmente qualificati alla stregua di atti regolamentari o di regolazione), l’orientamento giurisprudenziale maggioritario – che ha soprattutto interessato l’estensione dei poteri di un’altra Autorità indipendente di regolazione (l’Arera – Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) – è nel senso di escludere l’esistenza di tali poteri, sul presupposto che le esigenze di garanzia espresse dal principio di legalità non possano subire limitazione alcuna laddove le Autorità in via unilaterale incidano sfavorevolmente sulla sfera giuridica (e, in particolare, patrimoniale) dei privati[8].
È stato in particolare sottolineato, sempre con riferimento agli atti dell’Arera – ma il medesimo ragionamento può valere anche per i poteri dell’Agcom – che l’eventuale potere sanzionatorio a cui l’Autorità avesse dovuto ricorrere in caso di violazione delle prescrizioni da essa stessa emanate non avrebbe potuto essere implicitamente ricavato dall’ambito logico e giuridico coperto dalla norma attributiva del potere regolatorio pro-concorrenziale, «pur se inteso nella sua latitudine più ampia», in quanto, «per il suo contenuto specifico e singolare», avrebbe oltrepassato i limiti di proporzionalità e ragionevolezza a cui è assoggettato il potere regolatorio[9].
Pertanto, le misure connotate da un sapore schiettamente ablatorio e che comportano «un pesante vulnus» alla libertà di impresa, non possono prescindere da una copertura legislativa provvista di un livello accettabile di tipizzazione. Risulta necessario, a tal fine, individuare all’interno dell’ordinamento giuridico una «norma primaria o superprimaria» che disciplini con criteri sufficientemente dettagliati l’assoggettamento degli operatori a obblighi comportamentali di carattere ablatorio o sanzionatorio[10].
Non si può, insomma, prescindere – e la decisione in commento lo conferma – da un’accezione rigorosa del principio di legalità rispetto a tutti quegli atti con cui le Autorità di regolazione (come l’Agcom) non esercitano una funzione sostanzialmente normativa ponendo prescrizioni generali e astratte, ma incidono direttamente, limitandole (soprattutto sotto il profilo patrimoniale), su situazioni giuridiche soggettive dei privati.
[1] Sul punto sia consentito il rinvio a P. Pantalone, Autorità indipendenti e matrici della legalità, Milano, 2018, e ai riferimenti bibliografici ivi indicati.
[2] Ex multis, v. M. Renna, Le questioni di legittimità del regolamento dell’Agcom sulla tutela del diritto d’autore online, in AIDA, XXIII, 2014, 111 ss.; M. Ramajoli, Pluralità e coordinamento tra le istituzioni titolari di poteri di enforcement amministrativo del diritto d’autore, in AIDA, XXIII, 2014, 98 ss.
[3] V. A. Giannelli, La tutela amministrativa del diritto d’autore on line. Commento a Corte cost., 3 dicembre 2015, n. 247, in Giorn. dir. amm., 3, 2016, 345 ss.
[4] Sia consentito il rinvio a P. Pantalone, L’arbitro delle controversie sul diritto d’autore online supera il vaglio del giudice amministrativo, in questa Rivista, 1, 2017, 161 ss. In termini critici, v., altresì, P. Sammarco, Brevi note critiche sul fondamento del potere normativo dell’Agcom nel procedimento di “notice and take down”, in Dir. inf., 2017 2, 346 ss.
[5] Su cui, almeno, cfr. N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001 e G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 703 ss.
[6] In termini analoghi, seppure riguardante l’estensione dei poteri di regolazione dell’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), v., ad esempio, Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2014, n. 4874 (in part., il punto 5.2 della motivazione in diritto), ove si è ritenuto, attraverso una lettura sistematica delle norme rilevanti in materia, che l’Autorità avesse legittimamente esercitato la propria attività di regolazione in tema di erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica nell’ambito delle reti non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale.
[7] Cfr. E. Bruti Liberati, La regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici a rete. Il caso dell’energia elettrica e del gas naturale, Milano, 2006, 132.
[8] Cfr. Tar Lombardia, sez. IV, 20 giugno 2005, n. 1846, in Foro amm. TAR, 6, 2005, 1843 ss., che ha annullato una delibera con la quale l’Arera, dopo aver predisposto un meccanismo di controllo e monitoraggio del mercato (potere legittimo alla luce della normativa esistente), aveva esercitato un potere sanzionatorio che non era previsto da alcuna norma di legge, né poteva essere desunto dal generale potere di direttiva di cui era investita l’Autorità. Dello stesso avviso è stato il Consiglio di Stato adito in sede di appello: Cons. Stato, sez. VI, 17 gennaio 2006, n. 3501. In merito alla questione relativa all’estensione del potere di vigilanza dell’Arera sull’osservanza, da parte delle maggiori imprese operanti nel settore dell’energia elettrica, del gas e petrolifero, del divieto di traslazione sui prezzi al consumo della maggiorazione dell’imposta sul reddito delle società (cd. “Robin Hood Tax”), cfr. Tar Lombardia, sez. III, 17 giugno 2009, nn. da 4041 a 4053 e Cons. Stato, sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4388, in Foro amm. CDS, 2011, 2531 ss., secondo cui la funzione di vigilanza attribuita all’Arera dal d.l. 112/08, ancorché comportasse l’esercizio dei necessari poteri istruttori, non avrebbe potuto legittimare l’Autorità all’adozione di specifiche misure sanzionatorie o conformative dirette a reprimere o impedire la traslazione di imposta.
[9] Cons. Stato, sez. VI, 17 gennaio 2006, n. 3501.
[10] Tar Lombardia, sez. IV, 6 febbraio 2006, n. 246.