ITV Broadcasting contro TVCatchup, atto secondo: la Corte di giustizia UE torna sulla ritrasmissione online di canali televisivi

Nota a Corte di giustizia dell’Unione europea, 7 marzo 2013, causa C-275/15, ITV Broadcasting a a. c. TVCatchup,

 

L’effetto dirompente di Internet e più in generale delle nuove tecnologie interessa trasversalmente tutti i settori del diritto, ma trova uno dei suoi terreni d’elezione nella disciplina del copyright. Ciò è dovuto, tra l’altro, alla circostanza che contenuti protetti dal diritto d’autore, ed in particolare opere audiovisive, sono il principale oggetto di fruizione degli utenti della rete (secondo il Rapporto I-Com su reti e servizi di nuova generazione del 2016, la quota di traffico di video su Internet già da anni supera il 50% e salirà all’80% entro il 2019).

In questo contesto, è piuttosto ovvio che la giurisprudenza debba occuparsi di numerosi casi in cui i tradizionali istituti giuridici posti a presidio delle opere dell’ingegno e frutto del lavoro intellettuale devono misurarsi con possibilità di sfruttamento prima sconosciute, originando controversie tra i titolari dei diritti, che vantano la pretesa di conservare il pieno controllo delle proprie opere, e i gestori di servizi innovativi che ritengono inapplicabili i paradigmi tradizionali. Ad esempio, numerosi casi, disseminati in diverse latitudini, hanno riguardato servizi che consistono nella ritrasmissione di contenuti audiovisivi già liberamente accessibili agli utenti, in quanto in origine trasmessi gratuitamente da emittenti televisive in chiaro, o comunque nell’ottimizzazione dell’accesso a tali contenuti[1].

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea oggetto di questa nota afferisce al novero di decisioni su tale tipologia di servizi. Nel caso specie, alcune emittenti televisive britanniche, fra cui ITV Broadcasting e Channel Four Television, hanno convenuto in giudizio davanti all’High Court of Justice, Chancery Division dell’Inghilterra e del Galles la società TVCatchup Limited, ritenendo che il servizio da quest’ultima erogato violi i diritti d’autore di dette emittenti.

Il servizio gestito da TVCatchup, ad onta del nome, non è una catch-up TV (ossia la messa a disposizione del pubblico in modalità on demand di programmi già trasmessi nell’ambito di un palinsesto televisivo), bensì un servizio di live streaming gratuito, consistente nella ritrasmissione simultanea (simulcast) su internet di canali televisivi già disponibili in chiaro via satellite o su frequenze terrestri nella medesima zona in cui si trovano gli utenti del servizio. A tali canali TVCatchup associa propri messaggi pubblicitari, che sono la fonte dei suoi proventi, i quali si giustappongono alla pubblicità già presente nei canali, che non viene rimossa.

ITV e le altre emittenti che hanno agito in giudizio ritengono che il servizio di TVCatchup realizzi una comunicazione al pubblico non autorizzata di contenuti sui quali, in base alla legge inglese, insiste il diritto d’autore delle emittenti. Dal suo canto, TVCatchup ritiene invece che la circostanza per cui i canali oggetto di ritrasmissione sono già liberamente accessibili dagli utenti del servizio escluda in radice la necessità di ottenere permessi dalle emittenti, che hanno reso disponibili i propri canali al medesimo pubblico cui si rivolge il servizio; a tal riguardo, giova evidenziare che TVCatchup verifica la provenienza dei propri utenti, per accertarsi che essi si trovino sulla porzione di territorio coperta dalla diffusione di detti canali in modalità free-to-air e che quindi la propria base di utenti coincida con il pubblico originario dei palinsesti ritrasmessi.

La High Court inglese ha sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e nella sentenza del 7 marzo 2013, la Corte ha stabilito che la ritrasmissione di contenuti televisivi effettuata con le modalità sopra indicate costituisce un’autonoma comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3, par. 1, della direttiva 2001/29, il quale riconosce al titolare dei diritti di autore il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico delle opere oggetto di proprietà intellettuale. Pertanto, in base alla direttiva, come interpretata dalla Corte di giustizia, sia la comunicazione al pubblico in modalità lineare (ossia la diffusione di contenuti trasmessi nel momento predeterminato dall’emittente, nell’ambito di un palinsesto televisivo), sia la messa a disposizione del pubblico in modalità non lineare o a richiesta (laddove la trasmissione dei contenuti avviene al momento scelto dall’utente e su sua richiesta, sulla base di un catalogo predisposto dal fornitore, che esercita il controllo editoriale selezionando e organizzando i programmi), indipendentemente dalla piattaforma trasmissiva, sono nella disponibilità esclusiva dei “right holder” (che, nel caso di specie, la legge britannica individua nelle emittenti televisive), restando precluso a terzi qualunque sfruttamento, in assenza di apposita autorizzazione concessa dall’emittente o del ricorrere delle cause di eccezione previste, con elenco tassativo, dall’art. 5 della direttiva 2001/29. La Corte di giustizia ha dato un’interpretazione estensiva del concetto di comunicazione al pubblico, ritenendo che essa ricomprenda anche un servizio consistente in un flusso Internet che ritrasmetta opere dell’ingegno ad una platea di utenti, sebbene tali utenti si trovino nell’area di ricezione della trasmissione iniziale e la possano quindi ricevere, nel pieno rispetto della legge, su un apparecchio televisivo.

