Con la sentenza del 28 settembre 2016 n. 19220 in commento, la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte prende posizione sulla co-autorialità, cassando con rinvio la decisione della Corte d’Appello, che, confermando la pronuncia di Prime Cure, non aveva riconosciuto la comunione del diritto d’autore in relazione ad un’opera creata con il contributo di più persone.
Questi i fatti salienti.
i) Un architetto prende parte ad un raggruppamento temporaneo tra professionisti, al fine di elaborare un progetto destinato a partecipare ad un concorso. In breve tempo nel gruppo insorgevano dissidi e l’architetto veniva, a suo, dire, emarginato. Dopo varie vicende, il progetto vincitore veniva formalmente presentato e sottoscritto solo da alcuni membri del gruppo. Nelle more, veniva firmata dai professionisti coinvolti una scrittura privata in forza della quale l’architetto risultava “contitolare della proprietà intellettuale del progetto”.
ii) Poiché, nonostante tale riconoscimento, quest’ultimo si riteneva leso nei propri diritti morali ed economici, egli conveniva innanzi al Tribunale gli altri partecipanti, per sentire accertare il proprio diritto morale e materiale di coautore del progetto, risultato vincitore del concorso.
iii) A sostegno della propria domanda, l’attore produceva, tra l’altro, la scrittura privata sopra richiamata. I convenuti eccepivano che il progetto vincitore, in ultima analisi, era stato firmato e presentato esclusivamente da altri professionisti. Osservavano inoltre che l’attività svolta dall’attore nell’ambito della partecipazione al concorso era irrilevante, così come il suo apporto alla parte concettuale ed architettonica del progetto. Poiché la scrittura privata non forniva chiarimenti in proposito, la domanda doveva essere respinta.
iv) Il Tribunale e la Corte d’Appello, sposando questa tesi difensiva, rigettavano la domanda.
v) L’architetto proponeva,quindi, ricorso per cassazione, articolando 4 motivi, con il primo dei quali – ritenuto fondato e assorbente gli altri – il ricorrente lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 10, 8.1 l.d.a. e art. 2728 c.c..
La Suprema Corte affronta il delicato tema della partecipazione di più persone alla creazione di un’opera ed i relativi profili probatori.
Due, in particolare, sono le norme esaminate nel giudizio di Legittimità, disciplinanti fattispecie diverse, per presupposti e oneri probatori: l’art. 8, comma 1, l.d.a. e l’art. 10, commi 1 e 2, l.d.a..
L’art. 8, comma 1, l.d.a – norma applicata dalla Corte d’Appello – enuncia la presunzione di paternità, a mente della quale “Ė reputato autore dell’opera, salvo prova contraria, chi è in essa indicato come tale”. Nel caso in esame, l’opera vincitrice del concorso era stata formalmente presentata e sottoscritta da due soggetti, diversi dall’attore. Quindi, nei giudizi di merito, era stata riconosciuta la titolarità del diritto soltanto in capo a costoro. L’attore, tuttavia, produceva una scrittura privata, sottoscritta dalle parti interessate, ove era riconosciuto che la proprietà intellettuale del progetto vincitore apparteneva al gruppo di professionisti di cui faceva parte anche l’attore.
In tal modo, egli cercava di fornire la prova contraria, e superare così la presunzione sancita dall’art. 8, comma 1, l.d.a., e dare ingresso all’applicazione dell’art. 10, comma 1, l.d.a.. Questa norma prevede testualmente che “se l’opera è stata creata con il contributo indistinguibile ed inscindibile di più persone, il diritto d’autore appartiene in comune a tutti i coautori”.
Il Tribunale e la Corte d’Appello non hanno attribuito valore probatorio alla scrittura privata, e hanno respinto la domanda sulla base del rilievo, tra l’altro, che l’attore non aveva fornito prova delle specifiche attività concretamente poste in essere e rappresentanti il suo contributo alla creazione dell’elaborato progettuale.
La Cassazione censura la Corte d’Appello per non aver valutato il significato della scrittura privata quale riconoscimento del diritto in contestazione e, conseguentemente, per non avere adeguatamente approfondito se vi fossero le condizioni per superare la presunzione di cui all’art. 8, comma 1, l.d.a. e dare spazio all’applicazione dell’art. 10 l.d.a.. Questa norma stabilisce infatti anche un’ulteriore presunzione in materia, ossia che “le parti indivise si presumono di valore uguale, salvo sia fornita la prova per iscritto di diverso accordo” (art. 10, comma 2, l.d.a).
Questa presunzione si giustifica per soddisfare esigenze pratiche. Si consideri la difficoltà, se non impossibilità, di stabilire l’entità reale del singolo contributo di ognuno. Appare, infatti, molto remota la possibilità che, prima di avviare la collaborazione, le parti possano stabilire la misura del proprio apporto creativo. Ugualmente, può apparire arduo che, al compimento dell’opera, le parti siano in grado di ricostruire con precisione l’apporto effettivamente fornito. In assenza di una specifica convenzione sul punto, viene in soccorso la presunzione di uguaglianza del valore dei contributi, al fine di evitare l’ingresso nel processo di prove sul valore dei singoli apporti, di difficile, se non impossibile, valutazione. Alla luce di quanto precede, la sentenza in commento chiarisce efficacemente l’ambito di applicazione delle due norme richiamate, nonché la distribuzione dell’onere probatorio, con particolare riferimento alle due presunzioni sopra menzionate.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, l’attore avrebbe assolto al proprio onere probatorio, producendo la scrittura privata, dando così spazio all’applicazione dell’art. 10 l.d.a. e della presunzione di pari contribuzione ivi stabilita al secondo comma. Ė stata, quindi, censurata la decisione della Corte d’Appello ove richiedeva all’attore la prova della specifica attività posta in essere in concreto. Lamenta il ricorrente – trovando il conforto della Cassazione sul punto – che sarebbe stato onere delle parti interessate vincere la presunzione di pari contribuzione stabilita all’art. 10, comma 2, l.d.a..
In conclusione, la Corte di Cassazione stabilisce un collegamento tra la scrittura privata e l’applicabilità dell’art. 10 l.d.a., norma che è stata inspiegabilmente ignorata dalla Corte di merito. Ed è proprio questo il cuore del primo motivo di ricorso, nonché della cassazione con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello, “per nuovo esame sulla questione della proprietà intellettuale del progetto vincitore del concorso, previa corretta individuazione della normativa applicabile e del riparto dell’onere probatorio”. Ad avviso del Giudice di Legittimità, è necessario, pertanto, un ulteriore approfondimento del significato della scrittura privata al fine di verificare, sia il superamento della presunzione di paternità, sia l’applicabilità in concreto dell’art.10 l.d.a..
Appare condivisibile il ragionamento logico-giuridico seguito dalla Corte nella misura in cui, valorizzando la scrittura privata prodotta dall’architetto quale riconoscimento del diritto di coautore, lo esonera dalla ulteriore prova della attività svolta, in maniera analoga a quanto viene stabilito, ad esempio, in materia di riconoscimento del debito dall’art. 1988 c.c. Vedremo come la Corte d’Appello si pronuncerà in ordine all’eventuale superamento delle presunzioni sopra illustrate e se il principio espresso dalla Corte di Cassazione, che di fatto sarebbe applicabile teoricamente anche in ambiti del tutto diversi da quelli che hanno dato origine al caso concreto, troverà consenso nella giurisprudenza.