Corte di Cassazione, sez. V penale, 28 settembre 2017, n. 52743
Il contenuto pubblicato in forma anonima o tramite pseudonimo c.d. anonimizzante si considera di produzione redazionale ed è quindi riferibile al direttore. Il direttore responsabile risponde in tali casi di concorso in diffamazione, purché, sulla base di un complesso di circostanze esteriori, constino il consenso e la meditata adesione del direttore stesso al contenuto dello scritto. Al direttore di testata giornalistica onlinenon si applica la disciplina prevista per la stampa cartacea, vale a dire l’omissione di controllo, ai sensi dell’art. 57 c.p.
Sommario: 1. Il fatto. – 2. La struttura dell’art. 57 c.p.: profili generali. – 3. La (discutibile) inapplicabilità dell’art. 57 c.p. al direttore responsabile di periodico online. – 4. La (contraddittoria) inapplicabilità dell’art. 57 c.p. in caso di pubblicazione in forma anonima. – 5. Prospettive di riforma. Il disegno di legge c.d. Costa
1. Il fatto
La sentenza in commento offre numerosi spunti di riflessione, con riferimento, in particolare, ai rapporti tra stampa cartacea ed informazione onlinee all’effettivo grado di tenuta dell’architettura del diritto penale vigente a fronte degli stress cui la modernità lo sottopone.
Il provvedimento è stato emanato dalla Corte di cassazione a conferma della sentenza di condanna emessa in primo grado, presso il Tribunale di Palermo, avverso il direttore responsabile del periodico online “LinkSicilia”, ricorrente per saltum. Quest’ultimo era stato dichiarato correo nel reato di diffamazione commesso ex art. 595, c. 3, c.p., mentre l’autore principale del delitto era rimasto ignoto. L’articolista, servendosi dello pseudonimo “Florentino Arriza”, aveva redatto e pubblicato, il primo giorno di uscita della rivista, un pezzo ritenuto, in sede processuale, volontariamente e gravemente offensivo dell’onore di un consigliere della Corte dei Conti di Palermo. Nell’articolo si contestava al soggetto passivo, in particolare, di aver indebitamente espunto dal testo di una sentenza di cui era stato relatore ed estensore il nominativo del figlio di un Presidente di sezione della medesima Corte dei Conti, per ragioni di opportunità e convenienza.
Il dato più significativo della pronuncia attiene alla scelta di qualificare la condotta dell’imputato come concorso nel delitto di diffamazione[1]exartt. 110 e 595, c. 3, c.p., piuttosto che ricondurla ai casi di omesso controllo ex art. 57 c.p.[2]. Tale opzione riflette la dichiarata adesione della Corte all’orientamento giurisprudenziale che nega l’applicabilità della seconda delle norme citate ai reati commessi tramite siti webdi informazione[3], come pure nel caso di contenuti pubblicati in forma anonima[4].
2. La struttura dell’art. 57 c.p.: profili generali
Prima di procedere all’esame dell’iterlogico-motivazionale della sentenza, appare opportuno ricostruire, seppur brevemente, i caratteri generali dell’art. 57 c.p. Quest’ultimo, nella sua attuale fisionomia, punisce «a titolo di colpa» la condotta del «direttore o vicedirettore responsabile» di stampato periodico che abbia omesso «di esercitare il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati», qualora sia stato integrato un reato a mezzo stampa. Al momento della sua entrata in vigore l’art. 57 c.p. prevedeva invece che, in caso di commissione di reati «col mezzo della stampa», chi rivestisse la «qualità di direttore» dovesse rispondere, «per ciò solo, del reato commesso salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione». Si trattava di un classico caso di responsabilità oggettiva, in virtù della mera posizione rivestita[5]. Il disposto vigente risale all’intervento legislativo operato, mediante l’art. 1, l. 127/1958, a seguito di una pronuncia interpretativa di rigetto con monito finale emessa dalla Corte costituzionale nel 1956[6], sulla scorta evidentemente di una sia pur non dichiarata incompatibilità tra l’art. 57 c.p. e il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost.[7].
A ben vedere, però, neanche la soluzione normativa adottata nel ’58 può considerarsi soddisfacente. Invero, numerosi contrasti interpretativi sono sorti in ordine al titolo di responsabilità del soggetto attivo, alla esatta qualificazione del reato commesso a mezzo della stampa, nonché all’inquadramento dogmatico della fattispecie incriminatrice complessivamente considerata.
Con riguardo al primo profilo, può rilevarsi come l’uso dell’inciso «a titolo di colpa» abbia creato confusione in ragione della sua collocazione, trovandosi subito dopo il predicato «è punito». Non è mancato, infatti, chi lo abbia definito quale mero strumento di individuazione della disciplina penalistica applicabile[8], piuttosto che intenderlo quale vero e proprio titolo di colpevolezza. È evidente che, così argomentando, non si uscirebbe dalle secche della responsabilità oggettiva. A ragione di ciò, l’opinione maggioritaria tende a definire la responsabilità del direttore in termini propriamente colposi[9].
Il problema dell’inquadramento del reato a mezzo stampa nella logica dell’art. 57 c.p. si scinde, poi, in due sotto-questioni.
L’una concerne l’alternativa tra la qualificazione dell’espressione “reato” in termini di condizione obiettiva di punibilità o di vero e proprio evento. La prima tesi[10]era probabilmente più compatibile con l’originaria impostazione dell’art. 57 c.p. quale delitto sanzionato a titolo di responsabilità oggettiva. Tuttavia, la commissione di un reato a mezzo stampa esprime l’offensività del fatto, consistendo esattamente nella circostanza dannosa che il legislatore intendeva evitare[11]. Considerare il reato a mezzo stampa come evento della condotta omissiva del direttore implica che, ai fini dell’integrazione della fattispecie, reato e condotta siano legati, in sede di tipicità, da un nesso causale e, in sede in colpevolezza, da un nesso psicologico, declinato in questo caso in forma di negligenza. Simili requisiti sarebbero superflui se si intendesse il reato a mezzo stampa quale mera condizione di punibilità. Al contrario, quale evento di fattispecie, il reato a mezzo stampa può concorrere davvero alla piena personalizzazione dell’art. 57 c.p.[12], in coerenza con il disposto dell’art. 27 Cost. e con lo spirito della riforma operata nel ’58[13].