Sulla scorta della pronuncia resa dai giudici di Lussemburgo, la High Court of Justice ha giudicato illecita l’attività di TVCatchup con riferimento ad alcuni canali, ma non a tutti: ha infatti reputato che in relazione ai canali ITV, Channel 4 e Channel 5, in quanto soggetti a obblighi di servizio pubblico, fosse applicabile un’eccezione, prevista dalla legge inglese, e più precisamente dall’art. 73, par. 2, lett. b) e par. 3 del Copyright, Designs and Patents Act, che consente in talune circostanze la ritrasmissione via cavo senza autorizzazione.

Detto articolo, rubricato «Ricezione di una trasmissione senza fili e ritrasmissione della medesima via cavo», dispone che: «[…] ove una trasmissione senza fili effettuata da un luogo del Regno Unito sia ricevuta e immediatamente ritrasmessa via cavo […] 2. [i]l diritto d’autore sulla trasmissione non è violato […] b) se e nella misura in cui la trasmissione è destinata alla ricezione nella zona in cui viene ritrasmessa via cavo e fa parte di un servizio qualificante. […] 3. Il diritto d’autore su qualsiasi opera inclusa nella trasmissione non è violato se e nella misura in cui la trasmissione è destinata alla ricezione nella zona in cui viene ritrasmessa via cavo».

Le emittenti televisive hanno quindi impugnato la sentenza della High Court of Justice davanti alla Court of Appeal (Civil Division) dell’Inghilterra e del Galles, la quale ha a sua volta investito la Corte di Giustizia di una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale, che è stata definita con la sentenza oggetto di questa breve nota.

La Court of Appeal (Civil Division) dell’Inghilterra e del Galles ha posto alla Corte di giustizia dell’Unione europea una serie di questioni, che in sostanza si propongono di accertare se l’eccezione al diritto esclusivo dei titolari del diritto d’autore di autorizzare o vietare la comunicazione al pubblico, invocata a favore di TVCatchup, prevista dall’art. 73 del Copyright, Designs and Patents Act sopra citato, sia compatibile con il diritto dell’Unione.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, Quarta Sezione, con sentenza dell’1 marzo 2017, ha definito la causa in piena consonanza con le conclusioni che erano state rassegnate l’8 settembre 2016 dall’Avvocato Generale Henrik Saugmandsgaard Øe.

Il punto principale deferito alla Corte di Giustizia riguarda la possibilità di ricomprendere l’art. 73 del Copyright, Designs and Patents Act nel novero delle norme la cui applicabilità è fatta salva dall’art. 9 della direttiva 2001/29. Infatti, nessuna delle parti, né il giudice a quo, nutrono dubbi circa il fatto che la previsione derogatoria dell’art. 73 non rientri tra le eccezioni ammesse dall’art. 5 della direttiva 2001/29. Non essendo invocabile, nel caso del servizio fornito da TVCatchup, alcuna delle eccezioni ex art. 5 della direttiva, l’unica base giuridica che, alla stregua del diritto dell’Unione, potrebbe astrattamente giustificare l’art. 73 è stata individuata dalla Court of Appeal nell’art. 9 della direttiva, a mente del quale «La presente direttiva non osta all’applicazione delle disposizioni concernenti segnatamente brevetti, marchi, disegni o modelli, modelli di utilità, topografie di prodotti a semiconduttori, caratteri tipografici, accesso condizionato, accesso ai servizi di diffusione via cavo, la protezione dei beni appartenenti al patrimonio nazionale, gli obblighi di deposito legale, le norme sulle pratiche restrittive e sulla concorrenza sleale, il segreto industriale, la sicurezza, la riservatezza, la tutela dei dati e il rispetto della vita privata, l’accesso ai documenti pubblici, il diritto contrattuale».

La corte inglese ha quindi chiesto alla Corte di giustizia se il riferimento all’«accesso ai servizi di diffusione via cavo» valga a fare salva la disposizione della legge inglese in discorso. La Corte di giustizia, dopo aver premesso che «in mancanza di un rinvio espresso al diritto degli Stati membri, la nozione di «accesso ai servizi di diffusione via cavo» di cui all’art. 9 della direttiva 2001/29, deve ricevere, in tutta l’unione, un’interpretazione autonoma e uniforme», risponde negativamente al quesito: l’art. 73 del Copyright, Designs and Patents Act britannico deve ritenersi in contrasto con il diritto dell’Unione in quanto introduce un’eccezione all’esercizio dei diritti dell’autore di un’opera dell’ingegno che non è prevista e quindi va considerata vietata, stante l’esaustività dell’elenco di eccezioni dell’art. 5 della direttiva.

