Tra previsione e prescrizione: i big data e i diritti umani. Recensione a G. Della Morte, Big Data e protezione internazionale dei diritti umani. Regole e conflitti, Napoli, 2018

Nel celebre romanzo 1984 di George Orwell, il Partito controlla i suoi cittadini attraverso delle telecamere montate in ogni appartamento su un televisore sempre acceso, in modo persino da prevedere eventuali “psicoreati”, cioè pensieri contrari all’”eterodossia”.

Nel mondo contemporaneo non abbiamo tubi catodici che ci spiano, ma il nostro utilizzo continuo di strumenti elettronici sparge senza sosta dati che, se raccolti e aggregati, possono predire alcuni nostri comportamenti.

Il volume di Gabriele Della Morte si occupa di analizzare e descrivere i rapporti – chiamati “assi di tensione” – proprio tra la funzione predittiva dei big datae il carattere prescrittivo del diritto internazionale – e in particolar modo dei diritti umani.

L’Autore nell’Introduzione nota che l’attività di raccolta, conservazione e trasferimento di enormi quantitativi di dati è già da tempo sotto la lente di ingrandimento di numerosi specialisti di diritto pubblico, diritto privato e diritto penale. Non mancano nemmeno contributi di diritto internazionale privato o di diritto internazionale del commercio: scarsi sono invece gli studi di diritto internazionali pubblico.

Lo studio si articola in tre Parti ciascuna composta da due Capitoli. La Parte prima descrive il cyberspazio, «luogo del conflitto» tra «la logica predittiva del ricorso ai dati per fondare le decisioni» e «lo spirito prescrittivo del Diritto» (p. 9). Il primo capitolo si apre con la presentazione del volume Terra e maredi Carl Schmitt, in cui il filosofo e giurista tedesco elabora la categoria di “rivoluzione spaziale”. Inizialmente era la terra a ospitare le battaglie e a delimitare l’orizzonte degli uomini. Con la scoperta delle Americhe nel 1492 e la sconfitta de l’Armada Invencible nel 1588 sarà il mare a dare nuove dimensioni all’attività storico-politica, a misurare le distanze, a permettere la scoperta di nuovi popoli e a rivitalizzare quelli vecchi. Un’altra “rivoluzione spaziale” ci sarà nella prima metà del XX secolo, con la prima e la seconda guerra mondiale, in cui l’aria sarà attraversata da aerei e onde radio, riducendo le distanze, cambiando ancora una volta gli orizzonti e introducendo novità tecnologiche che segneranno «la fine del nomos sulla terra assicurato dallo jus publicum euopeum» (p. 20). Il concetto di “rivoluzione spaziale” elaborato da Carl Schmitt affascina molto l’Autore, che lo ritiene adeguato a descrivere in modo sintetico le novità e i cambiamenti conseguenti al diffondersi e all’affermarsi della rete.

I paragrafi successivi appaiono molto interessanti per un giurista: essi spiegano in modo semplice come è nato, come si è sviluppato e come è attualmente strutturato Internet. Viene illustrata anche l’evoluzione della sua governance, inizialmente appannaggio esclusivo di soggetti privati a cui solo successivamente si sono affiancate organizzazioni governative. Ciò permette la comprensione della struttura di Internet anche a chi, come il giurista medio, non ha competenze tecniche del settore.

Nel capitolo seguente, si analizzano alcuni problemi di qualificazione della Rete dal punto di vista del diritto internazionale. L’Autore colloca gli studiosi in materia in due grandi insiemi. Il primo raggruppa coloro che ritengono inadeguate le tradizionali categorie giuridiche dell’ordinamento internazionale, focalizzandosi sui fenomeni di carattere immateriale: «la rete come mera esperienza virtuale» che necessita di regole nuove. Il secondo include coloro che affermano che comunque dietro il cyberspazio ci sono delle infrastrutture con una loro materialità e, focalizzandosi su di esse, ritengono al contrario che ci si possa fondare innanzitutto sulle categorie già esistenti. L’Autore ritiene inadeguate queste posizioni, perché analizzano le singole funzioni anziché concentrarsi sulla natura della rete: è per questo che è necessaria un’indagine approfondita.

Dopo aver analizzato la Rete – il contenitore – sia dal punto di vista “fisico” che giuridico, nella Parte II l’Autore pone la sua attenzione sulla disciplina giuridica dei dati – il contenuto.

Il primo capitolo prende atto della limitata regolamentazione della Rete con strumenti di diritto internazionale: non esiste un trattato generale su Internet e scarsa è stata anche la produzione di norme di diritto internazionale particolare. L’unica eccezione si ravvisa in materia di diritto alla privacy e protezione dei dati personali, in cui abbonda la regolamentazione specie dell’Unione europea. Gli ultimi paragrafi del capitolo riguardano l’Internet Governance Forum, un’iniziativa finalizzata al confronto sui temi relativi alla governancedella rete avente partecipanti di varia natura che l’Autore classifica in organismi governativi e inter-governativi; organismi afferenti al mondo delle società commerciali e alla società civile. Per la stessa struttura della rete, la produzione normativa avviene con la partecipazione di attori privati e pubblici: una vera peculiarità.