La seconda delle questioni menzionate riguarda, invece, il significato da attribuirsi all’uso del participio “commesso” rispetto al reato a mezzo stampa: ci si chiede se una simile scelta linguistica implichi o meno la necessità che esso sia completo in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive, affinché la fattispecie di cui all’art. 57 c.p. possa considerarsi integrata. La tendenza maggioritaria risponde affermativamente[14], sulla base di un doppio ordine di considerazioni. Da un lato, ascrivere al direttore l’illecito di cui all’art. 57 c.p. pur a fronte di un reato a mezzo stampa scriminato, ad esempio, per esercizio del diritto di cronaca o di critica, significa contraddire «gli scopi ed il significato della disciplina della responsabilità penale per i reati commessi a mezzo stampa. […] Non si intende, infatti, per quale motivo un’azione giustificata dalle finalità che il giornale persegue (tale il diritto di informazione) debba costituire argomento di censura per il direttore»[15]. D’altra parte, ritenere l’accertamento del dolo del reato a mezzo stampa non essenziale ai fini dell’integrazione dell’omesso controllo significherebbe, in concreto, creare nuovi reati a mezzo stampa[16]: «in tal caso, invero, la responsabilità del direttore coprirebbe fattispecie che in nessun caso potrebbero rientrare nel quadro di un reato commesso a mezzo della stampa, che ha quasi sempre come elemento tipico il dolo»[17].
Un ultimo aspetto problematico riguarda la natura dell’omissione descritta dall’art. 57, se cioè sia riconducibile ad un illecito omissivo, proprio[18]o improprio[19], ovvero ad un’ipotesi di agevolazione colposa[20]. In merito alla prima alternativa, può osservarsi che, quand’anche si optasse per la natura impropria dell’omissione di cui all’art. 57 c.p., dovrebbe riconoscersene il carattere sui generis, dal momento che essa non presuppone l’applicazione dell’art. 40, cpv., c.p., né si affianca ad una corrispondente fattispecie attiva[21].
3. La (discutibile) inapplicabilità dell’art. 57 c.p. al direttore responsabile di periodico online
Per quanto direttamente interessa in questa sede, conviene prestare attenzione alla circostanza per cui il legislatore abbia espressamente delimitato il novero dei reati-evento rilevanti exart. 57 c.p. a quelli realizzabili «col mezzo della stampa periodica». Una simile specificazione ha assunto un valore particolare da quando più corposa è divenuta la schiera dei quotidiani, periodici, blog, ed altre piattaforme onlinemediante i quali si realizza “informazione”[22]. Invero, risulta necessario domandarsi se tali mezzi, perfettamente idonei alla commissione dei classici reati a mezzo stampa[23]e comunque ricompresi nella nozione di «qualsiasi altro mezzo di pubblicità»[24]ai sensi dell’art. 595, c. 3, c.p., rientrino o meno nel concetto di «stampa» utilizzato dall’art. 57 c.p., solitamente definito alla stregua dell’art. 1 l. 47/1948, in forza del quale «sono considerate stampe o stampati […] tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».
Con la pronuncia in commento la Corte ha dichiarato, quasi en passant[25], la propria adesione all’orientamento dottrinale[26]e giurisprudenziale che risponde negativamente al quesito appena posto. Le argomentazioni a sostegno di tale assunto possono ricavarsi da due precedenti e fondamentali provvedimenti resi dalla stessa sezione V della Corte di cassazione, rispettivamente, nel 2010[27]e nel 2011[28]. L’attività giornalistica onlineesula dalla nozione tradizionale di “stampa” dal momento che i relativi contenuti non sono oggetto di «riproduzione tipografica» né di fisica distribuzione presso il pubblico[29]. Questi ultimi sono diffusi, al contrario, tramite reti telefoniche e mediante l’appoggio ad internet service providers, che ne consentono una fruizione certamente ampia ed immediata, ma non fisica e tangibile. D’altra parte, l’obbligo di controllo ipoteticamente gravante sul direttore o vicedirettore di periodico onlineavrebbe una portata decisamente eccessiva, in relazione a tutti gli innumerevoli contenuti (articoli, post, commenti) che, mediante lo strumento della rete, possono essere caricati sul sito di riferimento, non solo da giornalisti ma anche da generici “utenti”. Dal momento, dunque, che informazione online e “stampa” si atteggiano quali entità tanto diverse, l’applicazione dell’art. 57 c.p. alla prima implicherebbe una violazione del divieto di analogia in malam partem[30].
Ai nostri fini, può essere utile tener conto di un ulteriore dato normativo: la rivista onlinerientra ormai nella nozione di «prodotto editoriale» di cui all’art.1, c. 1, l. 62/2001. Questo, qualora sia «diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata», ai sensi dell’art.1, c. 3, l. 62/2001, è sottoposto agli obblighi di registrazione «presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi», previsti dall’art. 5, l. 47/1948. L’Agcom ha, poi, disciplinato operativamente tali obblighi mediante l’istituzione del Registro degli operatori di comunicazione (ROC), sulla scorta della delibera n. 666/08/CONS (“Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del Registro degli operatori di comunicazione”) e relativi allegati. Tra questi, in particolare, l’Allegato A, il regolamento vero e proprio, menziona, all’art. 2, c. 1, lett. i, «i soggetti esercenti l’editoria elettronica» tra gli obbligati all’iscrizione al registro. A norma del suddetto art. 1, c. 3, l. 62/2001, peraltro, il prodotto editoriale è soggetto alla disciplina di cui all’art. 2 della legge sulla stampa in tema di indicazioni obbligatorie.
La giurisprudenza precedentemente richiamata nega al regime cui si è accennato ogni valenza in termini di assimilabilità tra stampa cartacea ed informazione online[31]. La sensazione è che, comunque, il legislatore abbia inteso parificare le due entità perlomeno sotto il profilo dell’organizzazione strutturale. Adempiere all’obbligo di registrazione significa, infatti, indicare, oltre al proprietario e all’editore del giornale, anche un direttore, che, univocamente individuabile, assuma su di sé la responsabilità dell’attività della testata, in ragione dei propri poteri di indirizzo e controllo[32].
Significativa, nel percorso interpretativo in esame, una pronuncia delle sezioni unite del 2015[33], che ha affermato come il divieto di sequestro preventivo (salvi i casi espressamente disciplinati dalla legge exart. 21, c. 3, Cost.) riguardi non solo la “stampa” propriamente intesa, ossia quella cartacea, ma anche il mondo del giornalismo su internet. La decisione merita attenzione, in questa sede, non tanto per la conclusione cui perviene all’esito finale della vicenda, quanto in ragione delle argomentazioni utilizzate dalla Corte a supporto della tesi della riconduzione nel più ampio genusdella “stampa” delle due realtà suddette.
