Moda del momento o tecnologia fondante la quarta rivoluzione industriale ormai alle porte? Comunque la si pensi il giurista non può non interrogarsi sul ruolo che le regole possono, o devono, giocare nell’orientare una tecnologia che ha come propria ragione costitutiva l’eliminazione di ogni intermediario pubblico o privato e, quindi, potenzialmente anche del primo intermediario nelle nostre relazioni sociali, vale a dire il legislatore, nazionale o sovranazionale che sia.
Un fenomeno ormai rilevante se solo si considera che la Blockchain tecnologia nata nel mondo delle criptovalute ha da tempo valicato i limitati confini della finanza per proporsi, e in prospettiva imporsi, in diversi settori industriali dall’automotive, all’agroalimentare, al commercio internazionale solo per citarne alcuni.
Le caratteristiche della Blockchain e quindi, l’identificazione univoca dei partecipanti alla rete decentralizzata, l’immutabilità dei dati e delle transazioni che vengono registrati sulla catena di blocchi, la sicurezza di questi scambi garantita dalla crittografia, parlano al mondo del diritto proponendo una prospettiva sino ad ora inesplorata.
La stessa creazione delle regole giuridiche che vede la propria fonte in un’autorità centrale nazionale o sovranazionale democraticamente legittimata, nella prospettiva della Blockchain viene sostituita da un meccanismo di consenso tra i partecipanti alla rete che prestano fiducia sul meccanismo elaborato. Risulta evidente come l’avvento di questa tecnologia possa scardinare concetti consolidati in secoli di tradizione giuridica nell’intermediazione, da sempre esercitata, dalle autorità centrali nella regolamentazione delle relazioni sociali, economiche o politiche.
In un fondamentale volume di recente pubblicazione (P. De Filippi, A. Wright, Blockchain and the law – The rule of code, Harward University Press, 2018) che sviluppa le intuizioni formulate in un paper di qualche anno orsono, gli autori, dopo una dettagliata descrizione delle caratteristiche tecniche della tecnologia in parola, indagano il rapporto tra regole e blockchain e parlano di lex cryptographica come versione 4.0 del motto “Code is law” di lessinghiana memoria. Nell’alternativa tra un mondo strettamente regolato dalla rule of law e uno nel quale le organizzazioni decentralizzate si autoregolano attraverso la Blockchain superando i concetti di sovranità e giurisdizione, gli autori tracciano dei percorsi per dare un impianto regolatorio a questa innovativa tecnologia.
L’idea di base è che lasciare questa tecnologia sprovvista di un qualsiasi impianto regolamentare porti con sé dei rischi primo fra tutti che, come sottolineato dallo stesso Lawrence Lessing, interessi diversi da quelli incarnati dai governi, possano prendere il sopravvento plasmando la tecnologia in parola ed orientando le scelte dei partecipanti alla rete. D’altro canto, evidenziano gli autori dell’illuminante volume, una regolamentazione troppo rigida rischia di frustrare le potenzialità di sviluppo di una tecnologia versatile e promettente come il registro distribuito.
E allora come devono confrontarsi i governi con la Blockchain? La risposta non è univoca, né predeterminata. Secondo De Filippi e Wright, al netto delle norme sociali che pure possono giocare un ruolo nella disciplina del fenomeno, la regolamentazione della Blockchain può passare attraverso la creazione di norme ad hoc che guardino agli operatori che consentono al registro distribuito di funzionare e quindi agli internet service provider, o attraverso norme dirette a regolare le attività degli altri soggetti, a vario titolo, coinvolti dagli utenti ai gestori di marketplace fondati sulla tecnologia Blockchain.
Il volume che si segnala sfida dunque il giurista, ed in prospettiva i policymakers, a confrontarsi con prospettive nuove in un campo di gioco tutto da costruire. Ogni possibile regolamentazione della Blockchain non può, ad avviso di chi scrive, che passare da una profonda conoscenza tecnica del fenomeno e non deve mirare a scardinare l’elemento di novità introdotto dalla Blockchain: vale a dire il superamento del middleman.
Nella direzione tracciata, nel panorama globale, si deve guardare con interesse a quanto sta avvenendo in alcuni stati del nordamerica dove sono in fase di discussione o sono state già emanate norme che riconoscono valore giuridico ai fatti che vengono registrati sulla Blockchain nei casi in cui gli stessi abbiano un rilievo per così dire pubblicistico. Il riferimento è alla legge del Delaware che consente di registrare su Blockchain i libri sociali equiparando tale forma di registrazione a quella “tradizionale” prevista dalla legge sulle società. Dei primi embrionali tentativi di regolazione tesi a ricomprendere nell’alveo dell’ordinamento una tecnologia con la quale in un prossimo futuro il legislatore dovrà confrontarsi anche alle nostre latitudini.