La sentenza, quindi, si pone nel solco dell’orientamento che, con riferimento all’interpretazione della norme in materia di diritto d’autore in relazione all’emergere di nuove modalità di sfruttamento rese possibili dalla tecnologia, valorizza le indicazioni offerte dal preambolo della direttiva 2001/29, ed in particolare il richiamo, contenuto nel considerando 4, agli obiettivi di garantire un elevato livello di protezione della proprietà intellettuale e promuovere gli investimenti in attività creatrici ed innovatrici.

A differenza della sentenza ITV del 2013, che affrontava una questione di grande interesse (inscrivendosi nel filone giurisprudenziale che ha sagomato il concetto di comunicazione al pubblico facendo leva principalmente su due elementi, ossia se l’opera è diretta ad un nuovo pubblico e se essa è diffusa con una modalità tecnica diversa da quella adottata per la comunicazione originale[2] ed offriva alla Corte la possibilità di chiarire la portata del concetto di comunicazione al pubblico e l’ineludibilità del consenso del titolare dei diritti per quanti vogliano ritrasmettere, su altre piattaforme, canali televisivi in chiaro, la decisione esaminata appare molto concentrata su un tratto peculiare del diritto britannico. L’unica affermazione di portata generale, concernente la tassatività delle eccezioni al diritto di riproduzione e comunicazione al pubblico previste dall’art. 5 della direttiva 2001/29, è tratta dal considerando 32 della direttiva, quindi non riguarda un tema controverso.

La Corte si pronuncia recisamente sul caso sottopostole e lo fa con una motivazione molto stringata, che non solo considera – condivisibilmente – assorbite le altre questioni una volta che sia stata data risposta alla terza tra quelle sollevate dalla corte britannica, ma non ritiene neanche necessario, ai fini della definizione della causa, misurarsi con i nodi ermeneutici sui quali invece si era soffermato con dovizia l’Avvocato Generale.

La concisione è un pregio, ma sembra che la Corte ometta qualche passaggio – svolto invece dall’Avvocato Generale – che probabilmente sarebbe stato necessario per offrire un iter argomentativo completo e coerente, certamente sarebbe stato utile per chiarire il contenuto normativo dell’art. 9 della direttiva 2001/29, il quale, come segnalato dall’Avvocato Generale Saugmandsgaard Øe, ricorre ad una nozione, quella di «accesso ai servizi di diffusione via cavo», che, pur apparendo prima facie un concetto noto dell’acquis dell’Unione, in realtà non lo è affatto.

L’Avvocato Generale non si è sottratto all’onere di interpretare l’art. 9 della direttiva (che poi era il fulcro dei quesiti posti alla Corte), concludendo che (i) nell’articolo in parola, l’espressione “cavo” non designa qualunque rete trasmissiva che usi un conduttore fisico, ma va intesa in senso stretto, come riferita ad una specifica tecnologia, ossia alle «reti cablate classiche», e non comprende quindi Internet (oltre a non comprendere, ovviamente, le trasmissioni via etere o satellite) e (ii) l’art. 9 persegue l’obiettivo di lasciare impregiudicate le disposizioni che regolano l’accesso all’infrastruttura di trasmissione costituita da reti cablate tradizionali. L’aggiunta di questi tasselli consente di cogliere che l’art. 9 della direttiva è inconferente rispetto al tema della ritrasmissione via cavo e, quindi, di avere una migliore comprensione delle ragioni per cui l’art. 73 del Copyright, Designs and Patents Act britannico è viziato da illegittimità alla stregua del diritto dell’Unione.

La Corte, invece, si è fermata un passo prima, limitandosi a segnalare che l’art. 9 mira a mantenere l’efficacia di disposizioni che non riguardano la comunicazione al pubblico o comunque il settore armonizzato dalla direttiva. La decisione quindi presenta un esiguo gradiente di novità.

[1] Si pensi alla nota vicenda decisa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti con la sentenza del 2014 American Broadcasting Companies v. Aereo; alla decisione resa nel 2012 dalla Federal Court of Australia nel caso National Rugby League Investments Pty Limited v Singtel Optus Pty Ltd; al caso RecordTV Pte Ltd v. MediaCorp TVSingapore Pte Ltd and others, deciso nel 2010 dalla Court of Appeal di Singapore; e l’elenco potrebbe continuare.

[2] Cfr.l’ordinanza della CGUE nella causa C-314/13, BestWater, BestWater International GmbH v. Michael Mebes e Stefan Potsch (2014), ma anche la sentenza Svensson, C-466/12 (2014).

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