Anzitutto, appare interessante la distinzione operata tra «l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica online» e il «vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo»[34]. Solo per la prima potrebbe concretamente porsi il problema di una equiparazione con la stampa cartacea, laddove la seconda rappresenterebbe esclusivamente una modalità di libera espressione del pensiero[35], non coperta dalle garanzie predisposte a specifica tutela della stampa.
Inoltre, ciò che colpisce è che proprio gli indici normativi precedentemente richiamati in relazione agli obblighi di registrazione, insieme con un giudizio in chiave storico-evolutiva della nozione di stampa, conducono la Corte a rendere una affermazione forte, certamente innovativa. La riconduzione dell’informazione onlinealla nozione di “stampa” rilevante exart. 1 l. 47/1948 non sarebbe frutto di analogia in malamo, come nel caso deciso dalle sezioni unite, in bonam partem. Al contrario, ci si troverebbe di fronte ad «una mera deduzione interpretativa di carattere evolutivo, non analogica»[36], ad una necessaria «interpretazione costituzionalmente orientata del concetto di ‘stampa’, idoneo ab originead adeguarsi alla prevedibile evoluzione dei tempi»[37]. Secondo la Corte sarebbe, in definitiva, anacronistico continuare a definire la stampa con riguardo ai soli profili di materialità, tecnici, connessi con la redazione e pubblicazione di un giornale, escludendo, dunque, automaticamente delle entità che, pur diverse con riguardo a tale componente, condividono però la finalità della stampa cartacea. Finalità che «si concretizza nella raccolta, nel commento e nell’analisi critica di notizie legate all’attualità […] e dirette al pubblico, perché ne abbia conoscenza e ne assuma la consapevolezza nella libera formazione della propria opinione»[38].
La pronuncia in commento, come già evidenziato, si pone in realtà nel solco degli orientamenti tradizionali. Al contrario, circa tre mesi dopo l’emanazione di quest’ultima, la stessa sezione V della Corte di cassazione ha adottato un provvedimento di segno opposto[39]. Nel caso specifico, si discuteva della applicabilità o meno dell’art. 57 c.p. al direttore di periodico onlinee si dava al quesito risposta affermativa, in riforma della sentenza d’appello, proprio sulla base del percorso argomentativo seguito dalle sezioni unite nel 2015[40].
Che si condivida o meno l’approccio proposto dalle sezioni unite, non può negarsi come esso finisca col rimescolare le carte in tavola, aprendo la strada – almeno in via potenziale – non solo alla estensione dello specifico regime di cui all’art. 57 c.p. al giornalismo online, ma anche ad una rivisitazione più generale dei rapporti tra quest’ultimo e stampa cartacea.
4. La (contraddittoria) inapplicabilità dell’art. 57 c.p. in caso di pubblicazione in forma anonima
Il passaggio cruciale della motivazione della sentenza in esame riguarda il rilievo attribuito alla circostanza per cui la pubblicazione dell’articolo diffamante sia avvenuta in forma anonima. Come già evidenziato, il Collegio ha dichiarato di aderire all’orientamento che esclude in radice la possibilità di sussumere la condotta dell’imputato nella fattispecie di cui all’art. 57 c.p. ogni qual volta il contenuto sia stato oggetto di pubblicazione anonima[41].
A ben vedere, nel caso di specie l’articolo era stato in effetti firmato, ma tramite pseudonimo. Si trattava, tuttavia, di pseudonimo c.d. anonimizzante, cioè tale da oscurare del tutto l’identità dell’autore. La pubblicazione anonima e quella realizzata a mezzo di pseudonimo c.d. anonimizzante coincidono, dunque, quanto ad effetti. D’altra parte, ha aggiunto il Collegio, la disciplina civilistica di cui al combinato disposto degli artt. 9 c.c. e 9 della l. 633/1941 (“Legge a protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”) offre una «suggestiva traccia interpretativa» (§2.3) in questo senso. La prima norma, infatti, assoggetta lo pseudonimo che abbia acquisito la stessa importanza del nome alle medesime garanzie previste per quest’ultimo dall’art. 7 c.c.; la seconda prevede che «chi abbia rappresentato, eseguito o comunque pubblicato un’opera anonima, o pseudonima, è ammesso a far valere i diritti dell’autore, finché non sia rivelato»[42].
La scelta interpretativa compiuta in ordine all’art. 57 c.p. non è priva di rilevanza e merita qualche riflessione. Nell’esporla, la Corte ha seguito un iter logico-argomentativo niente affatto inedito[43]. Ove non sia comunque identificabile l’autore di un articolo pubblicato sulla testata giornalistica, il relativo contenuto, «in assenza di diverse allegazioni, deve considerarsi di produzione redazionale ed è quindi riferibile al direttore della redazione» (§2). Ciò “formalmente” (e, come si vedrà qui di seguito, contraddittoriamente) a titolo concorsuale, ma “fondamentalmente” in ragione dei poteri di indirizzo e controllo[44]spettanti a quest’ultimo per legge e contratto: poteri di controllo che, evidentemente, non attengono all’operato dello stesso direttore, ma a quello altrui.
L’attribuzione dell’articolo al direttore – a detta della Corte – rende dunque non configurabile un’omissione colposa di controllo sul contenuto dell’articolo e preclude la contestazione dell’art. 57 c.p. Pertanto la condotta del direttore responsabile viene qualificata come ipotesi di concorso doloso in diffamazione. L’elemento di tipicità concorsuale è ravvisato nella pubblicazione, mentre resta da provare l’elemento soggettivo doloso. Un simile accertamento va condotto tenendo conto di «un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione del testo (come la forma, l’evidenza, la collocazione tipografica, i titoli, le illustrazioni e la correlazione dello scritto con il contesto culturale che impegna e caratterizza l’edizione su cui compare l’articolo)», dalle quali «possa dedursi il […] meditato consenso» del direttore «alla pubblicazione dell’articolo medesimo […] tanto da far ritenere per l’appunto che la suddetta pubblicazione rappresenti il frutto di una scelta redazionale» (§2.4).
Un primo dato sul quale riflettere – come accennato – attiene alla scelta di contestare al direttore responsabile il delitto di diffamazione in forma concorsuale. In più occasioni la Corte sottolinea come l’articolo anonimo debba considerarsi “di produzione redazionale” ed “attribuito” al direttore[45]. Perché, dunque, configurare la sua condotta in termini concorsuali piuttosto che, eventualmente, diffamatori tout court? Probabilmente ciò è dovuto alla circostanza che la Corte, nel suo percorso logico-argomentativo, non esclude mai, neanche in termini di fictio iuris, l’esistenza dell’articolista, pur non identificabile. Lo conferma il richiamo alla disciplina civilistica, volto a legittimare l’equiparazione tra anonimato ed uso di pseudonimo c.d. anonimizzante, particolarmente quella prevista a tutela del diritto d’autore, che naturalmente presuppone l’esistenza di un autore dell’opera[46].