Il Secondo capitolo della Parte II è invece dedicato alla disciplina internazional-pubblicistica dei dati, da subito giudicata inadeguata. Nei primi paragrafi vengono presentati le diversecategorie di dati e il principale testo legislativo a livello UE in materia, il Regolamento 2016/679. L’Autore individua quindi la differenza tra i semplici dati e i big data, riprendendola da un volume di Mayer-Schonberger e Cukier (Big Data: A Revolution That Will Transform How We Live, Work, and Think, London, 2013). Vengono elencate tre circostanze: «l’esistenza di un dato aggregato che raccoglie i dati di tutti»; la registrazione di tutti i dati anche se non dettagliati; la «notevole estensione del nesso causale che intercorre tra il dato e le ragioni per le quali il dato medesimo è registrato». I big datasi fondano su correlazioni e il valore economico è «prodotto proprio dalla raffinatezza delle tecniche estrattive, dal data mining, più che dall’ammontare dei dati in sé» (p. 161).

L’evoluzione della rete e degli strumenti elettronici, i social network e la domotica hanno permesso la rivelazione e l’aggregazione di dati sempre più diversi. Rodotà, usando una metafora, parla di un «corpo elettronico» che volontariamente o involontariamente lascia delle tracce sempre più numerose. L’Autore fa notare come anche la legislazione si sia evoluta al fine di garantire il diritto alla riservatezza: «dall’originario diritto ad essere lasciato solo, si è passato a nozioni più complesse dove il problema dell’individuo non è solo quello di impedire la diffusione di determinate informazione ma pure quello di non perdere il controllo sulla massa di dati» (p. 168). È una sorta di “habeas data”, un “habeas corpus 2.0.” Leggendo questi paragrafi si ha la sensazione che il legislatore sia costretto a “correre” dietro gli attori privati che cercano di rilevare nuovi dati e con nuovi modi da utilizzare per fini commerciali, una corsa finalizzata alla regolamentazione di un fenomeno in continuo movimento.

Dopo aver descritto struttura e relativa normativa sia della rete che dei dati, nell’ultima Parte del volume l’Autore intende mappare i «più significativi conflitti che emergono nella relazione che intercorre tra la disciplina giuridica dei dati e quella dei diritti umani» (p. 174). Vengono quindi analizzati sia il contrasto tra tutela dei dati e sicurezza sia quello tra tutela dei dati e diritto ad essere informati. Una particolare attenzione viene prestata alla cyber warper il primo asse e al diritto all’oblio per il secondo. La regolamentazione dei big datain generale e, nello specifico, nei due assi di tensione analizzati viene ritenuta dall’Autore insufficiente.

In definitiva lo studio di Della Morte appare più come un fondamento, una tappa da cui raggiungere nuove mete. Esso fornisce innanzitutto le basi, spiegando in modo semplice e dettagliato la storia e il funzionamento di Internet nonché la natura, le modalità di raccolta e la regolamentazione dei big data. Propone quindi due assi di tensione su questioni care agli internazionalisti: la protezione della sicurezza e la garanzia del diritto a essere informati.

Tuttavia, la sua idea portante, cioè il conflitto tra il carattere predittivo dei big data– ancora poco regolamentato secondo l’Autore – e quello prescrittivo del diritto e in specie dei diritti umani, può essere “esportata” sia in altre branche del diritto sia in altri campi del sapere – come la sociologia o la psicologia. Si pensi, ad esempio, al recente caso Cambridge Analyticae all’ipotizzato utilizzo dei dati per orientare il libero esercizio del voto dei cittadini. O al caso in cui una compagnia assicurativa rifiuti la stipula di una polizza sulla base dei dati ottenuti da vari database contenenti i valori della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca misurati in modo continuo e automatico con uno smartwatcho le abitudini alimentari registrate con lo smartphone.

Spesso i romanzi di Orwell – specie 1984 e la Fattoria degli Animali – sono visti come descrizione di un futuro a cui ineluttabilmente la nostra società va incontro. A nostro modesto parere, invece, essi ben rappresentano i rischi da evitare: compito dei giuristi sarà quello di prevenirli prima che curarli.

 

Big Data e protezione internazionale dei diritti umani.
Regole e conflitti
di Gabriele Della Morte

Editoriale Scientifica

Anno di edizione: 2018
Pagine: 3 – 309
Codice prodotto: 9788893913317
ISBN:8893913313

 

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