Ed allora, potrebbe non sembrare soluzione così eccentrica quella di far ricorso all’art. 57 c.p., sia pure valutando caso per caso se vi sia un atteggiamento di colposa omissione o di dolosa partecipazione[47]. La fattispecie concorsuale – si sa – presuppone l’esistenza di almeno due concorrenti e, come già emerso, l’attribuzione dell’articolo anonimo al direttore si fonda sui rilevati poteri di controllo relativo all’operato dei giornalisti. La scelta di non ritenere configurabile, aprioristicamente, un’omissione di controllo pare dunque manifestare, più che altro, l’esigenza di individuare un capro espiatorio, nel caso specifico in cui l’autore della pubblicazione non sia stato identificato.
D’altra parte, benché il direttore debba spiegare (e normalmente spieghi) un controllo più capillare in ordine alla veridicità, attendibilità e non offensività di un contenuto il cui autore sia ignoto, non si vede perché presumere che un simile controllo sia effettivamente avvenuto e ritenere l’atto della pubblicazione, in tali casi, volontario in via esclusiva[48]. È più ragionevole – come peraltro suggerito dalle sezioni unite precedentemente citate – che l’interpretazione della nozione di “stampa” si adatti al cambiamento dei tempi. L’ambiente giornalistico italiano vede l’esistenza, accanto a numerose realtà editoriali medio-piccole, di imprese di ingenti dimensioni, con un largo numero di sezioni locali e di rubriche[49]. Se si considera altresì come molte testate associno una versione cartacea ad una versione digitale, i cui contenuti non necessariamente coincidono con quelli della prima, può risultare meno difficile immaginare una omissione colposa di controllo, pur a fronte di un contenuto anonimo. Chiamare il direttore a rispondere di concorso in caso di articolo anonimo, in ragione del suo ruolo, evoca quindi, in definitiva, una responsabilità di posizione[50], palesemente incompatibile con il principio di colpevolezza[51].
Lo conferma, del resto, il metodo – in certo senso standardizzato – seguito dalla sentenza in commento nell’accertamento del dolo[52]. Ed invero, i parametri menzionati, noti alla giurisprudenza da tempo[53], non necessariamente possono dare la misura dell’adesione psicologica del direttore al contenuto dell’articolo. Ad esempio, tra le competenze del direttore di una testata giornalistica, soprattutto se medio-grande, con ogni probabilità non rientra la scelta circa «la forma, l’evidenza, la collocazione tipografica, i titoli, le illustrazioni» (§2). In una testata online, oltretutto, le procedure di pubblicazione sono spesso meccanizzate e uniformate, non oggetto di scelte specifiche da formularsi volta per volta. Inoltre, che efficacia può spiegare il parametro della «correlazione […] con il contesto culturale che impegna e caratterizza l’edizione su cui compare l’articolo» (§2) con riferimento ad una rivista alla prima pubblicazione (qual era il periodico della vicenda decisa dalla Corte)?
Scarsa attenzione sembra prestarsi anche alla circostanza per cui, trattandosi di condotta concorsuale, l’elemento soggettivo si atteggi quale dolo di concorso. Questo implica: «1) la coscienza e la volontà di realizzare un fatto di reato; 2) la consapevolezza delle condotte che gli altri concorrenti hanno esplicato, esplicano o esplicheranno; 3) la coscienza e volontà di contribuire con la propria condotta, assieme alle altre, al verificarsi del reato stesso»[54]. La prima componente comporta, secondo la classica dogmatica del dolo ricostruita alla luce del principio di offensività, che il direttore sia a conoscenza e voglia la pubblicazione di un articolo dal contenuto lato sensuantigiuridico[55]. Mentre in certi casi la portata offensiva del contenuto è direttamente percepibile, in altri è necessaria una lettura più approfondita, potendo la carica diffamatoria annidarsi tra le maglie dell’articolo.
Discutibile appare, peraltro, l’adesione della Corte alla posizione[56]secondo la quale «la configurazione del reato exartt. 110 e 595, c. 3, c.p., e non del reato exart. 57 c.p., corrisponde alla razionale esigenza di non creare -in sede interpretativa -una sorta di zona franca e l’abrogazione di fatto dell’art. 595 c.p., nella fattispecie della diffamazione commessa con nom de plume» (§2.4). È, forse, necessario domandarsi se simili valutazioni possano legittimamente motivare la scelta di contestare all’imputato una fattispecie incriminatrice invece di un’altra[57].
Uno dei sei motivi di ricorso atteneva, infine, al mancato riconoscimento in primo grado della scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca ex artt. 51, c. 1, e 59, ult. c., c.p. Anche sotto questo profilo la Corte si pone nel solco della continuità, facendo proprio l’orientamento che, a tal fine, richiede che l’imputato fornisca la prova di una diligente consultazione e verifica di fondatezza delle fonti[58](§4.2). Una simile opzione interpretativa pone tuttavia non pochi dubbi di compatibilità con la disciplina summenzionata nelle ipotesi in cui il reato contestato rientri, come la diffamazione, nel novero delle fattispecie rilevanti a solo titolo doloso. Difatti, l’art. 59, ult. c., c.p. prevede che «se l’agente ritiene per errore […] determinato da colpa» che in suo favore operi una circostanza «di esclusione della pena», la punibilità permane esclusivamente «quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo»[59].
Oggetto di riflessione non è, comunque, l’esito finale del procedimento. Si tratta, nel caso di specie, di giudizio di legittimità, che poco spazio lascia alla valutazione del fatto, avviato con ricorso per saltum, preclusivo, dunque, della contestazione e della successiva disamina dell’impianto motivazionale del provvedimento impugnato. Nonostante ciò, alcuni dati suggeriscono che, probabilmente, la condotta dell’imputato non configura, in effetti, una omissione colposa di controllo (ove anche l’art. 57 c.p. fosse ritenuto applicabile al direttore di periodico online). In primo luogo deve considerarsi che «l’articolo era stato pubblicato proprio il primo giorno di uscita della rivista» (§2). Quest’ultima circostanza, che la difesa prospettava quale escludente la «meditata adesione del direttore al contenuto dello scritto» (§2.1), potrebbe, invece, far propendere per un opposto giudizio, tanto più che l’imputato non risulta essere un giornalista del tutto inesperto. Senza contare, poi, che le dimensioni del periodico non erano tali da precludere, pur sempre in astratto, la possibilità di un più minuzioso controllo sulla natura dei contenuti oggetto di pubblicazione. Non può infine sottacersi che i giudici di prime cure abbiano ritenuto il tono dell’articolo «allusivo e insinuante», certamente non imparziale.
5. Prospettive di riforma. Il disegno di legge c.d. Costa
Molti dei nodi interpretativi esaminati in tema di stampa e di diffamazione a mezzo stampa, si scioglierebbero automaticamente sol che il legislatore prendesse esplicita posizione in merito. Le stesse sezioni unite, nel 2015, avevano a più riprese severamente censurato la prolungata inerzia: come si è avuto modo di evidenziare, le sole riforme varate in tema di stampa ne hanno toccato unicamente i profili strutturali-amministrativi. Nel marzo del 2015 si è arenato, in Senato, l’ultimo tentativo di articolata riforma della materia: il disegno di legge c.d. Costa[60]. Nonostante la mancata approvazione della suddetta proposta, può essere utile fare attenzione ad alcune particolari soluzioni[61]adottate dalle Camere nel testo unificato, per avere un’idea più chiara di quale fosse l’intenzione del legislatore, nonché di quali strade possano percorrersi per uscire dalle impasseinterpretative e dogmatiche che si è tentato di mettere in luce.
Innanzitutto, il legislatore aveva optato per una esplicita equiparazione tra stampa cartacea e piattaforme onlinedi informazione. A tal fine si era pensato, in primo luogo, ad una rivisitazione dell’art. 1, l. 47/1948, cui si aggiungeva un comma finale che avrebbe esteso l’ambito applicativo della legge sulla stampa alle testate giornalistiche onlineregistrate[62]. Inoltre, lo stesso art. 57 c.p. avrebbe dovuto essere oggetto di una profonda opera di revisione[63], prevedendosene l’applicabilità al direttore o vicedirettore responsabile di testata giornalistica online registrata.
Opportuna risultava, poi, la scelta di disciplinare la possibilità, per il direttore, di delegare le funzioni di controllo ad un giornalista idoneo a svolgerle[64], espressione della presa di coscienza di un’esigenza manifestata a più riprese in dottrina[65], ma della quale la giurisprudenza si è presa raramente carico, assumendo, al contrario, un atteggiamento di netta chiusura[66].
Ed invero i tratti salienti della delega di funzioni ricordano quelli relativi al raggio applicativo dell’art. 57 c.p. L’estensione dell’istituto al settore del giornalismo “professionale”, che tende ad atteggiarsi sempre più quale manifestazione di imprenditorialità[67], potrebbe riportare la figura del direttore nell’alveo della responsabilità colpevole. Sul direttore – in presenza di delega – permarrebbe unicamente un onere di vigilanza “alta” sull’azione del soggetto delegato: una declinazione del dovere di controllo più compatibile con le reali competenze e funzioni del suo titolare. Al fine di risolvere le questioni dogmatiche già esposte non sarebbe, dunque, necessario fare radicalmente a meno dell’art. 57 c.p. o, ancora, introdurre un obbligo di firma ai fini della pubblicazione di articoli[68].
Ragionando de jure condendo, una soluzione alternativa potrebbe essere quella di ricorrere, anche con riferimento all’“impresa giornalistica”, al sistema di responsabilità da reato dell’ente di cui al d.lgs. 231/2001[69]. In questo modo si eviterebbero le difficoltà di accertamento della responsabilità del direttore, nonché il rischio di sconfinamenti verso forme di responsabilità oggettiva se non addirittura di posizione. Ferma restando in ogni caso la necessità di dimostrare il difetto di organizzazione del soggetto collettivo.
In conclusione, le soluzioni al problema di una più equa ripartizione delle responsabilità scaturenti dalla commissione di un reato a mezzo stampa, in particolare nell’ipotesi in cui non ne sia noto l’autore principale, non mancano. Sarebbe auspicabile, dunque, che il legislatore riadattasse il dettato normativo alla mutata realtà, sollevando gli operatori del diritto dalla tentazione di ardite (se non discutibili) operazioni ermeneutiche.
[1]Sulla diffamazione, ex multis, F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale – I, Milano, 2016, 256 ss.; M. T. Collica-A. Gullo-T. Vitarelli, I delitti contro l’onore. Casi e materiali, a cura di P. Siracusano, Torino, 2001; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale. I. I delitti contro la persona, Bologna, 2013, 104 ss.;A. Gullo, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Contributo a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma, 2013; E. La Rosa, Tutela penale dell’onore, in D. Pulitanò (a cura di), Diritto penale. Parte speciale. Vol. I. Tutela penale della persona, Torino, 2014, 357 ss.; F. Mantovani, Diritto penale. Parte Speciale. I. Delitti contro la persona, Padova, 2016, 258 ss.; A. Nappi, voce Ingiuria e diffamazione, in Enciclopedia Giuridica Treccani, XVII, Roma, 1989; P. Siracusano, voce Ingiuria e diffamazione, in Digesto delle Discipline Penalistiche, VII, Torino, 1993; M. Spasari, voce Diffamazione e ingiuria (diritto penale), in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1964; S. Peron, La diffamazione tramite mass-media, Padova, 2006; M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Padova, 1995; A. Tesauro, La diffamazione come reato debole e incerto, Torino, 2005.
[2]In punto di omissione di controllo, per tutti, F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 399 ss.; G. Fiandaca-E. Musco,Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, 683 ss.; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2017, 390 ss.; E. Musco, voce Stampa (diritto penale), in Enciclopedia del Diritto, XLIII, Milano,1990; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano 2004, 615 ss.; T. Vitarelli, Evento colposo e limiti del dovere obiettivo di diligenza nella responsabilità penale del direttore di stampa periodica, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1990, 3, 1222 ss.
[3]Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 35511; Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2011, n. 44126, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 4, 2012, 1604 ss., con nota di D. Petrini, Il direttore della testata telematica, tra horror vacui e prospettive di riforma: sperando che nulla cambi.
[4]Cass. pen., sez. V, 10 gennaio 2001, n. 16988, in Cassazione penale, 7-8, 2002, 2345 ss., con nota critica di G. Le Pera, Articolo non firmato e responsabilità del direttore: un pericoloso ritorno alla responsabilità senza colpa; Cass. pen., sez. V, 26 settembre 2012, n. 41249.
[5]Interessante, in tal senso, può risultare la lettura dei Lavori preparatori del codice penale e di procedura penale, 1929, V, 101 ss.
[6]C. Cost., 23 giugno 1956, n. 3.
[7]Come evidenziato da M. Romano, Commentario, cit., 616, la norma è stata sempre interpretata in senso compatibile con il principio di colpevolezza. La nozione di responsabilità oggettiva, infatti, esclude che sia necessario accertare la sussistenza dell’elemento psicologico doloso o colposo, ma presuppone comunque la prova dell’apporto causale dell’imputato all’evento finale. Va detto, però, che l’istituto della responsabilità oggettiva collima perfettamente con la qualificazione della responsabilità penale in termini personali solo ove si interpreti l’art. 27 Cost, restrittivamente, in termini di «divieto di responsabilità per fatto altrui». Tale compatibilità diviene solo parziale nella misura in cui all’art. 27 Cost. si attribuisca il «senso ben più pregnante di responsabilità per fatto proprio colpevole». Così, per tutti, G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, cit., 325 s.
[8]F. Albeggiani, I reati di agevolazione colposa, Milano, 1984, 110 s.
[9]F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., 392; M. Romano, op. cit.,616 s.
[10]F. Albeggiani, op. cit., 111 ss.
[11]T. Vitarelli, Evento colposo, cit., 1225.
[12]F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., 391 s.
[13]A favore della configurazione del reato a mezzo stampa quale evento di fattispecie anche G. Corrias Lucente, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione di massa, Padova, 2000, 206 s.; P. Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, 120; M. Romano, op. cit., 617.
[14]F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., 402; G. Corrias Lucente, op. cit., 206; E. Musco, voce Stampa, cit., 642; P. Nuvolone, op. cit., 122. Contra, F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., 392; M. Romano, op. cit., 617 s.
[15]G. Corrias Lucente, op. cit., 207.
[16]E. Musco, voce Stampa, cit., 642.
[17]P. Nuvolone, op. cit., 122.
[18]Sul punto è necessario precisare che nella misura in cui si reputi il reato a mezzo stampa evento di fattispecie e, di conseguenza, l’art. 57 c.p. reato d’evento, l’unica possibilità di configurare quest’ultimo in termini di omissione propria consiste nel discostarsi dall’impostazione tradizionale che distingue le due speciesdi reati omissivi in virtù della sussistenza di un evento di fattispecie (per tutti, A. Cadoppi-S. Canestrari-A. Manna-M. Papa, Trattato di diritto penale – Parte generale Vol. II: Il reato, Torino, 2013, 42; F. Mantovani, Diritto Penale, Parte generale, cit., 129 s.) e dare spazio alla tesi, minoritaria, tendente a strutturare e differenziare i reati omissivi in base al criterio della “tipizzazione” legislativa (G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, cit., 620 ss.). In quest’ottica, l’art. 57 c.p. potrebbe definirsi reato omissivo proprio in quanto esplicitamente disciplinato dal legislatore e si accosterebbe a quelle, rare, fattispecie incriminatrici di parte speciale che disciplinano reati omissivi di evento. In generale, sulla tematica dei reati omissivi impropri, G. Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; G. Grasso, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983.
[19]G. Corrias Lucente, op. cit., 206; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., 391; P. Nuvolone, op. cit., 120 s.
[20]F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., 402; M. Romano, op. cit., 618; T. Vitarelli, Evento colposo, cit.,1228.
[21]T. Vitarelli, Evento colposo, cit., 1227.
[22]R. Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2002, 62.
[23]Per la tradizionale distinzione tra reati di stampa (es., rifiuto di rettifica exart. 8 l. 47/1948) e reati a mezzo stampa (es., diffamazione a mezzo stampa ex art. 595, c. 3, c.p.), P. Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, 14 ss.
[24]Sembra auspicare che la diffamazione integrata con il mezzo del giornalismo onlinesia ricondotta nell’alveo della commissione con «altro mezzo di pubblicità», onde evitare che si estenda al giornalismo onlinela disciplina penalistica applicabile alla stampa cartacea, almeno finché il legislatore non intervenga nel senso dell’equiparazione esplicita tra le due fattispecie D. Petrini, Diffamazione on line: offesa recata con “altro mezzo di pubblicità” o col mezzo della stampa?, inDiritto penale e processo, 11, 2017, 1491 ss. L. Scopinaro, Internet e i delitti contro l’onore, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2, 2000, 632 ss., era, invece, piuttosto cauta già nell’ammettere che al web potesse applicarsi l’aggravante della commissione con altro mezzo di pubblicità, anche in ragione dell’incremento del numero di testate giornalistiche online(in particolare 641).
[25]Limitandosi ad affermare che la giurisprudenza della Corte di legittimità è sistematicamente «orientata […] per la non riconducibilità dell’attività on-linenel concetto di stampa periodica ex art. 1 legge 8/2/1948 n. 47» (§2.1).
[26]Per tutti V. Zeno-Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1, 1998, 24.
[27]Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 35511, cit.
[28]Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2011, n. 44126, cit.
[29]Ivi.
[30]Sul divieto di analogia in diritto penale in una prospettiva generale, per tutti, G. Vassalli, voce Analogia nel diritto penale, in Digesto delle Discipline Penalistiche, I, Torino, 1987.
[31]In particolare, Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2011, n. 44126, cit.
[32]Con riferimento alla figura del direttore art. 6, c. 1, del recente CNLG sottoscritto il 24 maggio 2018 da USPI e FNSI, nonché art. 6 del precedente CNLG sottoscritto il 26 marzo 2009 da FIEG e FNSI.
[33]Cass. pen., sez. un., 17 luglio 2015, n. 31022, in www.dirittopenalecontemporaneo.it,9 marzo 2016, con nota critica di C. Melzi d’Eril, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate. In senso più moderatamente critico, D. Petrini, Diffamazioneon line, cit., 1489 ss.
[34]Cass. pen., sez. un., 17 luglio 2015, n. 31022, cit., Considerato in diritto, §18.
[35]Ivi, §18.5.
[36]Ivi, §20. Per una distinzione tra “analogia” e “interpretazione estensiva” per tutti, F. Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2016, 145 s.; G. Vassalli, voce Analogia, cit., 159 ss.
[37]Cass. pen., sez. un., 17 luglio 2015, n. 31022, cit., Considerato in diritto, §22.
[38]Ivi, §20.
[39]Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2017, n. 13398, in questaRivista, 29 maggio 2018, con nota critica di S. Vimercati, Il revirementdella Cassazione: la responsabilità per omesso controllo si applica al direttore della testata telematica. Nello stesso senso anche Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2018, n. 16751, in cui l’art. 57 si ritiene applicabile alla testata giornalistica onlinepurché caratterizzata da professionalità.
[40]Hanno trovato conferma, dunque, i timori espressi da D. Petrini, Diffamazione on line, cit., 1490.
[41]In senso contrario, Cass. pen., sez. V, 9 maggio 2007, n. 29410, ribadita, a distanza di diversi anni, da Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2014, n. 31813.
[42]L’equiparazione non sembra, quindi, costituire una illegittima interpretazione analogica in malam partem, come, invece, sostenuto da P. Grillo, Quotidiani online: la responsabilità del direttore per gli articoli anonimi, in www.dirittoegiustizia.it, 21 novembre 2017.
[43]Rinvenibile, in termini più ampi, anche in una precedente sentenza relativa ad una vicenda divenuta celebre in ragione della notorietà dell’imputato nonché degli esiti sanzionatori del delitto di diffamazione: si fa riferimento a Cass. pen., sez. V, 26 settembre 2012, n. 41249, cit. Nel caso di specie si discuteva del profilo di responsabilità di Alessandro Sallusti, in qualità di direttore de «Il Giornale», a seguito della pubblicazione di un articolo, firmato con pseudonimo c.d. anonimizzante, gravemente lesivo dell’onore di un magistrato del Tribunale di Milano. All’esito dell’iterprocessuale, all’imputato era stata applicata la pena detentiva, circostanza ritenuta talmente iniqua, perché lesiva della libertà di stampa, da spingere l’allora Presidente della Repubblica a concedere la grazia. Sul punto, L. Boneschi, «Hard cases make bad law». Note a margine del caso Sallusti, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 3, 2013, 457 ss.; C. Melzi d’Eril,La condanna per diffamazione nei confronti di Sallusti: un paio di spunti oltre le polemiche, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 28 novembre 2012; A. Mino, La responsabilità penale del direttore alla luce del c.d. caso Sallusti: spunti di riflessione e proposte di riforma, in Cassazione penale, 2, 2013, 613 ss.
[44]«Il direttore responsabile – trait d’union fra redazione ed editore – ha il diritto di guidare la redazione, in tutta autonomia rispetto all’editore, e ha la facoltà di operare tagli, modifiche, integrazioni sul testo scritto del giornalista, salvo il diritto di quest’ultimo di non firmare l’articolo se non condivide le modifiche apportate» (§2.4).
[45]«La pubblicazione di un articolo senza nome, e quindi senza l’indicazione della persona che si assume professionalmente la responsabilità delle notizie e delle valutazioni in esso contenute, comporta l’attribuzione dell’articolo al direttore responsabile, per la sua consapevole condotta volta a diffondere lo scritto diffamatorio» (§2.4).
[46]Per attribuire al direttore la responsabilità del reato commesso a mezzo di articolo pubblicato in forma anonima non sarebbe comunque sufficiente una mera interpretazione del tessuto normativo vigente ma occorrerebbe un intervento legislativo, che tuttavia sarebbe pur sempre non pienamente conforme al principio di colpevolezza. Da questo punto di vista, è interessante notare come in sede di approvazione del testo unificato dell’ormai naufragato disegno di legge c.d. Costa, (“Modifiche alla l. 8 febbraio 1948, n. 47, al c.p., al c.p.p., al c.p.c. e al c.c. in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale”), la Camera dei Deputati, prima di trasmettere il testo finale al Senato, abbia provveduto a sopprimere l’ultimo comma del riformando art. 57 c.p., che disciplinava esplicitamente proprio il tema della responsabilità del direttore in caso di reato a mezzo stampa commesso tramite pubblicazione in forma anonima. La norma era piuttosto scarna, prevedendo semplicemente che il direttore o vicedirettore rispondesse «dei delitti commessi con il mezzo della stampa […] nei casi di scritti […] non firmati». L’esclusione si è, dunque, rivelata opportuna, mancando, peraltro qualunque riferimento a titoli soggettivi di responsabilità, A. Gullo, La tela di Penelope. La riforma della diffamazione del Testo unificato approvato dalla Camera il 24 giugno 2015 in Diritto Penale Contemporaneo – Rivista Trimestrale, 1, 2016, 49 ss.
[47]Nel senso del riconoscimento della possibilità di configurare la condotta dell’imputato ai sensi dell’art. 57 c.p. anche in caso di pubblicazione in forma anonima, purché ricorrano i relativi requisiti di fattispecie, Cass. pen., sez. V, 2 maggio 1990, n. 11494, e, più esplicitamente, Cass. pen., sez. V, 9 maggio 2007, n. 29410. In dottrina G. Le Pera, op. cit., 2349 ss.; A. Mino, La responsabilità penale, cit.,616 ss.
[48]F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., 392 ss., ben distingue tra le fattispecie di concorso e di omesso controllo, ponendo giustamente l’accento sul piano dell’elemento soggettivo (ed evidenziando che l’omissione di controllo exart. 57 c.p. potrebbe essere volontaria, come già F. Albeggiani, op. cit., 111, nt. 27).
[49]A. Mino, La responsabilità penale, cit.,621.
[50]In argomento, da ultimo, E. Pietrocarlo, Concorso in diffamazione del direttore e articolo firmato con pseudonimo: la Cassazione insiste sulla responsabilità “di posizione” in Diritto Penale Contemporaneo – Rivista Trimestrale, 6, 2018, 125 ss.
[51]G. Le Pera, op. cit., 2349; A. Mino, La responsabilità penale, cit.,617.
[52]La Corte si è così espressa: «Tale responsabilità appare configurabile allorché, sulla base di un complesso di circostanze esteriori, consti il consenso e la meditata adesione del direttore al contenuto dello scritto che egli è tenuto a controllare, tanto più allorché la pubblicazione avvenga in forma anonima o con il ricorso a pseudonimi, e quindi con artifici oggettivamente idonei a permettere all’autore di sottrarsi alle conseguenze della propria condotta di carattere diffamatorio» (§2.2).
[53]Ex multis, Cass. pen., sez. V, 8 giugno 1992, n. 8848, in Giurisprudenza italiana, II, 1993, 518 ss. Può dunque legittimamente domandarsi se i parametri tradizionali non debbano essere oggetto di revisione, tenuto conto del mutare dei tempi.
[54]F. Mantovani, Diritto penale. Parte Generale, cit., 523.
[55]Oggetto di dolo deve essere, cioè, l’antigiuridicità sostanzialedel fatto, M. Gallo, voce Dolo (diritto penale), in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1964, 780 ss., spec. 783.
[56]Espressa per la prima volta in Trib. Roma, 19 luglio 2001, inedita, citata criticamente da G. Le Pera, op. cit., 2352.
[57]E. Pietrocarlo, op. cit., 129. D’altra parte, se si contestasse la fattispecie di cui all’art. 57 c.p. non permarrebbe, in effetti, alcuna “zona franca”, G. Le Pera, op. cit., 2352.
[58]Ex multis, Cass. pen., sez. V, 17 maggio 1992, n. 6142, in Cassazione Penale, 1993, 2265 ss.;Cass. pen., sez. V, 9 aprile 2010, n. 27106; Cass. pen., sez. V, 26 giugno 2013, n. 45672.
[59]Sul punto, G. de Vero, Le scriminanti putative. Profili problematici e fondamento della disciplina, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1, 1998, 778 ss.; M. Donini, Ignoranza ed errore, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, parte generale, a cura di Bricola-Zagrebelsky, I, Torino, 1996, 746 ss.; A. Gullo, La Cassazione e i mutamenti genetici del reato di diffamazione a mezzo stampa, ivi, 1, 2005, 477 s.; T. Vitarelli, Diritto di cronaca e limiti, in M. T. Collica-A. Gullo-T. Vitarelli, I delitti contro l’onore, cit., 133. Oltre alla verità – come noto – esistono altri due limiti di estensione del diritto di cronaca, ossia la pertinenza (o «interesse sociale») e la continenza. A riguardo, P. Nuvolone, op. cit., 54 ss. Come evidenziato da A. Manna, Il diritto di cronaca, di critica, di denuncia e la diffamazione: «gli arresti giurisprudenziali», in Cassazione penale, 11, 2003, 3602 ss., tali limiti sono desumibili dalla disciplina dell’exceptio veritatisexart. 596 c.p., e non da normativa di rango costituzionale, nonostante il diritto di cronaca, quale libertà di informare e di essere informati, sia costituzionalmente tutelato, come sostenuto con ampie argomentazioni da V. Crisafulli,Problematica della «libertà di informazione», in Il Politico, 1964, 29, 285.
[60]V., supra, nt. 46.
[61]Il progetto di riforma intendeva intervenire su vari profili dell’universo della stampa, tra i quali spiccava quello del trattamento sanzionatorio della diffamazione. Per un commento più ampio, A. Gullo, La tela di Penelope, cit.
[62]Il comma in oggetto avrebbe previsto: «Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle testate giornalistiche onlineregistrate ai sensi dell’articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive».
[63]Questo il disposto di cui al testo unificato: «Art. 57. – (Reati commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione). – Fatta salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica onlineregistrata ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, risponde a titolo di colpa dei delitti commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. La pena è in ogni caso ridotta di un terzo. Non si applica la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista. Il direttore o il vicedirettore responsabile di cui al primo periodo, in relazione alle dimensioni organizzative e alla diffusione del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica onlineregistrata ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, può delegare, con atto scritto avente data certa e accettato dal delegato, le funzioni di controllo a uno o più giornalisti professionisti idonei a svolgere le funzioni di vigilanza di cui al primo periodo».
[64]Sulla delega di funzioni, ex multis, D’Alessandro, voce Delega di funzioni (diritto penale), in Enciclopedia del Diritto, Annali, Milano, 2016, IX; T. Vitarelli, La disciplina della delega di funzioni, in F. Giunta-D. Micheletti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2010, 37 ss.; R. Zannotti, Diritto penale dell’economia, Milano, 2017, 41 ss. L’istituto è attualmente disciplinato dal d.lgs. 81/2008, ma nasce quale prassi operativa nel contesto dell’attività imprenditoriale (per uno studio precedente la normativa del 2008, T. Vitarelli,Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006). Esso consente di sollevare, almeno parzialmente, l’imprenditore-datore di lavoro dall’assolvimento degli obblighi di garanzia – la cui fonte primaria è da rintracciarsi nel disposto di cui all’art. 2087 c.c., (D. Pulitanò, voceInosservanza di norme di lavoro, in Digesto delle Discipline Penalistiche, VII, Torino, 1992, 69) – in ordine alla tutela della vita e della salute dei propri dipendenti dai pericoli connessi con lo svolgimento dell’attività lavorativa. In virtù del regime predisposto dal d.lgs. 81/2008, la delega, che rispetti i requisiti formali di cui all’art. 16, c. 1, consente al datore di lavoro di nominare un soggetto delegato all’esecuzione dei suoi obblighi, che risultino dall’atto di delega e che siano esclusi dal novero degli obblighi non delegabili di cui all’art. 17. Il medesimo art. 16, c. 3, prevede, poi, la permanenza, in capo al datore di lavoro, di un «obbligo di vigilanza […] in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite».
[65]Ex multis,G. Corrias Lucente, op. cit., 204; G. Fiandaca, É «ripartibile» la responsabilità penale del direttore di stampa periodica?, in Il Foro Italiano, 1983, n. 106, c. 570 ss.; E. Musco, voce Stampa, cit., 644 s.
[66]In più occasioni si è espressamente negata la possibilità di ricorrere all’istituto della delega di funzioni in ambito giornalistico. Fondamentale C. Cost., 24 novembre 1982, n. 198, in Il Foro Italiano, 1983, n. 106, c. 568 ss., con nota di G. Fiandaca, É «ripartibile», cit. Più di recente, in termini ancora negativi, Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2014, n. 51111; Cass. pen., sez. V, 2 maggio 2016, n. 42309, in cui si afferma l’irrilevanza dell’organizzazione interna dell’azienda giornalistica ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile dell’adempimento degli obblighi di controllo di cui all’art. 57, tale essendo sempre e necessariamente il direttore responsabile.
[67]A. Mino, La disciplina sanzionatoria dell’attività giornalistica, Milano, 2012, 107 ss.
[68]Contra,A. Mino, ibid., cit., 104 ss.
[69]A riguardoC. Piergallini, Attività giornalistica e responsabilità dell’ente in Diritto Penale Contemporaneo – Rivista Trimestrale,3, 2017, 105 ss.,che evidenzia anche come una scelta di tal fatta spinga a ripensare in ordine alla necessità dell’art. 57 c.p. nel sistema penale (in particolare, 111). In argomento, altresì, A. Mino, La disciplina sanzionatoria, cit., 129 ss.; E. Pietrocarlo, op. cit., 133 ss.